Una campagna elettorale piena di veleni e di falsità, dove la nenia del voto utile ha regnato sovrana e dove, comunque, è stata più e più volte smentita, confutata anche con circostanziazioni e non solo con slogan contro altri slogan. Si chiude, dunque, un mese in cui le urla di Beppe Grillo hanno echeggiato nelle piazze per attrarre con monologhi simili a quelli di Berlusconi la rabbia accumulata della gente su moltissime inefficienze della cosa pubblica, sulla politica trattata alla stregua del mero interesse personale, su una classe dirigente corrotta, indegna di governare la Repubblica.
Ci sono molti dati curiosi da sviscerare: la rimonta di Silvio Berlusconi (che comunque resta molto indietro rispetto alla possibilità di una vittoria sul centrosinistra), la tenuta della coalizione di Bersani – Vendola – Tabacci, l’impressione che il centro di Monti non riesca a fare breccia nelle fila della borghesia nazionale (ma di più certamente nella cerchia montezemoliana legata a Confindustria e alla filosofia eterodiretta da Angela Merkel e dalla BCE), la certezza che il movimento grillino farà il “botto” ed entrerà in Parlamento con decine e decine di deputati e senatori e, infine, la sensazione che Rivoluzione Civile abbia fatto una campagna elettorale molto legata ai territori, molto vicina alla gente, con una simpatia crescente, con un consenso che progressivamente si è radicato e che si potrà tradurre in un ottimo risultato sia alla Camera che al Senato.
Abbiamo proposto e proponiamo una “rivoluzione civile”, fatta di contenuti che vogliamo tradurre in azioni concrete mediante leggi in Parlamento. Abbiamo proposto al Paese di compiere una torsione della politica di 180 gradi per rinverdire la stagione dei diritti sociali, per rimettere il lavoro al centro della questione nazionale, per fare una svolta economica radicale e costringere i profitti, i patrimoni ad essere tassati come meritano in un’Italia dove chi ha sempre pagato le tasse è stato il lavoratore dipendente mentre il suo padrone evadeva clamorosamente il fisco.
Abbiamo proposto una politica di solidarietà nazionale, di comunità, di valorizzazione del bene comune complessivo, uno stato-sociale ricomposto in tutte le sue parti nella pienezza della sua consistenza per soddisfare le esigenze di tutti i cittadini: dalla sanità pubblica alla scuola pubblica passando per la riqualificazione ambientale, contro tutte le mafie che sono interessate ad entrare nei grandi appalti per le tanto celebri “grandi opere” come la Tav, il Ponte sullo Stretto di Messina, i cantieri stradali della Salerno-Reggio Calabria e mille altre devastazioni del nostro territorio.
Tutto questo non lo potrà mai garantire il patto stretto tra Bersani e Monti per dare “governabilità” al Paese. Quante volte abbiamo assistito all’utilizzo di questa terminologia: la “governabilità”. In nome della stabilità di governo, sotto questa potete ipocrisia data in pasto alle paure (sempre troppe ed eccessive) della gente, si è sacrificato tutto e ancora di più.
Il governo dei professori, il tanto famoso “governo tecnico”, retto per un anno dalla maggioranza PD – PDL – Terzo polo, ha sistematicamente operato per stabilizzare i dettami delle banche internazionali sull’economia italiana, eliminando ciò che restava del sistema pensionistico, trattando le pensioni come una variabile dipendente dal mercato e lacerando ogni residua tutela del lavoro dipendente, anche questo subordinato alle esigenze di ricomposizione della crisi economica causata proprio da lor signori e non certo dagli operai di Mirafiori o di Pomigliano d’Arco.
Il ruolo della sinistra in questo contesto non è stato di pura testimonianza. Si è diviso in due percorsi, in due strategie profondamente differenti: Sinistra Ecologia Libertà di Vendola ha scelto di essere organica al centrosinistra e ha quindi accettato il compromesso della carta “Italia Bene Comune” per affermare tutto il contrario di quella che dovrebbe essere la difesa del bene comune del Paese.
Si è legata mani e piedi al principio del voto di maggioranza dei gruppi parlamentari del centrosinistra, sancendo così di fatto una subalternità evidente al partito maggiore, il PD, che non ha nessuna intenzione di rinegoziare, ad esempio, il Fiscal compact avendolo votato in Parlamento sotto l’egida di Mario Monti.
Le finte liti tra montiani e bersaniani non sono state altro che la controprova della evidente necessità per gli uni e per gli altri di andare ad un patto dopo le elezioni: Monti lo ha espressamente ribadito, Vendola ha accettato di condividere questa responsabilità e ha detto che Sel giocherà un ruolo di protezione dei diritti sociali e civili. Ho l’impressione che Vendola finirà per trovarsi nella posizione in cui si trovò Rifondazione Comunista con il governo Prodi: le buone intenzioni nostre erano tante, lo spazio per poter gestire e mettere in pratica veramente poco.
Ma all’epoca, nell’Unione, almeno un margine di agibilità c’era: tanto che i soldati dall’Iraq vennero ritirati tutti proprio sulla pressione del PRC. Oggi i poteri rappresentati dal professore della Bocconi non consentiranno al presidente del consiglio futuro e ai suoi ministri di cedere alle richieste di Sel se non sul piano di quelle politiche che non interferiscono con l’amministrazione delle direttive economiche di competenza dello Stato.
Tutta roba di prammatica in fondo, visto che, come direbbe il buon vecchio Marx, è l’economia che fa girare il mondo e la sovrastruttura statale è il comitato di affari dei signori del potere economico.
Bisogna riaffermare certe verità che vengono bollate come desuete, come analisi del passato. Guardarsi intorno, analizzare ogni singola realtà lavorativa, ogni settore produttivo; capire come oggi il capitale tratta il lavoro salariato, quali diritti vengono scippati (praticamente quasi tutti) e quali sono ancora “concessi” dai capi dei dividenti come Marchionne.
Una sinistra anticapitalista, una sinistra di nuovo modello deve confrontarsi con tutto questo e deve rinnovarsi anche. Non possiamo rimanere distanti dalla gente che vogliamo rappresentare e dobbiamo per questo affrontare, dopo il voto, una fase di analisi e di introspezione politica. Ogni forza politica della sinistra dovrebbe ripercorrersi, riconsiderare la propria presenza in questo panorama disordinato del Paese. Non si tratta di abbandonare la cassetta degli attrezzi che ci siamo sempre portati dietro, ma di costruire un nuovo comunismo, all’altezza dei tempi, comprensibile per i giovani.
Comunismo, anticapitalismo, lavoro, salario, diritti sociali, diritti civili, ambiente, femminismo, antipatriarcalismo, pace, scuola pubblica, salute pubblica, devono diventare parole comprensibili sostenute da programmi altrettanto comprensibili.
Un Paese così lontano dalla cultura, un Paese che legge pochissimo, che non sa – nella maggioranza dei casi – nemmeno come è strutturata la sua amministrazione, come sono divisi i poteri, come si gestisce la cosa pubblica, è condannato ad essere oppresso dalle istituzioni.
La formazione di una nuova educazione civica è fondamentale per ridare un senso alla politica. Anche alla nostra.
Per questo, per dare un senso alla politica, al ruolo civile che le compete, l’altra sinistra di Rivoluzione Civile non ha potuto scendere a compromessi con chi non vuole rinegoziare il Fiscal compact e con chi si appresta a governare con Mario Monti scambiando con lui magari la presidenza della Repubblica (ad una donna dice Monti… pensa alla Fornero?) o il superministero dell’economia…
Il senso del voto utile è solo uno: fare spazio a quella Rivoluzione Civile che deve essere fatta avendo come bussola non la lettera della BCE ma la Costituzione della Repubblica Italiana. Portare in Parlamento i partigiani della Costituzione è di più di un voto utile. E’ una necessità storica, un’opportunità da non sprecare. A volte, anche una matita può cambiarci il futuro. Usiamola bene.
MARCO SFERINI
21 febbraio 2013