Bisogna essere volutamente disonsesti intellettualmente (avverbio persino immeritato per certi giornalisti e politici di destra) per affermare che i 335 martiri della Fosse Ardeatine vennero trucidati dai nazisti a causa della loro italianità, della loro appartenenza al popolo dello Stivale allora diviso in due degli effetti della Seconda guerra mondiale.
Bisogna essere altresì volutamente disonesti intellettualmente (e sempre l’avverbio rimane immeritato, ma trovarne un altro è difficile) per fare un titolo così: «La verità su via Rasella. Quegli italiani fucilati per colpa dei partigiani». Certe testate vivono di polemiche annose, trite e ritrite, eccellenza di una retorica revisionistica storica che dovrebbe aver fatto il suo tempo nel 2023 e che, invece, ringiovanisce, rinvigorisce grazie alla presenza a Palazzo Chigi del governo più a destra della storia repubblicana.
Repubblicana ancora e non repubblichina, perché sennò ci ritroveremmo proprio in 1944 in cui i fatti di Roma accaddero in tutta la loro più orrorifica brutalità.
Prima di andare avanti con la critica nei confronti delle parole della Presidente del Consiglio e dei giornalisti che incolonnano la loro personale riscrittura dei fatti storici, tentiamo una sortita in un breve excursus indietro nel tempo. Quando gli alleati sbarcano ad Anzio, aggirando le linee tedesche sulla linea Gustav che va dall’Adriatico meridionale al Tirreno meridionale, più o meno all’altezza ancora di Cassino, il terzo fronte europeo in Normandia non è ancora una relatà. Siamo nel gennaio del 1944, mentre l'”Operazione Overlord” sarà programmata, con incertezze e qualche rinvio, per i primi di giugno.
L’Italia è, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, divisa tra il “Regno del Sud” dei Savoia, amministato dal governo Badoglio e dalle forze alleate, e la Repubblica Sociale Italiana, lo Stato fantoccio del Terzo Reich creato da Hitler per Mussolini, ormai come “cuscinetto” protettivo dall’avanzata degli angloamericani verso nord.
Le sorti della guerra sono segnate fino dalla fine del 1942, dalla vittoria a tutto campo in Africa con l'”Operazione Torch“, la sconfitta di Rommel ad El Alamein, la liberazione della costa libica, la presa della Tunisia e la fine di ogni presenza nazifascista sulla sponda opposta del Mare Nostrum.
Stalingrado, la prima grande vera débâcle per il Terzo Reich, è nel febbraio del 1943 la premonizione condivisa del capovolgimento delle sorti della guerra: il dominio incontrastato di cieli, terra e mare da parte dell’Asse ora viene meno. Dall’Europa al Pacifico, tedeschi, italiani e giapponesi arretrano ovunque.
In Italia la crisi del regime fascista precipita nel luglio del 1943: la maggioranza del Gran Consiglio del Fascismo detronizza Mussolini che viene fatto arrestare dal re a Villa Savoia e trasportato sul Gran Sasso d’Italia. Da lì in avanti la storia del Paese è di separazione: tra fascisti irriducibili e antifascisti che crescono di numero. Dalle giornate di Napoli fino alla battaglia di Porta San Paolo, dalle azioni dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) alla formazione delle brigate partigiane nel centro-nord.
Giorgia Meloni asserisce che i trucidati alle Cave Ardeatine furono tali in quanto italiani. Dunque, sarebbero stati arrestati o prelevati dalle carceri non perché ebrei, antifascisti, oppositori del regime nelle schiere militari, semplici cittadini trovatisi al momento sbagliato nel posto sbagliato, ma solo perché italiani. Insomma, i fascisti (italiani ovviamente) non avrebbero avuto alcun ruolo o colpa in quell’eccidio? Mettiamo il punto interrogativo per generosità, perché dal non-detto della Presidente del Consiglio si possono fare molte ipotesi.
Sicuramente, le parole della leader di Fratelli d’Italia sono tutt’altro che ininterpretabili. Sono chiarissime. Rileggiamole:
«Oggi l’Italia onora le vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Settantanove anni fa 335 italiani sono stati barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia dell’attacco partigiano di via Rasella. Una strage che ha segnato una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale: 335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani. Spetta a tutti noi – Istituzioni, società civile, scuola e mondo dell’informazione – ricordare quei martiri e raccontare in particolare alle giovani generazioni cosa è successo in quel terribile 24 marzo 1944. La memoria non sia mai un puro esercizio di stile ma un dovere civico da esercitare ogni giorno».
Se questo fosse un breve tema di svolgimento storico fatto da uno studente delle scuole secondarie o, peggio, delle superiori, sarebbe sonoramente sottolineato in rosso in tanti punti e meriterebbe un persino troppo lusinghiero cinque.
Per approfondire: Mausoleo Fosse Ardeatine
La reticenza nel non voler associare alla barbarie della rappresaglia nazista la complicità del regime fascista è la dimostrazione del passato che non passa, dell’inconfessabile che rimane, della voglia di far convivere e magari pure combaciare coniugazione nazionalista e conservatrice della democrazia repubblicana con un post-fascismo adducibile dalla storia stessa di chi scrive e di chi rappresenta nel governo quelle idee e quella sbagliata visione tanto del mondo quanto dell’Italia del Novecento tutto.
Il tanto antemizzato attacco partigiano di via Rasella fu un atto di guerra, rivolto contro quei nazisti che Meloni cita come responsabili delle Ardeatine. Erano o non erano, allora, degli occupanti brutali, dei feroci assassini e criminali che tenevano in scacco più di metà dell’Italia e che ne deportavano la popolazione ebraica, i dissidenti politici, i militari e i civili che si rifiutavano di aderire alla Repubblica di Salò nei campi di concentramento e di sterminio nel Terzo Reich?
Lo erano. Erano tutto questo ed anche di peggio. I 335 assassinati alle Cave Ardeatine non vennero uccisi soltanto perché italiani, ma perché ebrei italiani, antisciscti ialiani, oppositori del regime fascista prima e di quello nazifascista poi. Il famigerato questore Pietro Caruso, così come il ministro dell’interno della RSI, collaborarono senza battere ciglio con il criminale Kappler che diresse l’esecuzione del diretto ordine di Hitler: dieci italiani fucilati per ogni soldato tedesco ucciso a via Rasella.
Non esistono fonti attendibili sul piano storico, ma sembra – e c’è da crederci viste le sfuriate del Führer – che inizialmente l’ordine fosse di passare per le armi dai 30 ai 50 italiani per ogni soldato germanico caduto.
Giorgia Meloni invita ad evitare di fare della memoria un “puro esercizio di stile“. Per evitare che questo avvenga, sarebbe davvero utile che le istituzioni della Repubblica si facessero per prime portatrici non di ripetuti tentativi per la promozione di una “memoria condivisa“, il che significa arrivare ad un compromesso antistorico e altamente revisionistico tra due descrizioni opposte dei fatti, ma che invece dimostrassero di aderire pienamente alla Storia, alle fondamenta resistenziali del nuovo Stato sorto dalle macerie del fascismo e della monarchia sabauda.
Di aderire, in sostanza, senza se e senza ma ad ogni dettame della Costituzione. Purtroppo l’antifascismo rimane, oggettivamente, per i post-fascisti un dilemma inestricabile: non possono dirsi fascisti apertamente e non possono dirsi antifascisti volutamente: nel primo caso confesserebbero quello che effettivamente rimangono su un piano ideologico, di retaggio, se vogliamo, culturale, che si rifà, in diversi modi, a quella locuzione almirantiana, ad un epitaffio monumentale per una destra italiana che non vuole rinnegare ma nemmeno vuole restaurare.
Il consolidamento della democrazia antifascista e repubblicana è stato maggioranza culturale, civile, morale e politica nel Paese almeno fino agli anni ’90 del secolo scorso quando, svelata la rete di corruttele interne al sistema politico rappresentato dal Pentapartito, la cosiddetta “prima repubblica” crollò sotto il peso della vergogna, della lontananza abissale tra i valori che intendevano esprimere democratici cristiani, socialisti, liberali e repubblicani e la loro traduzione nella quotidiana pratica amministrativa.
La distanza sempre più grande tra popolazione e istituzioni, tra fiducia in esse attraverso la delega del voto, è stata ampliata da un ritorno delle destre che avevano un po’ sempre tramato per sovvertire l’ordine democratico. In fondo, il revisionismo storico è l’ombra mai del tutto allontanata dal muro eretto a difesa della democrazia, a difesa dello stato-sociale, a protezione dei più deboli e di quanti si sono trovati in condizioni di minoranza e di stigmatizzazione per questo.
Quando nel 1938 il regime fascista, con l’avvallo della monarchia, promulga le Leggi razziali contro gli ebrei italiani, compie una torsione ulteriore del totalitarismo verso posizioni nettamente schierate con un hitlerismo ormai inseparabile dalla condizione politica e istituzionale del regime mussoliniano.
Affermare che l’eccidio delle Ardeatine sia stato causato dall’azione dei gappisti o da un movente “razziale” dei comandi nazisti nei confronti degli italiani, è dare al revisionismo storico un doppio disvalore, una valenza plurima nel pervertire i fatti storici: in primo luogo tentando di oscurare il fatto che gli italiani fascisti fecero uccidere dei loro connazionali; in secondo luogo provando a depurare la storia del fascismo dalla cosiddetta “degenerazione hitleriana“, quella della guerra in cui sarebbe stato trascinato Mussolini…
Per approfondire: Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia
L’azione gappista di via Rasella, tanto per fare un po’ di chiarezza storica, rientrava nella disposizione di una lotta comune tra partigiani e alleati. Questi ultimi avevano richiesto espressamente alle formazioni resistenti della capitale di colpire duramente le truppe di occupazione, per alleggerire la morsa intorno ad Anzio e, quindi, consentire alle truppe angloamericane di avanzare e liberare Roma quanto prima possibile.
Becero è quindi il tentativo davvero stantio di fare dei partigiani degli assassini spietati, incuranti delle rappresaglie che sarebbero seguite. Nessuno era in grado di preventivare una reazione furibonda come quella che venne messa in pratica dai nazisti con la piena collaborazione degli italianissimi fascisti Caruso e Buffarini Guidi. Una parte non secondaria la ebbe anche Pietro Koch, famigerato capo della omonima banda specializzata in torture indicibili contro tutti gli oppositori del regime nazifascista.
E’ quindi davvero possibile affermare che l’eccidio delle Ardeatine fu tale in quanto si cercarono solamente degli italiani da uccidere (tra i 335 vi erano, comunque, anche una decina di “non italiani“)? No, non è possibile affermare questo e chi intende farlo risponde ad una sua personale (in)cultura che gli proviene da una visione ideologica, che non è vietata, ma che è indice di un retaggio in cui si cumulano tutti i disvalori possibili rispetto all’impianto costituzionale, democratico e repubblicano.
I giornalisti possono anche scrivere che il bianco è nero e che il nero, in fin dei conti, non era poi così brutto, spulciando tutti i luoghi comuni sul regime fascista, sulla sua originaria bontà, sulla socialità delle sue proposte, sulla successiva trasmutazione in un totalitarismo a causa della ventennale gestione di un potere che fa scendere a compromessi e compromissioni.
Il problema non è, a ben vedere, di Giorgia Meloni. Lei si esprime seguendo la sua storia politica, la sua impronta culturale e i suoi riferimenti politici nel post-fascismo (“Non rinnegare, non restaurare“). Il problema è nostro, del resto del Paese, che è la maggioranza assoluta, che non condivide quelle parole e che è governato invece da un esecutivo i cui rimandi etico-politico-culturali e storici sono tutti in un combinato di esaltazione dell’autorità, dell’ordine, della morale di Stato, del legame tra potere e tradizione, tra tradizione e religiosità, tra nazionalismo e conservatorismo.
Un micidiale insieme di fattori che producono effetti devastanti e, per fortuna, ancora contrastanti con quelli che sono i princìpi fondanti la democrazia italiana e la sua forma repubblicana.
Lo abbiamo potuto vedere fin dai primi giorni seguenti il 25 settembre scorso: dalla repressione dei rave party alla disposizione ostile (prendetelo come un eufemismo…) nei confronti dei migranti; dalla minimizzazione dei picchiattori fascisti contro gli studenti del Liceo “Michelangiolo” di Firenze alla contrarietà sulle registrazioni anagrafiche dei bambini delle coppie omogenitoriali; dalla denigrazione delle opposizioni in aula (il caso Cospito rimane un fulgido esempio…) allo svilimento del principio solidaristico, questo sì, nazionale attraverso l’arlechinizzazione del Paese con la controriforma calderoliana sull’autonomia differenziata.
Questo governo, come era prevedibilissimo, sta facendo danni quasi incalcolabili. Va fermato con mobilitazioni di piazza, pacifiche, democratiche ma risolute nel rivendicare politiche sociali e diritti civili, preservazione delle tutele per i più deboli e uguaglianza per chiunque, senza distinzione di alcun tipo, così come reclama l’articolo tre della Costituzione, così come vorrebbe un modernissimo buon senso, una decente intelligenza di provenienza umanistica.
MARCO SFERINI
25 marzo 2023
foto tratta da “Patria Indipendente“, periodico dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI)