Domani, forse anche oggi, gli uomini torneranno ad uccidere le donne: lo faranno per gelosia, per voglia di un possesso che non sanno confessarsi, per disprezzo, per odio, per rancore. Lo faranno per molti motivi o forse per nessuno. Ma rimane il fatto: gli uomini molestano le donne e, nei casi più gravi, le uccidono.
L’Istat ogni anno compila delle relazioni impietose sullo stato dei rapporti sociali e singoli tra uomo e donna: sui posti di lavoro ben il 43% delle donne ha subito vere e proprie molestie sessuali da parte dei colleghi maschi. Si parla di una forbice di età che va dalla minore età fino ai 65 anni.
In quindi anni, dal 2000 al 2016, sono state ben 3.000 le donne ammazzate dagli uomini. Di casi di cronaca nera particolarmente efferati la televisione ce ne parla quotidianamente, infarcisce le trasmissioni delle grandi reti nazionali e crea una spettacolarizzazione dei casi che va oltre l’interesse cronachistico da “Un giorno in pretura” e scade nel cannibalismo catodico, nella voglia di macabro, in un interesse che non fa altro che confermare come sia in qualche modo insita nella natura umana la truculenza e quanto lo sia il sadismo vorace del conoscere particolare sempre più scabrosi per una curiosità ai limiti del patologico.
Resta il fatto. Il fatto che le donne si trovano ancora oggi ad essere oggetto di una considerazione comunque inferiore rispetto all’uomo, di più ancora, sul piano del genere, rispetto al maschio. La mascolinità è un elemento caratterizzante di un moderno patriarcalismo che non si esprime più con la sottomissione evidente ma con tanti piccoli gesti quotidiani che l’uomo si permette nei confronti della donna e che, secondo una illogica naturalezza sottintesa, quest’ultima dovrebbe accettare senza batter ciglio, senza protestare, senza rivendicare un disagio che è poi rivolta verso una negazione della pienezza dei diritti dell’essere umano femminile.
La donna dovrebbe stare al gioco, sorriderne e non essere così permalosa: in fondo, dicono molti commentatori anche presuntamente eccellenti in tv, se si è oggetto di attenzione anche spinta da parte dei maschietti, ciò vuol dire che si è apprezzate.
Un’altra squallida forma di alibizzazione di un abuso della libertà individuale per provare a dimostrare che l’uomo non vuole essere così cattivo, ma solo birichino, giocherellone e che se allunga un po’ le mani, beh… è l’istinto!
Dunque, il tutto dovrebbe alla fine essere ridotto dalla ragionevolezza e dalla nobiltà dei sentimenti (fatemi essere un poco ottocentesco in questo…) alla pura istintualità: quindi, la tesi definitiva di assoluzione del comportamento maschile è tutta costruita su una naturale propensione dell’essere umano maschile ad essere goliardicamente spinto, eccessivo ma non troppo. Peccato che però gli stupri e le molestie di ogni tipo non siano proprio delle goliardate e che gli assassinii siano uno stato di irreversibilità da cui è difficile tornare, per l’appunto, vivi…
Non sono sciarade, dunque, e tanto meno sono giochetti di maschi in calore che hanno voglia di burlarsi di qualche ragazza o signora.
Convengo su un fatto: sono istinti. Beceri istinti primordiali e anche ancestrali che emergono ogni volta che l’uomo assume le fattezze interiori del maschio dominante, come nel branco animalesco che va a caccia della prede. Sono forme di autogestione di sentimenti che si trasformano in ossessioni e che prevaricano ogni soglia minima di rispetto dell’altro da noi.
Tutte e tutti noi viviamo nell’istinto a volte: ci domina proprio perché è fuori dalla considerazione e dalla ponderazione, dalla ragione. E’ l’immediatezza e, dunque, difficilmente gestibile. Ma è pur vero che la dominazione delle passioni e dalla passioni è legata ad una legittimazione che deriva da una società priva di una moralità costruita sull’uguaglianza dei diritti, oltre che dei doveri.
A dovere maggiore maschile corrisponde un diritto inferiore femminile. La vulgata comune che tante, troppe volte mi è capitato di ascoltare, sosteneva che se una donna mostra le gambe e mette una gonna cortissima, ebbene se la va un po’ a cercare. “Non indurre il maschio in tentazione” mutuando una delle più recitate preghiere cristiane che persino il Papa ha corretto: perché mai domineddio dovrebbe mettere alla prova l’essere da lui creato? Perché dovrebbe sfidarne lo stesso libero arbitrio che gli ha concesso?
Ma se queste sono considerazioni da teologi, invece sono reali e concreti tutti i tentativi fatti dal mondo maschile di autoassolversi per colpe che non possono essere sue. Una forma di giustificazionismo deve pur esserci: il maschio lo proclama, lo esige, lo rivendica e prova a spiegarlo davanti alle telecamere e, nel peggiore dei casi, quando già una tragedia è avvenuta e si trova davanti ad una tribunale della Repubblica.
Ma la libertà o è piena e consapevole o non può mai del tutto essere definita tale e non possono esservi alibi maschili che giustificano una violenza, un abuso, una qualunque attenzione che sovrasta l’individuo altro da noi, che lo mette nella condizione di guardarsi le spalle, di avere paura, di vivere nella paura.
Le donne scioperano oggi, sfilano in lunghi cortei e rivendicano non solo la parità dei diritti ma la necessità imprescindibile d’essere non considerate o accettate e nemmeno vissute come eguali, bensì di non essere proprio interpretate. Semplicemente esistono, sono e non esiste alcuna tolleranza di genere che possa essere definita elemento giusto e condiviso. La tolleranza non è mai buona. E’ ipocrisia dell’uguaglianza, non è voglia della medesima. E’ discriminazione mascherata. E’ sempre l’essere un gradino più in alto di chi è tollerato o tollerata.
Domani, forse anche oggi, gli uomini continueranno ad uccidere le donne e per questo è sacrosanto che continui ad esistere una critica feroce e spietata contro ogni maschio che non si comporta da essere umano ma, per l’appunto, da maschio, da dominatore nelle vesti di protettore, da aguzzino nelle vesti di amante, da ossessivo nelle vesti di amatore.
La maschera ipocrita dell’accettazione e della tolleranza, la ricerca dell’alibi costante vanno riconosciute e scovate proprio dove si nascondono con più destrezza: dietro la “civile” normalità del quotidiano.
MARCO SFERINI
8 marzo 2018
foto tratta da Pixabay