Si giocano grandi carriere politiche, a destra come a sinistra, sulla questione della sicurezza, ma ieri bastava essere a Roma per capire che le strade libere nel nostro paese le fanno le donne che le attraversano. La marea è arrivata a piccole onde, da Lecce come da Viareggio e il colpo d’occhio offriva un corteo di decine di migliaia di striscioni e cartelli, soprattutto una marea di ragazze.
Il tema della violenza ha animato una mobilitazione rumorosa, forte, organizzata e sorridente come negli ultimi anni e come succede da quando il movimento femminista è nato. Perché in Italia, come nel mondo, il movimento è nato sul tema della violenza: dall’aborto all’abuso sessuale la presa di coscienza e di parola non si è mai fermata.
Abbiamo imparato a riconoscerla, la violenza, ma non riusciamo a salvare la pelle, e i femminicidi non seguono il trend generale della diminuzione dei delitti. Se nel 2017 le richieste di aiuto ai centri antiviolenza hanno raggiunto la cifra di 50mila, vuol dire che la marea che ieri era in piazza porta sulle spalle il peso di un fenomeno che esprime la volontà di annientamento di donne e bambini, un catalogo dell’orrore che circonda la vita di chi reagisce a botte e maltrattamenti, con il seguito di denunce e drammatiche richieste di aiuto, spesso vane.
Questo governo, che contro i diritti dei più indifesi è all’avanguardia, taglia i fondi per la violenza di genere «solo del 2,7%» (parole del sottosegretario Spadafora), ignorando quel che accade (forse a palazzo Chigi leggono poco i giornali). Se non ci fossero le volontarie a mandare avanti le case di accoglienza, le cifre del massacro sarebbero ancora più spaventose.
Ma non solo i fondi che mancano. Leghisti, di ogni ordine e grado, organizzano manifestazioni contro l’aborto, e succede che i manifesti per la vita siano firmati persino da donne del Pd, come nel consiglio comunale di Verona. La sinistra e chi la rappresenta è lontana anni luce da queste ragazze. Loro sono la politica, una politica giovane tenuta fuori dalla porta delle istituzioni e del potere.
NORMA RANGERI
foto di Marco Sferini