Un altro kamikaze già noto alle forze dell’ordine del paese in cui è avvenuto l’attentato. Sembra un macabro rituale quello che si assiste dagli schermi televisivi: una esplosione violenta, morti a decine, feriti a centinaia e la postuma rivendicazione del Daesh e per epilogo la dichiarazione del capo della polizia locale o dei servizi di sicurezza che ammettono la già conosciuta identità del terrorista.
Qualcuno ha azzardato teorie complottiste. Io, del tutto sinceramente, non credo al complottismo di così basso livello: se di complottismo si vuole veramente e seriamente parlare, si deve andare ad indagare in più ben alte sfere di governo e di poteri economici intrecciati fra loro.
Un “piccolo” attentato, seppur rientrante nella “strategia della tensione” ideata in qualche modo anche dal califfato nero (si badi bene all'”anche”, per favore…), non può rientrare in quelle dinamiche di spostamento degli equilibri delle politiche mondiali che, invece, sono alla base di tutto il terrore che si sparge nel mondo.
Ma forse, oggidì, non esiste più nemmeno il bisogno, la ricerca di muoversi nell’ombra: sappiamo molto bene che le grandi potenze mondiali, statali, economiche, le grandi concentrazioni di potere semi-occulto espresse in organizzazioni che si vedono una o due volte all’anno come para-summit rispetto a quelli ufficiali promossi dagli Stati più virtuosi in quanto a ricchezza e produzione, sono i punti di partenza di piani geostrategici sempre più complessi, fatti di spionaggio cibernetico, di attacchi internettiani, di arresti di spie grazie a smantellamenti di reti di copertura che saltano magari grazie proprio ad un computer…
Tutti conosciamo la storia di Edward Snowden. Se non fosse così, guardate il bel film che ultimamente è stato prodotto sulla figura di questo giovane che lavorava per l’agenzia nazionale di sicurezza degli Stati Uniti d’America e che oggi è ancora costretto a vivere sotto la tutela del governo russo per evitare una accusa di alto tradimento da parte di Washington.
Ciò che pensavamo fosse solo “esagerazione”, oppure “fantapolitica”, s’è dimostrato essere invece la realtà concreta dei fatti.
L’attentato avvenuto a Manchester, in una arena di spettacoli popolata prevalentemente da adolescenti che erano lì ad ascoltare un concerto, è un altro odioso, truce episodio di terrore che non si può più commentare. Non esistono più parole per definire questi atti: le abbiamo davvero adoperate tutte quante. E abbiamo usato quelle più tristi ma meno retoriche, quelle più malinconiche e anche quelle che ci hanno reso afoni davanti a tanta crudeltà.
Non ripeterò qui ragionamenti intrisi di antropologismo spicciolo: non penso sia utile e nemmeno corretto verso le vittime dell’attentato stesso. Forse la tempistica in cui l’attentato è avvenuto intende influenzare le elezioni parlamentari e indebolire il potere dei conservatori, il partito che guida la Gran Bretagna, il suo governo: un esecutivo impegnato nella guerra contro il Daesh. Un califfato assediato: Mosul sta per essere liberata dalle truppe curde e irachene e Raqqa, la capitale siriana delle sventolanti bandiere nere di Al Baghdadi ben presto subirà la stessa sorte. Le perdite territoriali possono aver accelerato la costruzione di una operazione strategica da continuare a portare in molti Stati europei attraverso il triste, luttuoso dramma delle esplosioni nei luoghi affollati.
Tutto questo scenario è però quanto si intravede nei meandri di una informazione blindata, assolutamente censurata laddove si tenta di mettere in evidenza le colpe occidentali che stanno alla base del terrorismo dell’Isis.
Piuttosto che addentrarsi in ipotesi e illazioni inconcludenti, almeno al momento, penso sia invece molto utile rivedere le immagini che immortalano Donald J. Trump, presidente degli Stati Uniti d’America, seduto con il re dell’Arabia Saudita al tavolo della firma per la vendita di centinaia di milioni di dollari di armi.
Poi un passaggio in Israele e infine in Italia. Tanto cerimoniale e l’allarme sicurezza che viaggia ovunque arrivi il potente di turno.
Le immagini degli incontri tra il rappresentante dell’impero americano e i quelli degli Stati amici parlano molto più di molte analisi politologiche: i reciproci interessi economici si difendono con le armi e con pacche sulle spalle per rassicurare chi vuole vedere in questo un barlume di esportazione di democrazia… Va bene qualunque concessione pur di essere sempre amici degli americani: nella grande cerchia del potere garantito e difeso.
Tutto si compone in uno scacchiere internazionale dove la partita non è mai conclusa e dove l’ultima mossa non viene mai fatta, a volte viene molto diluita e rallentata nel tempo, così da logorare l’avversario e farlo cadere nell’errore più evidente e banale.
La Guerra fredda è finita, si dice, nel 1989 con la caduta del muro berlinese e con la fine dell’Unione Sovietica. In realtà ad un blocco si sono sostituiti altri blocchi: un multipolarismo economico, industriale e militare che è nato dalle ceneri del fronteggiamento a due che durava dalla fine della Seconda guerra mondiale.
E così, nelle tante piccoli e grandi stragi provocate dal regime terrorista del Daesh, c’è il marchio di una politica estera delle grandi concentrazioni del capitalismo espressa nei governi delle grandi potenze: sia occidentali che orientali.
Nessuno è assolvibile. Nessuno rappresenta il “bene” contro il “male”. Di certo nessuno è in assoluto il bene ma riesce a creare mostri così evidentemente peggiori di sé stesso da apparire sempre un pochino meno cattivo rispetto agli altri. Il gioco è semplice: “Tu sei cattivo, cattivo!”. Due volte. Esserlo una volta sola equivale, nella traduzione politica odierna dei grandi giornali e delle grandi televisioni, ad essere i rappresentanti della “democrazia”, della “libertà”.
Tra virgolette tutte e due. Per favore.
MARCO SFERINI
24 maggio 2017
foto tratta da Pixabay