Il fronte dei metalmeccanici si è messo alla testa di un autunno caldo anche sul terreno del lavoro, dopo le tante offensive padronali di Confindustria: il mirino degli imprenditori è tutto puntato sul salario che non intendono aumentare, adducendo tutte gli alibi possibili legati alla pandemia mondiale e alle sue ripercussioni in Europa e, segnatamente, nel nostro Paese.
Argomentazioni simili avrebbero anche un certo senso, se non fosse che il virus, nel momento in cui colpisce un regime economico, dunque la struttura portante della società, per l’appunto colpisce l’intera società e si riversa con maggiore intensità proprio sui più deboli, sui lavoratori, sui precari, sui disoccupati, sui pensionati. Insomma, su tutti coloro che non hanno ad oggi nessuna possibilità di accantonare parte del loro salario in risparmio, ma devono scomporlo completamente per fare fronte a tutte le necessità primarie di una vita che continua ad avere le sembianze della sopravvivenza…
E’ un rapporto inversamente proporzionale se si guarda ai profitti cumulati dai padroni in decenni e decenni di speculazioni e di profittamento delle risorse pubbliche, nonché di politiche liberiste tese a proteggere e tutelare esclusivamente il capitale aziendale invece dei salari. Se poi si operano confronti sul monte salariale italiano e lo si confronta con quello degli altri paesi europei, ci si accorge che paragonando la retribuzione di un metalmeccanico italiano – fenomeno in senso letterale del termine che mostra lo stato di salute economica della classe operaia – è pari a circa 29.214 euro lordi annui.
Un olandese, sempre riferendoci ad un monte salario metalmeccanico annuale lordo, riceve invece circa 46.000 euro. Si potrà affermare, più che giustamente, che il costo della vita nei Paesi Bassi è più alto rispetto all’Italia: indubbiamente, anche se non in tutti i settori commerciali e in tutti gli ambiti di vita. Tanto che, se confrontiamo i 29.214 euro dell’operaio italiano con quelli di uno francese abbiamo comunque un raffronto che vede i nostri lavoratori sempre penalizzati, questa volta di circa 9.000 euro; se passiamo alla Germania della cancelliera Merkel, la forbice si allarga ancora: un metalmeccanico tedesco prende quasi 40.000 euro sempre lordi e sempre spalmati su dodici mesi.
Ovunque si vade nella “civile” Europa, a parte l’esempio spagnolo, si registra una differenza di trattamento del lavoro con l’Italia che non è minima, ma che viaggia su un terzo, almeno, dell’intero salario percepito, se si considera il prelievo fiscale cui nessun operaio può sfuggire, mentre di imprenditori che evadono il fisco non son solo piene le fosse ma anche le ville in cui abitano, gli yatch su cui viaggiano d’estate e gli splendidi resort montani in cui vanno a passare le settimane bianche.
La pandemia non può essere una scusa per ricusare la proposta unitaria di CGIL, CISL e UIL che per il comparto metalmeccanico chiedono un aumento di 145 euro mensili (appena l’8% dell’attuale regime salariale): Confindustria, quindi Federmeccanica, per parte sua è disposta a concedere soltanto l’adeguamento collegato al tasso inflazionistico, una cifra che oscilla tra i 35 e i 45 euro (quest’ultima, si intende, per i livelli più alti delle maestranze) e che è assolutamente inadeguata al costo della vita non percepito bensì vissuto sulla pelle dei moderni proletari trattati come se fossero una variabile dipendente sempre e soltanto dai privilegi che si devono riservare ai profitti privati.
La pandemia non dovrebbe essere un’alleata della lotta di classe sul fronte padronale: rischia di divenirlo se non vi sarà adesione di massa alla mobilitazione metalmeccanica. I primi segnali, in attesa dello sciopero proclamato unitariamente per i primi giorni di novembre, sono molto incoraggianti: tutto il comparto alimentare e quello più artigianale legato alla lavorazione del legname hanno già aderito e la protesta operaia si diffonde a macchia d’olio in tutta Italia.
In questi mesi l’arroganza confindustriale ha salito gradini sempre più alti e l’ha fatto guardando ad una condizione lavorativa in Italia che è compressa tra l’avanzata di un nuovo schiavismo, che si riversa in larga parte sulle giovani generazioni e lascia nell’apatia più totale e nella disperazione i quarantenni e i cinquantenni che perdono il posto di lavoro e sanno che sarà molto complicato poterne trovare un altro, e il rischio che la fine del blocco dei licenziamenti permetta al padronato di riorganizzare la produzione falciando migliaia di posti di lavoro senza assumersi alcun rischio di impresa (ammesso che di questo davvero si possa parlare in relazione agli ingenti capitali incamerati e portati all’estero per evitare la tassazione italiana).
Lo sciopero dei metalmeccanici va dunque valorizzato con tutto il sostengo possibile da qualunque settore di lavoro, dal mondo della scuola, da quello dei precari: è una lotta vitale per i diritti dei lavoratori perché è il primo attacco che viene portato contro i padroni dopo una fase di stallo, dopo un accovacciamento su posizioni difensive che è stato indotto anche dall’emergenza sanitaria.
Non può essere solo uno sciopero rivolto contro l’esosità imprenditoriale e il muro messo davanti all’aumento dei salari: deve anche essere uno sciopero che rivendichi un ruolo del governo in questa trattativa e che sia un ruolo che assuma tutte le difese e le giuste rivendicazioni dei lavoratori e delle lavoratrici, visto che già troppa attenzione è stata data da Conte e dal suo esecutivo alle pretese di Confindustria.
Non sarà un percorso facile, qualora il governo dovesse decidere di intraprenderlo: la maggioranza è composta da soggetti politici per niente dediti a mettere le sorti dell’economia nelle mani dei milioni di lavoratori italiani, riconoscendo in loro il motore dello sviluppo anche attraverso l’espansione della domanda. Non aiuta la minaccia di una nuova ondata pandemica che proprio in questi giorni inizia a fare capolino. Non aiuta il fatto che il fronte sindacale non abbia una determinazione univoca pur avendo una voce unica in questo frangente: sappiamo bene che CISL e UIL differiscono dall CGIL nella valutazione dei rapporti di forza e ancor di più questa divergenza si avverte se si paragonano le posizioni della FIOM a quelle di FIM e UILM.
Il rinnovo del contratto nazionale sulla sanità è un fatto estremamente importante ma da solo non basta a riqualificare una forza del mondo del lavoro che deve poter prendere spunto dalla crisi pandemica per rimettere al centro delle questioni tanto economiche quanto politiche il primato dei bisogni di decine di milioni di lavoratori, di milioni di giovani precari, studenti-lavoratori e parcellizzati che sono complemente abbandonati, privi di qualunque tutela.
Si tratta di lotta di classe moderna e, quindi, si tratta di applicare senza se e senza ma dei princìpi fondamentali presenti nella nostra Costituzione che uno spavaldo Donald Trump potrebbe definire “comunista” o “sovietica“, visto che mette al primo posto nella fondazione della Repubblica e nel suo mantenimento democratico e popolare proprio il lavoro. Non il profitto.
Il ruolo della sinistra comunista appare ancora troppo marginale e residuale per poter essere anche soltanto preso in considerazione in questi frangenti. Eppure occorre farne cenno, per aprire una discussione che non resti soltanto tale ma che evolva nel coordinamento delle forze anticapitaliste, per la proposta di una alternativa di società che si avvicini alle ragioni dei lavoratori e che dimostri loro di essere l’unica in grado di portarle avanti mettendo in discussione il sistema che provoca tutte queste diseguaglianze e ingiustizie.
Il Covid-19 sta rivoluzionando i rapporti tra le classi sociali meglio di quanto abbiano fatto i partiti della sinistra comunista e di alternativa in decenni di vita: non è un disconoscimento, questo, dei grandi sforzi e del grande impegno messo da decine di migliaia di militanti comunisti nella lotta per l’emancipazione dei lavoratori, per la lotta contro il capitalismo, per la difesa della democrazia e del progressismo ad essa legato. Semmai, è una critica di un passato che ci può insegnare molto per il prossimo futuro. Sarebbe bene farne tesoro. Se ne saremo in grado, se cominceremo a ripensarci – da comuniste e comunisti – fuori dai margini, dagli angoli cui ci hanno imposto di stare. Soprattutto con la mente.
MARCO SFERINI
9 ottobre 2020