Non c’è pausa estiva per una politica italiana che si dimena tra autostrade intasate e concessioni da revocare, tra fondi europei e paesi spilorci dell’Europa di mezzo e nordica, tra scontri tutti interni alla maggioranza per quanto concerne la costruzione di alleanze elettorali a brevissimo termine per la tornata regionale di fine settembre.
Forse nelle prime settimane di agosto tutto questo pandemonio dovrebbe un po’ restare sospeso a mezz’aria, calmarsi. Apparentemente, perché, complice certamente il coronavirus, già il 20 del mese prossimo si apriranno le campagne elettorali tanto per il referendum sul taglio dei parlamentari quanto per le singole realtà regionali.
Se è stato anomalo qualche anno fa affrontare elezioni politiche in pieno febbraio, ora appare assolutamente – e forse ancora di più – strano che nel pieno del sogno di una notte di mezza estate si prendano colla e pennelli, si vadano ad affiggere manifesti, si faccia volantinaggio sotto il sole rovente, mentre molti sono nelle spiagge a rosolare piacevolmente sotto i raggi riverberati dal mare o all’ombra di qualche splendido bosco delle nostre Alpi o dell’Appennino.
L’anomalia è piuttosto importante e rischia di condizionare fortemente il risultato delle due consultazioni tanto sul piano della partecipazione al voto quanto su quello delle scelte di merito. Già non è certo facile spiegare agli italiani che le ragioni del NO al taglio dei parlamentari sono ragioni che, in realtà, non vogliono penalizzare i conti pubblici, proteggere la “casta” o tutelare privilegi indebiti quando l’attenzione nei confronti dei temi strettamente politici è abbastanza alta nel periodo primaverile, appena usciti dall’inverno.
In una estate particolare, anomala, arrivata in ritardo a causa del virus e vissuta tardivamente, con una voglia di recupero del divertimento e del tempo perduto, muovere l’attenzione della popolazione verso questioni molto tecniche e di non semplice e immediata delucidazione sarà compito esclusivo del fronte del NO, visto che coloro che appoggiano il SI’ (praticamente l’intera maggioranza di governo e larga parte dell’opposizione di centrodestra) lo fanno da una posizione privilegiata, quella di un semplicismo populistico che mette in campo pochi slogan, così efficaci tanto quanto distorsivi della realtà dei fatti.
Il cosiddetto “election day“, ben inserito in questo clima e in questa fase temporale, è poi la ciliegina sulla torta di chi le prova ancora una volta tutte per vincere facile, almeno per provarci. Perché non deve essere mai dato per scontato nulla, nemmeno la lotta che appare più complicata e impossibile da vincere.
La concomitanza con il voto per le regionali è simile ad un cuoco che deve cucinare due primi nello stesso momento e ha una folla enorme di palati da soddisfare con poche pentole e padelle (le risorse per le campagne elettorali) e molti ingredienti da assemblare in pochissimo tempo. Date le regole del gioco, stabilite da chi governa e gestisce la partita, diciamo che non ci troviamo esattamente – seppur con tutte le difficoltà del caso – in una bene attrezzata cucina di Masterchef e nemmeno con un pubblico così attento da osservare ogni minimo dettaglio per dare un giudizio equilibrato e farsi una opinione compiuta in merito.
Il rispetto nei confronti della democrazia avrebbe dovuto, in tutti questi decenni, ritrovare largo spazio nell’azione dei governi mostrando particolare attenzione nei confronti delle forze meno rappresentate, più piccole e deboli: invece abbiamo assistito alla costruzione di condizioni di svolgimento delle elezioni attraverso normative elaborate per consentire sempre, nel nome dell’alternanza e del maggioritario (travestito anche da proporzionale con il “Rosatellum“), una rappresentazione falsata della “governabilità” fondata su una sorta di “nomina” del “capo della coalizione” una volta, con indicazione del nome del “premier” sui simboli delle forze in campo un’altra.
Norme scritte e non scritte (le seconde divengono peggiori rispetto alle prime perché assumono le fattezze di una consuetudine popolare ispirata da sapienti canali politici…). Norme che si sono presto ingiallite col passare delle coalizioni, con i loro assemblarsi e scomporsi così rapidi da impedire che la formazione di una nuova legge elettorale fosse nuovamente piegata alle necessità della futuribile alleanza di governo visionariamente intraveduta dopo l’ennesima caduta estiva di un esecutivo.
Norme che si sostituiscono ad altre norme, norme che vogliono mettere da parte storiche norme, ben più alte di rango rispetto alle semplici leggi. Si tratta ancora una volta della Costituzione, della disciplina dell’equilibrio tra i poteri e della composizione concreta di uno di questi: il potere legislativo, il Parlamento.
Anche la proposta di amputazione del numero dei deputati e dei senatori (da 630 a 400 i primi, da 315 a 200 i secondi), a seguito delle vicende del coronavirus, sembra davvero aver perso quel mordente populista tutto basato sul presunto (e finto) “risparmio sui costi della politica“.
Ponendo anche che si possa chiamare tale una decurtazione del sostegno economico all’impianto democratico della nostra Repubblica pari allo 0,007% del totale delle spese per l’amministrazione dello Stato; posto che l’eliminazione di 1,36 euro (tanto viene a costare l’attuale assetto parlamentare ripartito per ogni singolo cittadino all’anno) sia così necessario alla sopravvivenza di ciascuno di noi; posto altresì che, se proprio si vuole parlare di tagli ai costi della casta (perdonate il gioco di parole non cercato, non voluto) si può ridurre lo stipendio dei parlamentari piuttosto che la composizione del Parlamento (che significherebbe meno rappresentanza tra territori e istituzioni rappresentative); tutto ciò posto, mentre ancora l’emergenza sanitaria è tutta da verificare, nonostante si sia transitati dalla “fase 1” ad una non ben precisata “fase 3“, è evidente che semmai bisogna investire di più nel rapporto democratico fra le istituzioni e farle funzionare sempre meglio piuttosto che farle dimagrire con una dieta populista.
Abbiamo potuto sperimentare direttamente in questi mesi come sia necessario sempre un intervento pubblico: sia quando è lo stesso pubblico a cedere sotto una pressione inaspettata, come quella del grave impatto sanitario provocato dal Covid-19; sia quando a cedere è una parte considerevole del privato che amministra ampi settori strategici per l’intera comunità: il caso autostrade è lì a rendercene completamente edotti.
Dunque, in questa estate calda sotto molti punti di vista ed aspetti il lavoro che va fatto è il recupero del rapporto tra Stato e Repubblica, tra istituzioni e popolo sovrano, che proprio attraverso il referendum esercita il massimo della sua sovranità, ancor di più rispetto alla delega con cui elegge i rappresentanti sia nazionali sia locali che amministrano le istituzioni.
Tra pochi giorni sapremo se il ricorso sullo svolgimento contemporaneo di referendum ed elezioni amministrative regionali sarà accettato. Sapremo, quindi, se sarà scorporato dal voto per le amministrative il quesito proposto dalle forze di governo che mira a stravolgere l’istituzione centrale della Repubblica.
Se anche così fosse, sarà una vittoria parzialissima. Il referendum rimarrà comunque in campo, salvo rinvii di altra natura, come quello dovuto al coronavirus. Dunque l’impegno civile in favore del NO deve rinsaldarsi in queste settimane di preparazione di una campagna referendaria consapevole della portata di una (contro)riforma non meno pericolosa di quella proposta da Renzi e Boschi, sonoramente bocciata in quel dicembre di quasi quattro anni fa.
Bisogna evitare che nel nome della democrazia si depotenzi la democrazia stessa e che un Parlamento così davvero poco rappresentativo dell’attuale opinione pubblica trasformi sé stesso in una forma ridotta di rappresentanza popolare, in un “Rump Parliament” tutto italiano, ad onor del vero molto diverso da quello voluto da Cromwell per giudicare i tradimenti di Carlo I Stuart.
MARCO SFERINI
15 luglio 2020
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