E’ scoppiata la rivolta in Polonia. E’ una buona notizia: decine di migliaia di donne sono scese in quasi tutte le città per protestare contro la cattolicissima legge che il governo vorrebbe imporre in merito all’aborto.
Nel paese di Karol Wojtila è possibile abortire legalmente (quasi sempre dietro il permesso di un procuratore della repubblica) solo in tre casi: per manifesta malformazione del feto; quando esiste il pericolo, altrettanto manifesto – ossia constatato dall’autorità giudiziaria – di vita per la madre e, infine, quando vi sia stata violenza carnale, anche questa accertata con timbro e carta intestata della procura dalla pubblica magistratura polacca.
Il diritto della donna di poter decidere del proprio corpo è escluso in ogni altra situazione in cui ci si trovi ad avere un bimbo in grembo.
Anzi, è probabile che, se passasse la nuova normativa caldeggiata dall’esecutivo, chiunque pratichi l’aborto finisca con il rischiare pene detentive varianti dai tre ai cinque anni.
La Chiesa cattolica, neanche a dirlo, appoggia e supporta l’iniziativa e ne fa una crociata vera e propria contro un “modernismo” che ricorda molto le parole di papa Francesco proprio in merito all’aborto pronunciate qualche giorno fa dalle terre caucasiche.
Nino Manfredi avrebbe detto: “Er papa è er papa, che ha da esse?”. Infatti, non ci si può aspettare dal pontefice anche più aperto al dialogo con le fedi e includente, accogliente le “tendenze” sessuali considerate “non tradizionali”, un comportamento che veda l’accettazione dell’interruzione di gravidanza come elemento della dottrina cattolica.
La Chiesa fonda tutto il suo potere formale, il suo comando dal vertice alla base delle sue comunità, sul patriarcalismo e sulla interpretazione del femminile come soggetto attivo solo quando è in odore di santità. Altrimenti, al di fuori di purezza, castità e dedizione allo sposo – figlio di dio, esiste solo il peccato originale che si perpetua nei comportamenti che negano l’amore legato all’eros e che fanno di questo ultimo soltanto una variabile dipendente ai meri fini procreativi.
La donna, pertanto, è soggetta alle leggi divine prima che a quelle del diritto naturale, del diritto universale di tutti gli esseri umani ad essere uguali senza alcuna distinzione di sesso, genere, etnia, cultura e così via dicendo.
Ma proprio tra sesso e genere, dalle valli del Caucaso, proprio Francesco ha risollevato la falsa polemica sulla “teoria del gender” che non esiste e che è solo una invenzione propagandistica per limitare l’espansione di una cultura che includa non solo il maschile e il femminile, ma ogni genere.
Si dirà: ma quali atri generi esistono? Domanda pertinente, visto che siamo stati abituati dai tempi dei tempi, dalla fondazione del mondo, ad individuare solo maschio e femmina e, peraltro, questo è il punto dirimente della questione delle questioni in questo merito, in contrapposizione tra loro.
Si sono addirittura inventati colori che distinguessero per benino il maschietto dalla femminuccia: azzurro e rosa. Ma sono solo convenzioni. Eppure nella nostre menti il rosa è sempre e solo associato alle femmine e alle donne e l’azzurro solo ai maschietti e agli uomini.
Nessuno ha mai preso in considerazione, tranne la psicoanalisi di fine ottocento e dei primi del novecento, che questi due generi non avessero, poi, negli esseri umani dei confini così fortemente distinti e netti: all’uomo si è sempre solo ricondotto il genere maschile e alla donna il genere femminile.
Studi scientifici ci dicono che sesso e genere possono convivere e che il sesso può essere comprensivo di più generi e che in ogni maschio esiste una parte femminile ed in ogni donna esiste una parte maschile.
Il papa non capirebbe, forse molti di voi nemmeno capiscono e concepiscono, quindi, che esista questa articolazione emotiva che ci caratterizza. Eppure questo lato femminile nel maschile ha forse permesso ad un Michelangelo di dipingere la Cappella Sistina con tratti che ad un solo uomo intriso di mera mascolinità, non solo corporale e fisica ma appunto interiormente espressa nelle emotività più recondite, forse non sarebbe riuscito fare.
Viviamo di stereotipi ancestrali, sedimentatisi nel tempo per via della generazione della supremazia dell’uomo sulla donna, del maschio sulla femmina.
Comunque, ad imporsi, è sempre la figura di un uomo che possiede le donne e ne fa ciò che ritiene più opportuno: in nome della sacra famiglia cattolica, dell’unità della medesima, del benessere comune dei figli.
Partorisce la donna, con dolore, val bene la pena di ricordarlo, ma poi nome, istruzione e vita sono tracciati nel segno del maschilismo, del patriarcato come potere unico e come morale comune e dominante.
Così le donne, nella Polonia di un modernissimo 2016, rischiano fino a cinque anni di carcere se non vogliono portare avanti una gravidanza. In qualche modo bisogna punire questa offesa fatta a dio.
Il proibizionismo, la repressione che ne segue e l’oscurantismo che si cala tutto intorno sono i peggiori fomentatori di una costrizione all’aumento di dolore al dolore: non solo la donna soffre per la separazione che mette in atto rispetto alla sua creatura, ma lo deve fare anche nel silenzio di una colpa che la Chiesa cattolica costruisce come tale.
Pierangelo Bertoli cantava di Anna, una ragazza costretta appunto a dare alla luce un figlio che, medici obiettori e preti cattolici, suore e signore benpensanti e pie avrebbero poi chiamato “figlio della colpa” e lei “una Maddalena da pentire”.
La lotta delle donne polacche si intreccia con la lotta per i diritti civili del cosiddetto “mondo omosessuale”: non sono mondi separati da quello in cui viviamo tutte e tutti. Vogliono farlo credere con queste allocuzioni, ma sono gli stessi mondi che ogni giorno ci circondano e sono fatti di persone. Solo di persone che hanno e devono poter avere eguali diritti e, fra tutti, quello più bello: il diritto alla felicità, da poter manifestare liberamente, senza timori e autocensure di comportamenti che la cosiddetta “maggioranza” degli eterosessuali può consentirsi e la altrettanto cosiddetta “minoranza” dei diversi deve invece rinunciare a vivere.
Per questo manifestare è importante: è vivere. La lotta delle donne polacche è la nostra lotta, una delle tante.
Per questo sosteniamole, anche da lontano, aderendo alla loro lettera, contro un medioevo che, come il pregiudizio e ogni altro tipo di imposizione e autoritarismo, si trova sempre dietro l’angolo…
MARCO SFERINI
4 ottobre 2016
foto tratta dalla pagina di adesioni alla campagna in sostegno dei diritti delle donne polacche