Torino e Londra. Non c’è apparentemente nessun legame tra i due terribili fatti che sono avvenuti: nella vecchia capitale del Regno d’Italia una vera e propria visibile ondata di panico ha investito migliaia di persone che stavano assistendo ad una partita di calcio su un grande schermo in piazza e ha provocato un fuggifuggi generale che ha causato più di mille feriti e tutt’ora vede in codice rosso due giovani sospesi tra la vita e la morte, in coma farmacologico.
A Londra, invece, un ennesimo attentato terroristico in più zone della capitale: accoltellamenti, investimenti con furgoni sul London Bridge… Il bilancio sono sei morti e centinaia di feriti.
Torino e Londra, dunque, unite da due fatti sconvolgenti, di dimensioni ovviamente differenti, ma unite da una parola che riecheggia da ieri notte incessantemente sui giornali e negli schermi delle televisioni: panico.
Un petardo, la paura di una bomba, il grido: “C’è una bomba!”, avrebbero fatto scattare quella che è una scossa sismicamente umana nella folla in piazza. La si vede muoversi coordinatamente, come in una coreografia appunto sportiva che somiglia alle “ole” da stadio. Invece è il panico, la paura incontrollata che fa muovere gambe, corpi e braccia indietro, verso un lato solo della piazza e investe tutti coloro che erano ancora attenti alle corse dei giocatori sul campo.
Stupore, incredulità, incomprensione: l’onda arriva senza alcun preavviso. Per l’appunto come quella di un terremoto. Non si può fermare, non si può arginare. La scarica adrenalica, la forza suggestionante e l’istinto di sopravvivenza fanno il resto: ognuno si da al “si salvi chi può”. Dal nulla. Ma nessuno lo sa.
Siamo di fronte ad un “panico indotto” da ossessioni derivate da un regime di paura quotidiana che ci viene istillato goccia dopo goccia ogni ora del giorno e della notte da notizie che ci parlano di uno stato di allerta permanente.
E i fatti di Londra sembrerebbero confermare questa impostazione giornalistica dei fatti.
Ma il panico indotto il panico reale, diciamo con un giustificato motivo, sono effetti ben diversi di cause altrettanto ben diverse: quando un camioncino piomba addosso alla gente che passeggia e ne scendono uomini armati di coltello che sgozzano la gente, il panico non solo è giustificato, ma è la reazione prima di fuga e di evitamento non da un disagio psicologico, bensì da un pericolo reale.
Qui non serve molto Hillman per comprendere l’animo umano, ma basterebbe essere consapevoli che una delle modalità di lotta degli aderenti al califfato nero di Al Baghdadi è la pratica del kamikaze, del coinvolgimento di assoluti innocenti nella lotta tra Daesh e cosiddetti “paesi occidentali” nello scenario mediorientale allargato al mondo intero.
Da Kabul a Londra, i morti di questi giorni sono centinaia. Quelli più vicini a casa nostra ci allarmano sempre maggiormente rispetto a quelli di altri continenti. Siamo preda, anche in questo caso, di una sindrome di difesa delle nostre case, dei nostri territori. Se un attentato ben più grave in quanto a numero di vittime accade in Afghanistan, lo registriamo come una notizia.
Ciò che comunque mette in correlazione Londra e Torino rimane la situazione di panico che si crea proprio a Torino: quella di Londra è comprensibile, naturale, istintivamente umana.
Ma il panico indotto che provoca la ressa e la fuga di massa in pochi secondi è qualcosa su cui riflettere con grande attenzione. Perché a Torino non c’è stato alcun attentato. Probabilmente il petardo fatto scoppiare era molto rumoroso, è apparso come una detonazione di una bomba e in pochissimi istanti ha generato una isteria collettiva che è sfociata nella fuga precipitosa e incontrollata.
Umanamente, ciascuno ha pensato a salvare la propria pelle in barba alla partita di calcio, dove intanto la Juventus era sotto di tre reti rispetto al Real Madrid; ognuno ha abbandonato i propri effetti personali: zainetti, cellulari, scarpe, borse, borselli… e ha calpestato chi era caduto, travolgendolo, lasciandolo a terra… La calca ha premuto s una ringhiera del sottopassaggio e molte persone, spinte su di essa, sono precipitate per metri e metri nel tunnel sottostante.
Scene da incubo, da invasione dei marziani, da attentato terroristico. Appunto.
La generazione della paura incontrollata è frutto di una vita di paura, di una non abitudine alla paura ma di un vivere quotidiano fatto di sospetti, di sguardi guardinghi, di pregiudizi e di condizionamenti quasi telepatici da parte della televisione che non fa che ripeterci che viviamo in clima di allarme. Anche quando non esiste nessun motivo per essere allarmati.
Probabilmente se qualcuno avesse estratto un coltellino per tagliarsi due fette di salame a Torino, mentre guardava sgambettare gli atleti sul campo di Cardiff, qualcuno avrebbe guardato con grande sospetto quel coltellino e magari avrebbe gridato al terrorista che vuole sgozzare la gente indiscriminatamente.
Non possiamo più sapere fin dove si è spinto il confine tra giudizio e pregiudizio, tra timore e ossessione, tra paura e panico indotto.
E questa inconsapevolezza è il terzo dramma della serata che ieri sera si è sviluppata dalle strade di Londra alle piazze e le vie di Torino…
MARCO SFERINI
4 giugno 2017
foto tratta da Pixabay