Con la morte di Fidel Castro si sono scatenati i liberali, di destra, di centro e di sinistra, accusando la storica figura della rivoluzione cubana di essere un “dittatore” e di aver soppresso la libertà. È la solita accusa dei difensori del capitalismo e del globalismo contro i regimi anticapitalisti e socialisti realizzati: nel tentativo di perseguire l’eguaglianza si priva intanto gli uomini della libertà.
È un’accusa che poggia su una distinzione che piace molto ai liberali: quella tra libertà ed eguaglianza. Secondo costoro, e secondo una visione diffusa dai grandi mezzi di informazione, bisogna scegliere tra le due e non si può averle entrambe, o al massimo si può ottenere un compromesso rinunciando a un po’ dell’una e a un po’ dell’altra, e questa sarebbe la socialdemocrazia.
In verità questa visione si fonda su un concetto astratto di libertà. Secondo questo concetto qualunque limitazione delle azione individuali, anche quelle potenzialmente dannose per la società, è una limitazione della libertà. Qual è lo strumento che limita la libertà dell’individuo? La risposta dei liberali è sempre la stessa: il governo, lo stato. Di conseguenza, per affermare la libertà bisogna ridurre l’intervento dello stato, o perlomeno impedirgli di oltrepassare una certa soglia.
Esistono governi nella storia, è indubbio, che hanno tolto la libertà alle persone. Ma il punto focale non è che essi sono governi, ma da chi sono diretti e per servire quale interesse. I liberali considerano il governo come una categoria dello spirito, che resta sempre uguale a se stessa. Non arrivano a comprendere che esso è solo un mezzo che come tutti i mezzi può essere usato per scopi molto diversi, a seconda di chi lo usa.
Inoltre, ignorano o sottovalutano gli effetti del mancato intervento dello stato sulla società e dell’invadenza del mercato. Questo difetto accomuna tutti i liberali, compresi quelli “di sinistra”. Anche questi ultimi, infatti, considerano preferibile – per quanto lo possano criticare – un regime liberista, dove però siano garantite le libertà formali come il diritto formale di parola o il diritto (sempre formale) a costituire più partiti che competano alle elezioni, ma non siano garantiti i diritti sostanziali (lavoro, casa, cure mediche, ecc.) rispetto a un regime socialista post-capitalista.
Lo vediamo anche dall’atteggiamento rispetto a Cuba, l’ultimo paese ancora rimasto delle rivoluzioni socialiste del Novecento. Per quanti progressi possa fare questo paese per assicurare ai propri cittadini un’esistenza dignitosa, essi continueranno sempre a preferire regimi dove la fame e la mancanza di accesso ai servizi essenziali continuano a mietere molte più vittime di quanto possa fare qualsiasi – a loro dire – “dittatura”.
Nonostante Cuba abbia il più alto tasso di alfabetizzazione dell’America latina, per loro non c’è libertà.
Nonostante i cubani (che certo non navigano nell’oro, anche perché sottoposti a un tremendo embargo che malgrado le promesse di Obama non è mai stato abolito) non muoiano per fame e denutrizione come succede in molti paesi, per loro a Cuba non c’è libertà.
Nonostante tutti i cubani, senza distinzione, abbiano diritto all’istruzione e ben il 36% di loro frequenti l’università, per i critici a Cuba non c’è libertà.
Nonostante Cuba abbia il tasso di mortalità infantile più basso delle Americhe, di molto inferiore a quello della “grande democrazia” statunitense, leggermente inferiore a quello dell’Italia e praticamente identico a quello della Gran Bretagna, per loro non c’è libertà.
Nonostante a Cuba tutti, ma proprio tutti, abbiano diritto alle cure sanitarie, contrariamente a quanto avviene nella “grande democrazia”, dove per curarsi bisogna pagare costose assicurazioni private (ammesso che si abbia il reddito necessario) si continua a dire che a Cuba non c’è la libertà.
Nonostante a Cuba esista un parlamento regolarmente eletto dai cittadini, contrariamente a quanto avvenuto in molti paesi sostenuti dagli Stati Uniti e dall’Occidente, a Cuba non c’è la libertà.
Che cos’è la libertà, allora, per i liberali?
Poter scegliere tra due partiti o poli quasi uguali, nessuno dei quali piace agli elettori, che però devono cercare di capire quale può essere il “meno peggio”. Questa, per loro, è libertà.
Lavorare 10 ore al giorno per una paga misera, o non lavorare affatto, oppure lavorare part-time (variante post-novecentesca) per una paga ancora peggiore. Questa è libertà.
Avere il diritto di sciopero, sapendo di poter perdere il lavoro se lo si esercita, perché con la precarizzazione dei contratti si può perderlo in qualsiasi momento. Questa è libertà.
Rivolgersi a strutture private per curarsi, perché con i tagli alla sanità il servizio pubblico è peggiorato, o perché certe prestazione non le offre più. Questa è libertà.
Poter frequentare l’università, a patto di riuscire a pagare le rette. Questa è libertà.
Aver diritto a una casa, a patto che la banca accetti di finanziare il mutuo, altrimenti avere il diritto di dormire per strada… sempre che non arrivi qualche sindaco “legge e ordine” a impedirlo. Questa è libertà.
Vivere in un paese “libero” che però dovrà fare “le riforme” (ovvero privatizzare e cancellare i diritti sociali) perché “ce lo chiede” il mercato, “l’Europa”, la BCE, il Fondo Monetario, il WTO, l’ambasciata Usa, la Cancelleria tedesca, la Borsa, lo Spread, la JP Morgan, l’Economist. Questa è libertà.
Poter ascoltare autorevoli “esperti” che guadagnano dieci volte il salario di un operaio a cui spiegano perché il suo voto non conta niente, perché non guadagna abbastanza da poter mandare il figlio all’università, perché non riesce a pagare la rata del mutuo, perché non può pagare le cure dentistiche di sua figlia e perché tutto ciò deve restare così. E però bisogna cambiare la Costituzione. Questa è libertà.
Far guerra a un paese molto più povero per espropriarlo delle sue risorse, con la scusa di portargli la libertà. Questa è libertà.
La libertà liberale, in sostanza, è la libertà di arricchirsi, di sfruttare, di manipolare, di mentire, di aggredire e di distruggere la vita di milioni di persone per il profitto di pochi.
Se questa è la libertà che desiderano, non c’è da stupirsi se i cubani abbiano respinto tutti i tentati colpi di stato e abbiano preferito la “dittatura” castrista alla “democrazia” capitalistica globalizzata.
MATTEO VOLPE
29 novembre 2016
foto tratta da Pixabay