Studenti che picchiano i professori. Genitori che picchiano i professori. Qualcosa non torna: non sono forme di ribellione, sono veri e propri atti di intimidazione, percosse.
Tenendo in dovuta considerazione le differenze che vi sono da caso a caso, non si può non notare come il filo conduttore sia comunque l’aggressione verso chi rappresenta la scuola pubblica, l’insegnamento.
Non è certo opportuno fare paragoni col passato. Semmai è doveroso concentrarsi sul presente e provare a capire come mai la violenza sia una forma sempre più abituale di comportamento che si adotta quando qualcosa viene rimproverato o stigmatizzato.
Forse che la violenza sia assunta come “modello” comportamentale anche grazie all’esaltazione, diretta o indiretta che sia, che viene fatta dalla televisione, dai tanti, troppi film e telefilm che la mettono al centro delle loro sceneggiature e trame?
Forse che la violenza sia assunta come “modello” in sostituzione di un dialogo impossibile se da una parte non si ha come elemento non solo caratteriale ma anche culturale la capacità di interagire e di spiegarsi?
Sono in atto profondi cambiamenti antropologici sull’onda di un dramma antisociale cui sovente assistiamo dicendoci: “Ma, in fondo, matti ce ne sono sempre!”.
Non sono i matti i protagonisti di queste storie. Sono persone come tutte e tutti noi. Proprio come i nazisti lo erano al loro tempo rispetto ai tedeschi che si reputavano normali e borghesemente tali.
C’è una obbedienza che è anche una virtù, l’unica meritevole d’essere citata: è il rispetto che si deve a sé stessi nel momento in cui si esige il rispetto altrui. Altrimenti chiamata: libertà. Quella vera, che ha dei confini invisibili che devono essere individuati dalla coscienza. Non quella surrogata e falsa del… “Faccio un po’ quello che mi pare e piace”…
(m.s.)
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