Dunque vediamo… Chi muove l’obiezione sulla legittimità costituzionale del Green pass lo fa appellandosi, sostanzialmente, a due motivazioni: la prima di carattere prettamente sanitario e personale, sostenendo che non ha fiducia in ciò che attualmente la scienza ci dice in merito alla bontà dei vaccini; che siamo in una (peraltro evidente) fase di sperimentazione (aggiungerei: la più grande sperimentazione di un farmaco mai vista da cento anni a questa parte, perché coinvolge l’intera – o quasi – popolazione mondiale); che quindi vorrebbe evitare di fare da “cavia“.
La seconda motivazione è, invece, per così dire, di carattere giuridico: si rifiuta il Green pass in quanto somiglierebbe ad una sorta di schedatura di massa, di classificazione ad excludendum, di vera e propria discriminazione, legandola alla precedente obiezione e, quindi, alla libertà di scelta se farsi inoculare o no il vaccino contro il Covid-19.
I tentativi maldestri, eppure – proprio per la loro approssimazione e superficialità – estremamente efficaci nel diffondersi in una parte della popolazione, che pretendono di stabilire un parallelo con l’intensificarsi della politica antisemita del Terzo Reich che, nel suo punto finale e più crudele portò ai campi di sterminio e alle camere a gas, sono la conseguenza non diretta di un’artata costruzione narrativa tanto in-credibile quanto immorale, incivile e fondamentalmente antistorica e inattuale.
Criteri di discussione differenti si incontrano su piani inclinati, resi scivolosissimi da un soggettivismo interpretativo delle realtà scientifiche e di quanto la comunità medica affida alla nostra comprensione: ci sono dei dati di fatto che non sono interpretabili e delle ragioni che non sono eludibili. Questi dati ci consentono di confutare una per una tutte le presunte argomentazioni dei critici sulle vaccinazioni e di proporre una narrazione alternativa sul Green pass, anche se non scevra da critiche almeno per quanto riguarda la metodologia adottata dal governo nell’affrontare la fase pandemica di questo secondo anno.
I fatti, la scienza, ci dicono che sono troppo pochi gli ultracinquantenni che hanno ricevuto entrambe le dosi del vaccino, a differenza della Gran Bretagna dove, ad esempio, il 90% di chi è entrato nella seconda fase della propria vita è protetto dalle ripercussioni più infauste e avverse del Covid-19. I fatti ci dicono che chi si è vaccinato può infettarsi e anche trasmettere l’infezione ma con una differenza sostanziale rispetto ai non vaccinati: su di lui nel 99,5% dei casi il decorso non sarà fatale e, caso mai dovesse trasmettere il coronavirus ad altri, lo farà con una carica virale molto inferiore rispetto a quella di chi non ha sviluppato anticorpi tramite il siero protettivo.
I fatti ci dicono che, al momento, chi finisce in terapia intensiva, in 9 casi su 10 è chi non ha avuto il vaccino o chi non si è voluto sottoporre alla profilassi. I fatti sono questi.
Si possono naturalmente trasformare in opinioni personali, piegandone il significato, stravolgendone le percentuali statistiche e le granitiche certezze matematico-scientifiche, e si può, per ultimo ma non ultimo, farcire la propria campagna elettorale di argomenti che funambolino tra il vero e il falso, facendone un verosimile o un falsificabile a seconda dei casi e alimentando quella percezione di insicurezza che è una spirale perversa di sospetti che nutrono pregiudizi sempre più grandi e sviliscono la razionalità e la fiducia nella scienza.
E’ vero che viene lasciata libertà di scelta nel decidere se vaccinarsi o meno, ma è altrettanto vero che senza il vaccino – e quindi senza il Green pass – sempre più si restringono gli spazi, le agibilità quotidiane e i diritti fondamentali cui si deve poter avere accesso per principio costituzionale, per diritto umano prima ancora che sociale e civile. Qui sta la contraddizione evidente che, da un lato diventa l’alibi fasullo che fa dire ai no-vax di essere vittime di una “dittatura saniaria“, di un regime quasi peggiore di quello hitleriano; dall’altro consente di evitare nuove chiusure a vasto raggio, tutelando chi si trova soprattutto a lavorare, vivere e compiere le proprie giornaliere azioni in spazi chiusi, ristretti o, comunque, dove l’incontro con altre persone è frequente.
Le eccezioni sono innumerevoli, le capziosità che le ingigantiscono e ne fanno dei manifesti antiscientifici, degli argomenti da tribuni della plebe (quasi sempre dei neofascisti negazionisti tanto del virus quanto dell’olocausto! Così almeno un paragone storico-attualistico lo abbiamo trovato) sono ancora di più. Quasi tutte non tengono conto del ruolo che ognuno di noi ha in questa società e dalla quale è impossibile astrarsi completamente, oltre che ingiustificatamente.
Tralasciando il giudizio che si può avere sul governo Draghi (e nel mio caso è una stigmatizzazione senza appello, uno stare convintamente all’opposizione con una sinistra che non è in Parlamento), non si può fare del Green pass un elemento divisivo se non mediante una duplice, antitetica criticità aprioristica che è, in entrambi i casi, deleteria e non aiuta a risolvere la questione o le questioni. Chi accetta il Green pass come se fosse la manna dal cielo finisce per escludere una critica politica che riguarda il merito e il metodo: la necessità di garantire un ritorno progressivo alla presuntuosa “normalità” del pre-pandemia è un dato prettamente economico, ma non si può fare finta di niente e ritenere che non includa – pertanto – tanta parte della nostra vita, del nostro essere sociale e singolare come cittadini, come persone.
Chi, al contrario, vede nel Green pass il prodromo dell’autoritarismo e della dittatura, il complotto delle Big Pharma per imporci chissà cosa, mentre pensano a battere cassa con i profitti che ottengono dalle brevettazioni sui vaccini, commette un errore di valutazione abnorme, perché sopravaluta il ruolo del certificato verde, ne fa un feticcio cui attribuire ogni sorta di male, mentre dimentica tutti gli squilibri inegualitari che la pandemia ha provocato e continua a provocare: mentre ci accingiamo a fare la terza dose del vaccino, praticamente quasi tutta l’Africa, metà dell’Asia e buona parte dell’America Latina non hanno avuto nemmeno la prima…
Delle diseguaglianze si finisce per parlare molto poco, perché gli artefici delle polemiche sull’efficienza delle vaccinazioni, i sapienti soloni che mettono in discussione la scienza (che non è esente da errori, ma che si trova dentro al capitalismo come tutti noi e che deve sottostare a determinate leggi economiche del sistema) sono i più fedeli alleati di un sistema che vuole imbrogliare le carte, ma che non ha nessun interesse a controllare chi è già controllato abbondantemente, ogni giorno, ogni ora, ogni secondo.
Se sparite di casa, scappate e vi cercano, lo faranno con il GPS della vostra auto, del vostro telefonino. Il Green pass non è nulla in confronto ai dispositivi mobili con cui giriamo ogni giorno e che teniamo sempre con noi. Il Green pass è un pezzo di carta che dice solamente se avete fatto il vaccino e se, quindi, siete un po’ meno pericolosi per voi stessi e pure per gli altri in questa pandemia che non è ancora finita.
E’ utilizzato come leva per spingere alla vaccinazione, ma è anche ovvio che chi non si vaccina volontariamente fa una scelta e se ne deve assumere tutte le responsabilità. Perché, capitalismo o no, Draghi o meno, viviamo nello stesso mondo, nel villaggio globale, e non possiamo essere cittadini a corrente alternata, solo quando pretendiamo dei diritti (laicamente sacrosanti, ci mancherebbe) e non quando dobbiamo accollarci dei doveri. Non tutti i doveri sono convincenti, piacevoli e facili da svolgere, ma servono per evitare il venire meno di quei diritti di cui abbiamo necessità per evitare di scadere in una società sempre più ineguale per ragioni economiche, le vere matrigne di tanti, troppi privilegi.
Insicurezza sul lavoro, precarietà, lavoro in nero, razzismo, xenofobia, omofobia e discriminazioni di ogni tipo sono le ragioni della limitazione della libertà di vita di ognuno di noi. Non il Green pass. Cerchiamo di accorgerci per tempo degli abbagli che possiamo prendere, perché se chiamiamo oggi “dittatura sanitaria” qualcosa che non è tale, se pensiamo di essere quasi nel Terzo o Quarto Reich mentre siamo “soltanto” (cogliete tutta la potenza amaramente ironica di questo avverbio, vi scongiuro…) nella ineguale società dei consumi, delle merci e dello sfruttamento dei lavoratori, allora quando dovessimo trovarci davvero nelle condizioni oggi favoleggiate dagli spargitori di fake news, allora e solo allora non saremo in grado di riconoscere l’autoritarismo, la costrizione e la mancanza progressiva di libertà.
La libertà che ci manca non è a causa del Green pass, ma di tante altre scelte che ci piovono addosso e che viviamo come naturali perché di massa, perché consuetudinarie, perché ispirate da una commercializzazione dei bisogni divenuti fittizi, affidati esclusivamente alla merceologizzazione delle nostre vite. La lotta contro i brevetti sui vaccini è una lotta invece da portare avanti: una lotta contro lo sfruttamento delle condizioni di salute di tutte e tutti ad esclusivo vantaggio delle grandi case farmaceutiche. Loro e i governi non hanno bisogno del certificato verde per evitare che la sanità torni completamente pubblica.
Lo specchietto delle allodole dei teoremi complottisti su vaccini farlocchi pieni di microchip, aghi e 5G o del Green pass espressione evidente della tirannia sanitaria funziona soltanto se si dismette una critica a vasto raggio della società delle merci e dei profitti, se ci si chiude nell’asfittico mondo delle fantasie di complotto e si crede, a poco a poco sempre più, che in fondo qualcosa di vero ci deve essere.
La dogmatica perfezione è dei no-vax, la conoscenza perfettibile è della scienza. E questo è tutto.
MARCO SFERINI
17 settembre 2021
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