Due buone notizie: gli operai dell’Ilva di Cornigliano hanno vinto la loro battaglia e un sottosegretario del governo sarà presente alle trattative sul futuro dell’azienda siderurgica; una poliziotta ha stretto la mano ai lavoratori e si è tolta il casco.
Non accade quasi mai, ed è un gesto certamente diplomatico, di allentamento della tensione tra manifestanti e forze dell’ordine, ma è comunque un bel gesto che si vorrebbe vedere spesso.
Ma, dopo il terzo giorno di mobilitazione degli operai guidati dalla Fiom (Fim e Uilm hanno preso le distanze dall’occupazione della fabbrica e anche dai cortei), rimangono comunque degli interrogativi su come mai il governo non pensi ad inviare direttamente il ministro del lavoro per una vicenda che riguarda una delle fabbriche più importanti d’Italia, uno dei centri siderurgici storici del Paese e che vede in campo migliaia di lavoratori che rischiano di non avere alcun futuro.
Pazienza che in televisione il ministro sbagli la data di scrittura dell’accordo di programma aziendale: dal 2005 fa fare al testo un salto indietro di dieci anni. Succede, la memoria o l’impreparazione fa brutti scherzi. E poi, è tempo di carnevale e quindi tutto torna e ritorna in un contesto di semi serietà, ma ciò che non si capisce è quale posizione intenda prendere il governo su quell’accordo.
Superarlo? Confermarlo? Vi si aggiunge anche il sindaco Marco Doria al teatrino dei dubbi e delle incertezze: criticando la Fiom per eccessivo zelo, per aver “anticipato il risultato di un tavolo di trattativa che si terrà il 4 febbraio a Roma al Ministero dello Sviluppo Economico, il primo cittadino della Superba pensa di fare un servizio di appoggio alla causa dei lavoratori? Pensa di sostenere le ragioni di chi vuole la conferma di un accordo o pensa di dare man forte ad una posizione aziendale che, nel caso continuino i blocchi dei lavoratori, minaccia di chiudere Novi Ligure e di interromperne la produzione?
Una cosa è certa: la compattezza del fronte operaio di questi giorni, la determinazione a proseguire ad oltranza una lotta che lavoratori e lavoratrici dell’Ilva hanno già parzialmente vinto costringendo il governo a non disertare il tavolo delle trattative.
Rimane disarmante la divisione sindacale: già ci si trova in presenza di una mancata sponda politica di una certa importanza, con un Partito democratico che vuole servire la causa dei lavoratori e quella dei padroni allo stesso tempo. Come possa farlo rimane un mistero, visto che, da che mondo è mondo, da che lotta di classe esiste, questi interessi sono per natura opposti, diametralmente opposti. Anche nel caso dell’Ilva di Cornigliano.
Rifondazione Comunista invece si schiera dalla parte degli operai e chiede che tutta la sinistra li appoggi non solo con dei comunicati, ma scendendo in piazza, nelle vie di Genova per sostenere una mobilitazione che crea indubbiamente dei disagi ai cittadini, ma che vuole salvare l’esistenza non soltanto di un sito industriale primario per Genova e provincia, ma prima di tutto il diritto ad una vita dignitosa per chi lavora.
Senza la Fiom questi lavoratori sarebbero stati privi di un appoggio concreto: l’amaro riflessione che si trae da questi pochi giorni di agitazione operaia è proprio quella di una assenza di una forte sponda sia sindacale che politica. La Fiom supplisce alle divisioni tra Cgil, Cisl e Uil, mentre le forze della sinistra comunista sono praticamente inesistenti nel far sentire ai lavoratori le ragioni “di classe” di una lotta che è nata e si è amplificata grazie al senso di appartenenza di un settore sindacale cui dobbiamo la difesa anche della democrazia in questo Paese.
Ma un sindacato ha un ruolo predeterminato in una società capitalista: è e non può essere altrimenti se non una componente necessaria dei rapporti di classe. Un partito comunista, invece, assume questo ruolo senza una predeterminazione indotta dalle contingenze. Solo la volontà di superare lo sfruttamento ci ha portato e ci porta ancora oggi a non far venire meno la necessità attuale e storica della presenza organizzata dei comunisti e delle comuniste in Italia.
La lotta dei lavoratori dell’Ilva ci ha sbattuto in faccia una realtà che già conoscevamo: quella della nostra insufficienza che rischia di diventare cronica, senza rimedio se non rifonderemo la “differenza” politica e sociale dei comunisti rispetto a tutte le altre forze politiche.
Dobbiamo tornare ad essere distinguibili come elemento politico, come rifinenti politico di classe. Senza coscienza di classe, tutto questo non può avvenire e perciò, proprio perché la lotta in questo senso non dipende soltanto da noi comunisti, occorre reinserirsi nella società mettendoci a disposizione di una vasta rete di interessi sociali evitando di diventare espressioni caricaturali di un esclusivismo operaista che non aiuterebbe in nessun modo proprio, per primi, gli operai stessi.
Dalla lotta di Cornigliano ad una nuova unità di classe di tutti gli sfruttati il passo non è per niente breve. Ma se non comincia mai a camminare, non si arriverà mai da nessuna parte.
MARCO SFERINI
28 gennaio 2016
foto tratta da Pixabay