Tutte le volte che studiamo la storia della Comune, la vediamo sotto un nuovo aspetto, grazie all’esperienza acquisita nelle lotte rivoluzionarie ulteriori e soprattutto nelle ultime rivoluzioni, non solamente in quella russa, ma anche in quella tedesca ed ungherese. La guerra franco-tedesca fu una sanguinosa esplosione, presagio dell’immane carneficina mondiale; la Comune di Parigi fu il chiaro presagio della rivoluzione proletaria. La Comune ci rivela l’eroismo delle masse proletarie, la loro capacità di formar un solo blocco, di sacrificarsi in nome dell’avvenire, ma ci rivela, nello stesso tempo, l’incapacità delle masse a scegliere la loro via, la loro indecisione nella direzione del movimento, l’arrestarsi di fronte ai primi successi, il permettere al nemico di riaversi e di ristabilire la sua posizione.
La comune è venuta troppo tardi. Essa avrebbe potuto impadronirsi del potere il quattro settembre, epoca in cui era possibile al proletariato di Parigi, di mettersi alla testa dei lavoratori della Francia nella loro lotta contro tutte le forze del passato, tanto contro Bismark, quanto contro Thiers. Ma il potere era allora nelle mani dei chiacchieroni democratici, dei deputati di Parigi.
Il proletariato parigino non aveva né un partito, né dei capi a cui fosse legato da lotte anteriori. I patrioti piccolo-borghesi, che si credevano socialisti, cercavano l’appoggio degli operai senza nutrire per essi nessuna fiducia.
Scuotevano la fede del proletariato in sé stesso ed erano continuamente alla ricerca di avvocati celebri, di giornalisti, di deputati, ai quali affidare il movimento ed il cui bagaglio consisteva in una dozzina di frasi vagamente rivoluzionarie. Un vero partito operaio non è una macchina di manovra parlamentare, ma l’esperienza accumulata ed organizzata del proletariato.
Soltanto con l’aiuto del partito – che poggia su tutta la storia del suo passato, che prevede teoricamente le vie e le fasi dello sviluppo, derivandone le formule necessarie all’azione – il proletariato si libera dalla necessita di rifare ogni giorno la sua storia, si libera dalle sue esitazioni, dalla sua indecisione, dai suoi errori. Il proletariato di Parigi non aveva un tal partito. I socialisti borghesi, di cui abbondava la Comune, alzavano gli occhi al cielo, aspettavano il miracolo, la parola profetica ed esitavano, mentre che la massa si disorientava a cagione dell’indecisione degli uni e della fantasia degli altri. Il risultato fu che la rivoluzione scoppiò troppo tardi e mentre Parigi era ormai isolata. Occorsero sei mesi al proletariato per impadronirsi del potere e prima che potesse trar profitto delle lezioni delle rivoluzioni passate, delle lotte combattute altre volte, dei reiterati tradimenti della democrazia.
Questi sei mesi furono una perdita irreparabile. Se nel settembre 1870, alla testa del proletariato parigino si fosse trovato un partito centralizzato di azione rivoluzionaria, tutta la storia della Francia, e con essa tutta la storia dell’umanità, avrebbe preso un’altra direzione.
Il Comitato Centrale della Guardia Nazionale non è infatti che un consiglio di operai armati e di piccolo-borghesi.
Un tale consiglio, eletto immediatamente dalle masse che hanno imboccato subito la via rivoluzionaria, rappresenta un magnifico apparato d’azione. Ma rivela nello stesso tempo, e logicamente – a causa del suo legame immediato ed elementare con le masse che sono nelle condizioni in cui la rivoluzione le ha colte – non soltanto tutti i lati forti, ma anche tutti i lati deboli della massa stessa; riflette, anzi, più i lati deboli che quelli forti; manifesta, insomma, lo spirito di indecisione e di attesa, la tendenza all’inazione dopo i primi successi.
La passività e l’indecisione furono anche determinate dai sacri principi della «Federazione» e dell’«Autonomia». Parigi non è che un comune in mezzo a molti altri comuni. Parigi non vuole imporre niente a nessuno; non lotta per la dittatura; ma per la «dittatura dell’esempio». Insomma fu un tentativo per sostituire alla rivoluzione proletaria in sviluppo una riforma piccolo-borghese: l’autonomia comunale.
Il vero compito rivoluzionario consisteva nell’assicurare al proletariato il Potere in tutto il paese. Parigi doveva servire di base, d’appoggio, di piazza d’armi.
L’ostilità all’organizzazione centralizzata – eredità del localismo e dell’autonomia piccolo-borghese – è senza dubbio il lato debole d’una certa parte del proletariato francese. L’autonomia delle sezioni, dei dipartimenti, dei battaglioni, delle città, è per certi rivoluzionari la garanzia superiore della vera attività e dell’indipendenza individuale. Ma è questo il grande errore che il proletariato francese sconta caramente.
Possiamo sfogliare pagina per pagina la storia della Comune; vi troveremo una sola grande lezione: occorre una forte direzione di Partito. Il proletariato francese, più di ogni altro proletariato, ha molto sacrificato alla Rivoluzione. Ma più di ogni altro, ha subìto dei gravi disinganni. La borghesia lo ha sempre abbagliato con i colori del repubblicanismo, del radicalismo e del socialismo, per mettergli più saldamente le catene del capitalismo. La borghesia per mezzo dei suoi agenti, i suoi avvocati, i suoi giornalisti, lo ha rimpizzato di formule democratiche, parlamentari, autonomiste, che sono altrettanti ostacoli che impediscono la marcia in avanti del proletariato.
Il temperamento del proletariato francese è quello della lava incandescente. Ma questa lava è ricoperta oggi dalla cenere dello scetticismo, effetto di molte e gravi delusioni. Ma appunto perciò i proletari rivoluzionari di Francia debbono essere più severi verso il loro partito e debbono denunziare senza pietà ogni differenza che ci fosse fra le parole e i fatti del Partito.
Gli operai francesi hanno bisogno d’un organismo di lotta forte come l’acciaio, con dei capi controllati dalla massa ad ogni tappa del movimento rivoluzionario.
Quanto tempo ci darà la storia per prepararci? Non lo sappiamo. Da cinquant’anni la borghesia francese detiene ed esercita il potere, dopo aver proclamato la Terza Repubblica sulle ossa dei comunardi. I lottatori del ’71 non mancavano d’eroismo. Mancava loro la chiarezza del metodo ed un organismo dirigente centralizzato. Ecco perché sono stati vinti.
Mezzo secolo ha dovuto passare, prima che il proletariato francese si potesse porre il problema di vendicare i morti della Comune. Ma questa volta l’azione sarà più decisa, più concentrata. Gli eredi di Thiers dovranno pagare il loro debito storico, integralmente.
LEV TROTSKY
Scritto il 4 febbraio 1921, in occasione del 50° anniversario della Comune di Parigi, il presente testo è stato successivamente tradotto e pubblicato sull’Unità del 20 marzo 1924.
da Archivio Internet dei marxisti
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