La guerra in Ucraina e quella contro l’ANPI in Italia

Secondo i sostenitori dell’armamento a tutto spiano delle forze armate e del popolo ucraino (ovviamente nel nome della pace, sic!), l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia avrebbe dovuto avere pressapoco una...

Secondo i sostenitori dell’armamento a tutto spiano delle forze armate e del popolo ucraino (ovviamente nel nome della pace, sic!), l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia avrebbe dovuto avere pressapoco una linea di questo tipo sulla guerra: siamo contro ogni conflitto ma riteniamo necessario l’invio di armi a Kiev per permettere alla resistenza di consolidarsi e battere così l’aggressore russo. Perdonate la semplificazione, ma, all’incirca, è questo il succo delle tante esternazioni che è capitato disgraziatamente leggere sui giornali e su Internet a questo proposito e che non è possibile riassumere altrimenti.

Pressapoco tutto inizia con la guerra. Ma, forse, la polemica prima e l’attacco sperticato contro l’ANPI poi, si ingrossano enormemente quando le televisioni iniziano a rimandare le immagini dei cadaveri abbandonati per le strade di Bucha. Si parla di strage, di 400 e più morti, di uomini seviziati, di donne torturate e stuprate, di bambini uccisi senza alcun perché. Ammesso che possa mai esservi uno straccio di motivo per ammazzare un bambino. Ma la guerra stermina soprattutto gli innocenti e – dicono le aride statistiche – nelle guerre modernissime il 90% dei morti sono civili e non militari.

L’ANPI osa prendere posizione, affermando – al pari dell’ONU – che su quella strage occorre avere non tanto la presunzione di innocenza di chicchessia, perché i cadaveri sono lì a testimoniare l’orrore della guerra, quanto la presunzione di una verifica dei fatti, del loro svolgimento, mediante una inchiesta imparziale e internazionale. Per alcuni grandi intellettuali democratici e liberali, ma pure di sinistra, è una esplicita e manifesta difesa di Putin e della sua sporca invasione.

Non ci sono mezzi termini. Per rientrare a pieno titolo nella grande cerchia di coloro che condannano il conflitto, ossia a parole praticamente tutti e prima di ogni altro quelli che pretendono l’invio di sempre più armi a Kiev, bisogna uniformarsi immediatamente alla narrazione che diventa dominante.

Quella di Bucha è una strage. E, in quanto tale, non può non essere attribuita ai russi. Poco importa se l’ANPI precisa di aver da sempre condannato qualunque guerra e di ricercare, proprio in quanto memore del secondo conflitto mondiale e del grande sacrificio partigiano e resistente, sempre la pace, con ogni mezzo diplomatico possibile. Poco importa che la storia stessa dell’Associazione sia lì a confermare tutto questo.

I difensori dei valori occidentali e degli Stati che esportano la democrazia sul rombo dei motori dei bombardieri pretendono che si rispetti il protocollo: i buoni sono per forza quelli per cui parteggiamo noi e tutti gli altri devono per forza essere cattivi, cattivi. Un po’ come i serbi al tempo della guerra scatenata dalla NATO contro Belgrado. La crudeltà tutta da una parte e dall’altra solo la libertà portata anche dai nostri aerei che bombardavano i ponti e i quartieri più popolari della capitale serba, sul bel Danubio blu…

Ci sono due guerre ormai. Una che devasta i corpi, ammazza e fa di un popolo una grande strage. Ed una contro le menti, gestita dalla propaganda delle due parti, dei loro alleati e di tutti coloro che hanno interessi opposti in questa guerra. Chi come l’ANPI osa pretendere la verità in tempi bellici, si deve attendere di essere il bersaglio di anatemi, stigmi e insulti spacciati per opinioni. Non è consentito schierarsi solo dalla parte della pace, perché si viene a rappresentare la cattiva coscienza di tutte e tutti coloro che invocano proprio la pace nel giustificare l’invio di armi sempre più pesanti e moderne per permettere agli ucraini di vincere contro i russi.

La riflessione dovrebbe partire proprio da qui: vogliamo davvero che qualcuno sia vincitore di questa guerra? Sappiamo cosa vuol dire avere un vincitore ed avere uno sconfitto? Non abbiamo letto, visto e studiato abbastanza la storia della Seconda guerra mondiale per non sapere che la pace a cui si arriva dopo la resa incondizionata è costruita sulla totale rovina di intere nazioni? Alcuni sostengono: «Ma la Resistenza è stata Guerra di Liberazione, inserita in un contesto di scontro tra potenze mondiali proprio come oggi accade all’Ucraina e al suo popolo». Certo, con la differenza che oggi noi siamo pienamente consci del dove una guerra conduce,  dove porta quella tra le grandi nazioni, tra i blocchi contrapposti.

Se non fosse stato sufficiente il secondo grande omicidio mondiale tra il 1939 e il 1945, almeno la Guerra fredda successiva avrebbe dovuto insegnare a noi, se non proprio ai governi e ai poteri economici, che si può arrivare sulla soglia della catastrofe globale, dell’autodistruzione della specie umana e di tanti altri miliardi di vite che non sono le nostre su questo pianeta. La sottile linea di separazione tra esistenza e annichilimento, tra istinto di autoconservazione ed estinzione si è già fatta una vota estremamente esile.

Adesso non abbiamo più alibi per sostenere gli scontri armati globali nel nome della altrettanto pace globale. Adesso non abbiamo più l’alibi del non riconoscere i totalitarismi e gli imperialismi; non possiamo più invocare il “non potevamo saperlo“, quando vediamo gli stermini di massa. Sappiamo che la guerra che si vuole prolungare, minacciando di farla per dieci anni, è soltanto apparentemente una punta di orgoglio e di voglia di giustizia popolare: è prospettare al mondo una carneficina come quella di ottanta anni fa assecondando la parte che si è scelta (ben prima dell’aggressione putiniana) per mettere al sicuro i propri interessi.

Oggi, dunque, sappiamo a cosa portano il riarmo degli Stati e l’invio di armi in massa a chi viene usato come capro espiatorio per combattersi nella ridefinizione dei perimetri geopolitici mondiali.

Per questo non è possibile mettere a paragone il Partigianato e la Resistenza italiana, o anche quella francese o persino quella balcanica, con ciò che sta avvenendo in Ucraina. Non è possibile se non rendendosi conto della dicotomia profonda che si crea nel momento in cui si forza su questo paragone. Non è possibile perché oggi sappiamo, a posteriori, che fermare la guerra a qualunque costo significa evitare di far pagare il prezzo della lunghezza di un conflitto proprio ai civili. Oggi la netta contrarietà alla guerra è un valore irrinunciabile.

Tra la guerra contro il Terzo Reich e quella tra Russia e Ucraina oggi, almeno per noi italiani, c’è di mezzo un Costituzione e una condanna dei conflitti senza alcuna esitazione. Non è sufficiente una consonanza tra gli avvenimenti per determinare la legittimità di un paragone addirittura storico-attualistico. Farlo, vuol dire creare un precedente molto pericoloso che rischia di ridurre il passato ad appendice del presente o di enfatizzare comunque le contingenze di oggi a tutto discapito dei fatti ormai acclarati di ieri.

Infatti, se dissertiamo sugli accadimenti europei intercorsi tra il 1939 e il 1945, siamo in grado, grazie ad una vastissima letteratura, ed anche a raffronti con opinioni profondamente differenti, di avere un quadro complessivo sempre meno complicato da disarticolare. Se invece la discussione riguarda gli sviluppi locali e globali della guerra tra Russia e Ucraina, dobbiamo ammettere che solo l’avventatezza di una isteria necessaria a chi ha bisogno di un nemico per sopravvivere politicamente è alla base di una presa di posizione dell’uno o dell’altro contendente.

Tuttavia, è anche vero che la parzialità delle informazioni, il continuum degli sviluppi sul campo di guerra e la propaganda sui due fronti non sono delle scusanti per evitare di accorgersi di quel che accade e di rimanere intrappolati nella vischiosità della scelta obbligata, aprioristica e soprattutto acritica.

Non c’è altra via se non quella del cessate il fuoco e del dialogo, dei negoziati. Dobbiamo avere chiara questa evidenza: il popolo ucraino da un lato e i separatisti filo-russi dall’altro sono usati da due opposti imperialismi per ridisegnare la geopolitica euro-asiatica e mondiale. Sulla pelle di quella gente che muore ogni giorno, Putin, Biden, Stoltenberg e molti altri, giocano i destini delle economie e del potere politico che le protegge. Non ci sono altri motivi a sostegno di questa guerra da parte di chi parteggia per Putin pensando di ostacolare il capitalismo occidentale e la politica di espansione militare della NATO.

Ma ci sono, invece, molti motivi per sostenere le ragioni della fine del conflitto al posto dell’invio di ingentissimi quantitativi di armi. Ci sono molte e diverse ragioni per ritenere che la Storia ci insegni a mettere fine alle guerre, una volta che sono purtroppo iniziate, il prima possibile e a non sposare il principio del vincitore a tutti i costi. Più una guerra perdura, più si muore mentre altri lucrano e fanno profitti su tutte queste morti.

Nessun popolo ha il dovere di sacrificarsi, di immolarsi per mettere fine ai conflitti scatenati dai governi dei propri paesi. Perché la guerra non è un diritto delle nazioni, ma solo un privilegio della prepotenza del potere. E, siccome siamo contro tutti i privilegi, che non sono mai buoni, siamo anche contro questo. Indiscutibilmente.

MARCO SFERINI

19 aprile 2022

foto: screenshot

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