In Italia in questo momento ci sono almeno quattro fronti del movimento per la pace che guarda all’Ucraina. Danno il segno di una vitalità eccezionale così come, purtroppo e in onore a un vecchio mantra che sembra una condanna, del fatto che il movimento fatica a trovare una voce sola nonostante la strada sia comune. Tutti la pensano infatti e a grandi linee allo stesso modo: dialogo, no alle armi, non violenza, pressione sui governi, società civile.
Ma ognuno va un po’ per la sua strada. Proveremo a darne conto pur con tutti i limiti di una conoscenza, tanto è vasto questo movimento assai poco raccontato, per forza di cose limitata e forse anche lacunosa.
L’aspetto forse più interessante sembra quello che riguarda la coalizione StoptheWarNow, nata grazie soprattutto alla spinta dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, nota anche per il suo impegno all’estero come “Operazione Colomba”.
In pochissimo tempo la sigla ha agglutinato formazioni assai diverse: grandi e piccole, prettamente umanitarie, sindacali, laiche e cattoliche. La coalizione ha già organizzato due carovane a Leopoli e a Odessa trasportando tonnellate di generi di prima necessità e spesso riportando in Italia persone (nell’ordine delle centinaia) con fragilità.
Ha aperto una base a Odessa e pianifica di aprirne altre due fisse a Kiev e Leopoli in modo da strutturare un lavoro di costruzione di relazioni al momento ai suoi inizi. Una terza carovana è prevista per fine agosto. Al suo interno si muovono progetti diversi come, per esempio, quello che Un ponte per sta costruendo con le realtà associative ucraine di Kiev o l’adesione alla manifestazione nazionale indetta da Europe for Peace per il 23 luglio per una conferenza internazionale di Pace .
Una seconda iniziativa si chiama Mean e Angelo Moretti e Marco Bentivogli l’hanno spiegata così su Repubblica: “è nato un ponte di dialogo straordinario ed inedito tra la cittadinanza attiva italiana e quella ucraina” da cui è nato il progetto di un “Movimento Europeo di Azione nonviolenta” con l’obiettivo di collegare le società civili europee, ucraine e russe.
L’idea è di un’azione “corale e civica” che si trasformerà l’11 luglio in un’andata “in massa a Kiev” così che “i leader della società civile italiana ed ucraina prenderanno parola insieme per parlare della pace possibile”. E ancora: “La costruzione della pace è un valore da coltivare ogni giorno… La pace non è una bandiera di posizionamento. Non può essere strumentale”.
Discorsi sacrosanti – forse un po’ enfatici – anche se il numero dei marciatori previsto si è realisticamente ridotto dai 5mila iniziali a un più saggio “limite di 150 attivisti, come la legge marziale prevede” (e anche la capienza dei rifugi anti aerei). Quel che stupisce è che non si sia stabilito un legame con StoptheWarNow, se non altro per essere stata la prima iniziativa e soprattutto per aver raccolto nella sua variegata coalizione, a oggi, 176 associazioni. Hai ormai un’esperienza importante di cui far tesoro. C’è stato uno scambio di lettere ma alla fine nessun accordo.
C’è un’altra assenza molto rilevante nella coalizione StoptheWarNow ed è quella della Tavola della Pace o, per dirla in altri termini, del coordinamento della Marcia Perugia Assisi, di cui tutti conosciamo numeri e importanza. Assenza pesante e forse difficile da capire per chi marcia tutti gli anni da Perugia ad Assisi. Ed è proprio a questo popolo di “cani sciolti”, che non fanno parte di nessuna associazione, organizzazione, chiesa o sindacato, che resta da dedicare il finale di questa breve sintesi.
Nel seguire le carovane e in diversi incontri in giro per l’Italia sulla guerra, non solo abbiamo registrato un desiderio (specie tra giovani e giovanissimi) di partecipare “fisicamente” ad azioni concrete, ma abbiamo toccato con mano più di una realtà, fatta magari di quattro ragazzi che, affittato un pulmino e riempitolo di pasta e pelati, son partiti per Kiev.
Con grande entusiasmo (come ai tempi della guerra nei Balcani) e racimolando fondi qui e là e spesso anche mettendosi in rete con i propri Comuni. Ma senza guida o un’agenda che vada oltre la solidarietà umanitaria. Senza, insomma, un percorso politico che richiede tempo, ricerca, organizzazione.
Facciamo nostro il commento di una grande testimone del pacifismo italiano: “Il movimento per la pace è la parte migliore della società italiana – dice Lisa Clark – ma se non si parte assieme, non si costruisce nulla”.
EMANUELE GIORDANA
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