Negli ultimi decenni i registi del nostro Paese hanno cercato, con alterne fortune, di liberarsi da una parte della tradizione autorevole quanto ingombrante dei protagonisti del neorealismo e del cinema impegnato degli anni settanta, dall’altra della pratica del cinema commerciale, scarso sul piano artistico e culturale. Tentativi, il più delle volte favoriti dalle sovvenzioni statali, che hanno portato all’affermazione di nuova generazione di cineasti in Italia. Da Giuseppe Tornatore (Nuovo Cinema Paradiso) a Gabriele Salvatores (Mediterraneo), da Paolo Virzì (Ovosodo) a Ferzan Özpetek (Le fate ignoranti), da Wilma Labate (La mia generazione) a Matteo Garrone (Gomorra) fino ad arrivare Paolo Sorrentino che nel 2014 vinse l’Oscar al Miglior film straniero per La grande bellezza.
Nato a Napoli il 31 maggio del 1970, dopo aver studiato Economia e Commercio, a 25 anni decise di dedicarsi al cinema. Debuttò con alcuni cortometraggi per poi segnalarsi con L’uomo in più (2001) che racconta le storie parallele di un calciatore all’apice del successo e di un cantante. Dopo aver preso parte al documentario collettivo La primavera del 2002. L’Italia protesta, l’Italia si ferma, coordinato da Citto Maselli, Sorrentino si affermò definitivamente col successivo Le conseguenze dell’amore (2004), storia di una relazione impossibile tra un uomo misterioso e una barista, che lo portò alla nomination alla Palma d’oro a Cannes e ad aggiudicarsi cinque David di Donatello.
Dopo L’amico di famiglia (2006) con Fabrizio Bentivoglio, Sorrentino realizzò Il Divo (2008) sulla figura di Giulio Andreotti magnificamente interpretato da Toni Servillo, già protagonista dei primi due lungometraggi. Il film valse al regista il Premio della giuria Festival di Cannes. Nel 2011 girò il suo primo film il lingua inglese, This Must Be the Place, che fece conoscere il regista oltre oceano, anche grazie all’interpretazione di Sean Penn.
Sorrentino iniziò quindi a lavorare, insieme allo scrittore e sceneggiatore Umberto Contarello (Padova, 13 luglio 1958), ad un nuovo progetto che il regista voleva capace di raccontare tutte le possibili forme di bellezza e di bruttezza, di gioia e di disperazione degli esseri umani. Le ripresero iniziarono a Roma il 9 agosto del 2012. Nacque così La grande bellezza presentato alla 66ª edizione del Festival di Cannes il 21 maggio 2013.
Protagonista delle notti mondane romane, Jep Gambardella (Toni Servillo) sessantacinquenne appassionato di feste e belle donne, si ritrova perso tra la nostalgia del passato e l’incertezza del futuro. Autore quarant’anni prima di un unico romanzo, “L’apparato umano”, oggi è un giornalista di costume che intervista artisti o presunti tali (come Talia Concept, interpretata da Anita Kravos) per il giornale diretto dall’amica e confidente Dadina (Giovanna Vignola). Jep si rende, tuttavia, conto di aver vissuto superficialmente e inizia la ricerca di una grande bellezza, tra la decadente borghesia e gli stereotipi della società. Smaschera la falsa coscienza dell’amica Stefania (Galatea Ranzi), sta al gioco delle chiacchiere del vanesio Lello Cava (Carlo Buccirosso), ascolta paziente le lamentazioni di Romano (Carlo Verdone) affiancato dalla sua inquieta “non fidanzata” (Anna Della Rosa). Fino a quanto una sera conosce Ramona (Sabrina Ferilli), la misteriosa figlia del vecchio amico Egidio (Massimo De Francovich), con la quale inizia una relazione tra una seduta collettiva di chirurgia estetica dal “santone” Alfio Bracco (Massimo Popolizio) e uno stanco rituale artistico-mondano a casa di un collezionista (Lillo). Ma la morte prematura della donna, lascerà Jep solo con il ricordo della sua prima fidanzata (Annaluisa Capasa) e con le domande inespresse a cui ne il cardinale Bellucci (Roberto Herlitzka) ne la vecchissima suora santa (Giusi Merli) sapranno dare una risposta.
Finanziato in parte con soldi pubblici (un milione e 100 mila euro dal Ministero e 315 mila dalla Regione Lazio), dato che testimonia come il contributo pubblico sia fondamentale anche per il cinema, La grande bellezza racconta una Roma senza un centro, dove le feste sono, secondo le parole del regista, un rituale per “dimenticarsi e rinviare all’intensità dell’alba romana il noioso e inevitabile appuntamento con se stessi”. Ma al fianco della “grande bruttezza” di questa mondanità sfibrante e inconcludente, dove anche un funerale è un evento da “recitare”, il film regala momenti di grande poesia e malinconici ritratti di persone destinate alla sconfitta. Inevitabile il paragone con l’inarrivabile La dolce vita (1960) di Federico Fellini.
Grande successo di pubblico e, tra il 2013 e il 2014, pioggia di premi per il film, che all’estero venne ribattezzato The Great Beauty: Miglior film straniero nel 2014 (quindici anni dopo La vita è bella di Roberto Benigni) con quell’indimenticabile dedica a Federico Fellini, Martin Scorsese, i Talking Heads e Diego Armando Maradona, Golden Globe per il Miglior film straniero, European Film Award e il British Academy Film Award come Miglior film dell’anno, nove David di Donatello (tra cui Migliore regia e Miglior attore protagonista), cinque Nastri d’argento nel 2013 (tra gli altri a Servillo, Verdone e Ferilli) e uno speciale nel 2014 per gli attori non protagonisti del film, otto Ciak d’oro.
Nel 2016 Sorrentino fece uscire una versione estesa con ben 31 minuti in più e molte scene inedite: l’intervista di Jep al vecchio regista (Giulio Brogi), la visita in campagna alla madre (Fiammetta Baralla) di Ramona, l’arrivo in mongolfiera dei genitori dello sposo e la successiva “caccia alla puzzola” guidata dal cardinale, il semaforo all’agro pontino, l’incontro e il dialogo notturno tra Jep e Fanny Ardant. Scene che aiutano la narrazione “a restituire meglio le sensazioni del protagonista, un po’ spaesato e un po’ compiaciuto, ospite di una città di cui vorrebbe cogliere il segreto che gli sfugge costantemente e che rilevano il vero senso del film” (Mereghetti).
Da segnalare il pluripremiato cast a partire dall’attore-feticcio del regista Toni Servillo, all’anagrafe Marco Antonio Servillo (Afragola, 25 gennaio 1959) che debuttò negli anni novanta in Morte di un matematico napoletano diretto da Mario Martone per poi iniziare il lungo sodalizio con Sorrentino che raggiunse l’apice proprio nell’interpretazione di Jep Gambardella (l’attore è il fratello del cantante Peppe Servillo, membro della Piccola Orchestra Avion Travel).
Uno dei volti più noti del cinema italiano, Carlo Verdone (Roma, 17 novembre 1950), figlio del critico cinematografico Mario, interpretò Romano. Sabrina Ferilli (Roma, 28 giugno 1964), che non ha bisogno di troppe presentazioni, riuscì a trasmettere alla sua Ramona un’umanità non scontata.
Carlo Buccirosso (Napoli, 7 luglio 1954) caratterista tra i più apprezzati del nuovo millennio, spesso chiamato ad interpretare un napoletano “piccolo-borghese”, divenne Lello Cava l’amico imprenditore e vanesio del protagonista. Roberto Herlitzka (Torino, 2 ottobre 1937) attore teatrale e cinematografico (da ricordare la sua interpretazione in Pasqualino Settebellezze di Lina Wertmüller), fu, invece, perfetto nella parte di un Cardinale Bellucci più interessato alla cucina che alla fede cattolica.
Da segnalare, infine, in un cast sterminato quanto affascinante, Serena Grandi, nome d’arte di Serena Faggioli (Bologna, 23 marzo 1958), uno dei sex symbol per eccellenza del cinema italiano, che ne La grande bellezza diede corpo a Lorena la soubrette in declino, fisicamente e artisticamente, che festeggia i sessantacinque anni di Jep; Luca Marinelli (Roma, 22 ottobre 1984) oggi conosciuto per Lo chiamavano Jeeg Robot (2016) di Gabriele Mainetti e per la miniserie tv Fabrizio De André – Principe Libero (2018) per la regia di Luca Facchini nella quale interpretò il cantautore genovese, divenne nel film di Sorrentino il problematico Andrea.
Sorrentino, dopo The Great Beauty, ha girato Youth – La giovinezza (2015) con Michael Caine e Harvey Keitel e sta realizzando Loro un film su Silvio Berlusconi con Toni Servillo nei panni dell’ex Presidente del Consiglio. Da segnalare, inoltre, la bellissima serie televisiva The Young Pope con Jude Law, Diane Keaton e Silvio Orlando. Ma La grande bellezza rimane ad oggi un film unico in cui Sorrentino non cercò di compiere un j’accuse, ma un tenero riconoscimento dell’incanto sepolto sotto la vacuità, la disarmonia e la volgarità di certe figure che popolano Roma e l’Italia.
redazionale
Bibliografia
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da: immagine in evidenza, foto 2, 3, 4, 5, 6, 7 Screenshot del film La grande bellezza, foto 1 da en.wikipedia.org