Confindustria, Marchionne e il capitalismo d’oltre oceano non sono poi così spaventati dall’ipotesi di un governo Di Maio. Pochi sono i punti che i padroni difendono e ritengono necessari di preservazione per benedire un esecutivo pentastellato: che rimanga il Jobs act e che non venga toccato il Piano Industria 4.0.
Nemmeno la Borsa di Milano ha registrato grosse oscillazioni: anzi, lo spread è sceso di alcuni punti e il rialzo è stato dell’1,75%.
Per ora, dunque, il salto nel buio nessuno lo vede e i grillini possono recitare abilmente la parte della nuova Democrazia Cristiana, come del resto ha detto Grillo medesimo: “Noi siamo un po’ DC. Un po’ di destra, un po’ di sinistra. Sopravvive chi si adatta.“.
La trovo una frase illuminante, che dipana un velo di indistinzione politica, di impossibile attribuzione al movimento 5 stelle non tanto di una etichetta identificativa quanto di una precisa collocazione nel riammodernato scenario dell’italico Parlamento.
Finalmente sappiamo che la natura prima del movimento 5 stelle è l’adattamento, la capacità di fare del trasversalismo una barra di condotta programmatica e tecnica. Che poi sappia emulare la grande capacità di piacere un po’ a tutte le classi sociali, tipica della vecchia Balena bianca, è ancora un fatto tutto da verificare e dimostrare, ma sicuramente abbiamo la conferma da parte del fondatore del movimento che ciò che andavano dicendo da anni è vero.
Ma ciò che conta davvero in questa fase appena post-elettorale è la percezione che i cittadini hanno avuto in merito alle proposte di Di Maio che è apparso a troppi nuovi e vecchi sostenitori dei valori della sinistra e dei comunisti come la sponda naturale cui aggrapparsi per provare a cambiare radicalmente il Paese.
Voglia di governo e non di opposizione, sia nel cosiddetto “ceto medio” sia nel moderno proletariato urbano e anche nel sottoproletariato delle periferie che ha deciso di “provare qualcosa di nuovo“.
E questo assunto, ripetuto da molte voci in tante interviste televisive, è la dichiarazione di morte per il voto espresso sul piano dell’ideologia, della corrispondenza d’amorosi sensi tra il pensiero e l’azione, tra la voglia di partecipazione e la capacità di renderla effettiva con un vasto movimento di massa che a sinistra manca, perché manca una capacità critica di assunzione su ciascuno delle problematiche sociali come fondanti un nuovo riconoscimento politico collettivo.
Per questo Confindustria apre al grillismo governativo: perché è molto meno divisivo di altre opzioni, può creare quella “pace sociale” in Italia che serve per continuare a mantenere intatti i privilegi padronali e le garanzie di sottostima della forza-lavoro completamente asservita alle variabili della produttività e, quindi, della concorrenza fra i mercati.
Il viaggio di Di Maio a Londra ha dato i suoi frutti e il fatto che il movimento 5 stelle sia nato anche da una ispirazione di un imprenditore, è garanzia di fiducia. In fondo, i padroni possono accettare che si faccia qualche elemosina di Stato ai meno abbienti purché li si lasci liberi di godere ancora di detassazioni tali da avere profitti alti in cambio di salari da fame, di contratti da moderno schiavismo.
La moderna borghesia italiana vuole solo continuità nella discontinuità: che cambi pure il capo del governo, che cambi il colore dei vessilli, che sia rassicurante nella sua veste di giovane abile, preparato e che, nonostante inciampi in qualche congiuntivo, dimostri di voler tenere insieme l’impossibile.
L’impossibile che solo DC e PSI erano riusciti a legare: sindacalismo del lavoro e sindacalismo padronale; interessi operai e privilegi della classe dominante.
Riuscire in questa impresa, partendo da una posizione di maggioranza relativa e con un appoggio esterno del PD (così auspicano già dentro alla formazione renziana importanti esponenti come Boccia, Emiliano e Chiamparino) sarebbe un capolavoro politico per Di Maio: fare quelle riforme che consentano all’Italia, come osserva il presidente degli industriali, “di essere protagonista di bilancio europea“.
Un capolavoro politico (sia detto con la necessaria ironia, comunque seria) che il centrodestra proverà a scalzare in ogni modo e che il PD proverà a ridimensionare qualora dovesse avere successo perché significherebbe la sostituzione non solo politica di una forza politica con un’altra alla guida del Paese ma come punto di riferimento della classe dirigente padronale, come nuovo interlocutore politico unico.
La vera sconfitta del PD renziano sarebbe questa: non rappresentare più né chi si illudeva di votare ancora il meno peggio e in una certa misura qualcosa di “sinistra” e non poter rappresentare nemmeno più chi tra gli imprenditori aveva puntato sull’ex sindaco di Firenze come nuova stagione di stabilità degli esecutivi pronti a gestire le crisi economiche cicliche derivate dalla sovrabbondanza di titoli, di speculazioni, di investimenti a rischio.
La scommessa di Confindustria è sul tavolo. E quella delle lavoratrici e dei lavoratori sembra stare in larga parte sullo stesso tavolo… E questo, fatte tutte le debite considerazioni, è il dato più drammatico.
MARCO SFERINI
7 marzo 2018
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