Non uno, ma molti sono i dati salienti delle elezioni politiche tenutesi in Germania due giorni fa. Proviamo a circumnavigarli tutti, come se fossero davvero un arcipelago attorno a cui ruota il pelago della fragilità europea. Partiamo dall’affluenza: vista la crisi dell’economia di guerra, che si riversa sulle fasce più deboli della popolazione, e vista pure l’emergenza antifascista nei confronti della confermata esplosione di voti per l’AfD, la partecipazione al voto si attesta sull’82,5%. Sei punti in percentuale in più rispetto alla volta precedente.
Ma, dicono i flussi dei consensi per le singole formazioni politiche, l’aumento può essere anche stato favorito da una rabbia popolare che si è indirizzata proprio sul partito di Alice Weidel. Quello che risulta abbastanza certo, almeno per coloro che sono addetti al controllo della trasmigrazione dei voti e che la studiano molto attentamente, è che Alternative für Deutschland avrebbe risucchiato circa centomila consensi dalla crisi dei Verdi, altrettanti da quella della Die Linke (di cui parleremo tra poche righe), oltre settecentomila voti dal crollo verticale della SPD, quasi novecentomila dal tonfo dei liberali del FDP.
Non di meno, la prevalente CDU/CSU avrebbe regalato all’AfD una milionata di voti scontenti, nonostante buona parte del programma elettorale centrista, almeno in materia di migrazioni, fosse una sorta di plagio di quello dei nuovi neonazi-populisti. Sempre secondo gli istituti di statistica elettorale, l’AfD avrebbe perso un po’ di consensi, ma in una sola direzione: quella del rossobrunismo dell’Alleanza di Sahra Wagenknecht. Nonostante questo involontario soccorso nero, il partito dell’ex europarlamentare della Die Linke è rimasto fuori dal Bundestag per soli tredicimilasettecento voti.
Motivo per cui pende alla Corte costituzionale un ricorso per un riconteggio delle schede. Quindi, il primo dato assolutamente evidente è che, nonostante tutta la propaganda bellicosa contro le differenze, l’odio verso i migranti, il revanchismo neonazionalista su cui AfD ha improntato la sua campagna elettorale, la formazione di estremissima destra doppia le precedenti percentuali ma non arriva, come accade invece in Francia per il Rassemblement National, ad essere dirimente per l’effetto “ricattabilità” nella formazione e nella tenuta di una nuova maggioranza di governo.
Sarebbe comunque incosciente sottovalutare la potenza espansiva del partito di Weidel: nei lander della ex Germania dell’Est in pratica si sostituisce alla Die Linke come partito prevalente sugli altri, ottenendo il cambio di colore nella cartina dei collegi conquistati: una uniformità, nera per la CDU ad ovest, un azzurrino intenso ad est. Come se la riunificazione ormai ultratrentennale non fosse mai avvenuta e la povertà dell’ex DDR fosse rimasta tale, quand’anche non peggiorata, e il finto benessere della RDT avesse continuato a languire illudendo le speranze di milioni e milioni di moderni proletari.
Va constatato, di più ancora, che l’AfD per ottenere gli oltre dieci milioni di voti che ha raccolto (ed il corrispettivo, impressionante, 20%) non è stata costretta a misurare il suo linguaggio xenofobo, omofobo, retrivo e apertamente simpatizzante con il terrore del novecentesco passato; non ha assunto le fattezze di partito moderato di una destra compiacente i poteri europei. Ha continuato a tuonare contro le differenze, stigmatizzando le minoranze, facendo una campagna islamofoba, fintamente sociale. Facendo quindi leva sui suoi punti di forza.
Il fatto che dieci milioni e più di tedeschi la scelgano come soluzione alla disastrosa gestione governativa della SPD, dei Verdi e dei Liberali, evitando di preferire forze progressiste come Die Linke, è un dato allarmante che ricalca esattamente la svolta a destra di gran parte dei Ventisette, dell’America settentrionale e, non di meno, anche di quella Latina se si pensa al furore mileiano. Ma, si diceva, nonostante tutto questo impeto e oltre centoventi seggi nel parlamento della Germania federale, per il momento l’AfD rimane confinata in una zona di mezzo sdoganamento costituzionale.
Via via che le sue percentuali si accrescono, diviene sempre più complicato poter affermare che ci si trova innanzi ad una formazione priva di una legittimità storica che, quindi, è incompatibile con l’essenza della democrazia teutonica, con i princìpi europeisti, con il solidarismo internazionale entro il perimetro continentale. La legittimazione le viene da un popolo ridotto alla recessione da un riarmo pesantissimo, voluto da un Olaf Scholz che diventa il gregario del probabile nuovo futuro governo Merz. Di Grosse Koalition parlano i giornali, ma se si sommano i seggi ottenuti da CDU e SPD di grosso c’è veramente poco: da sola l’AfD ha la metà dei seggi dei due storici partiti tedeschi.
Basterebbe questa nuda e cruda realtà dei dati assoluti per allarmare ogni sincero democratico che abbia un po’ a cuore il minimo comune denominatore non tanto della giustizia sociale di chiara matrice marxista, veramente socialista e comunista, ma della tenuta di un pur sempre improprio equilibrio tra diritti del lavoro e diritti civili, umani… Il fatto che si debba sempre barattare i primi con i secondi, e viceversa, la dice da molto tempo lunga sul carattere compromissorio della socialdemocrazia generalmente intesa. Scholz paga una vocazione iperatlantista, iperbellica, completamente votata al riarmo.
Aver fomentato la guerra in Ucraina con investimenti esorbitanti, impoverendo il pure pregevole sistema di stato sociale della Repubblica federale, ha gettato nella disperazione milioni di tedeschi che, infatti, si rivolgono alla destra estrema per cercare una soluzione radicalmente opposta al dramma che quotidianamente vivono. Non solo tutto costa sempre di più, ma i servizi pubblici sono sempre più scadenti, il lavoro manca, i profitti crescono e il privato fa affari ovunque e comunque. Non ci vuole un genio per capire che, proseguendo su questa strada, con una ennesima alleanza con la CDU, la socialdemocrazia tedesca si suicida. Avrà anche nove vite, ma gliene restano sempre meno.
Differentemente dalla nostra Italia, la risposta a tutto questo in Germania assume anche il connotato di un voto giovanile (tra i diciotto e i ventiquattro anni) in cui a prevalere nettamente è Die Linke: superato il trauma della scissione e dell’indebolimento causato dall’Alleanza di Sahra Wagenknecht (BSW), il partito erede del socialismo dell’Est, rinnovato, innovato più volte, ha saputo intercettare quella voglia di non-compromesso con le sfere alte del potere economico, l’asservimento alla NATO e agli Stati Uniti (della pre seconda era trumpiana) e la bufera bellicista mostrati invece dalla decadente, asservita SPD e dall’uguale propensione assunta dai Verdi.
Così, Die Linke ottiene un pregevolissimo 8,7% e quasi quattro milioni e mezzo di consensi. Giovani e donne sono coloro che più favoriscono questo incremento. A Berlino il partito della sinistra è la prima forza politica, ma nel resto della ex Germania Est deve cedere il passo alla prepotente avanzata dell’AfD. Guardando, un po’ tecno-politicamente, all’analisi dei flussi, Die Linke perde centomila voti circa che vanno ad ingrossare il paniere elettorale dei neonazisti moderni e circa trecentocinquantamila consensi che si dirigono verso BSW. I suoi nuovi voti, invece, le arrivano prevalentemente dalla SPD (circa seicentomila) e dai Verdi (il calcolo fatto parla di settecentomila crocette che hanno abbandonato il tondino dei Grüne sulle schede).
La SPD perde più di un milione di voti nella direzione della sinistra radicale: c’è quindi un elettorato socialdemocratico che si riconosce in politiche magari anche moderate ma che non accetta più quelle di guerra con cui il governo Scholz ha retto il paese in questi anni portandolo entro i margini angusti di una stagnazione da cui è sempre più difficile risalire. Vi è da notare, tra i dati salienti cui si faceva cenno all’inizio, che se il partito di Sahra Wagenknecht avesse superato il 5% dei voti e avesse quindi ottenuto una trentina di deputati al Bundestag, oggi non si potrebbe parlare di coalizione di governo tra CDU e SPD ed il potere di ricattabilità dell’AfD avrebbe avuta una qualche certa ragion d’essere.
Questo, ovviamente, non dipende dalla volontà politica dei singoli partiti, ma da quella di un popolo che si è diviso nella protesta nei confronti del governo uscente, formato SPD, Verdi e FDP, ma che, proprio in questa divisione, tra destra estrema e sinistra, ha chiaramente mostrato la sonora bocciatura della piattaforma dell’esecutivo. Si potrebbe sintetizzare crudamente così, con un aspro sincretismo di posizioni che non possono, per fortuna, essere coincidenti: via i migranti dalla Germania, più lavoro, più case, più pensioni, meno precarietà, rispetto dell’ambiente, pace e diritti civili.
Se, con un processo di sintesi distopica, si prova a mettere insieme il tutto, chi ha espresso più compiutamente questa saldatura tra critica della presenza migrante in Germania e giustizia sociale è stato il BSW che, pur battendosi per una uscita di Berlino dall’asse nordatlantico della guerra, ha fatto mancare la sua presenza alle grandi manifestazioni antifasciste in cui, invece, Die Linke era fortemente presente e, per questo, ha reso evidente la sua aderenza ad un piano di difesa costituzionale dei diritti tutti, senza distinzioni di etnia, di provenienza, di cultura. Prevale, dunque, una sinistra che non fa del nazionalismo un elemento di coniugazione dei programmi progressisti.
Prevale una voglia di libertarismo che, se sommiamo i voti dati ai partiti democratici, non è poi così minoritaria nello scenario complessivo del voto. Se si dà uno sguardo alla geografia dei consensi dell’AfD, si potrà osservare che, come spesso accade, la destra estrema pesca molto di più nelle zone rurali e meno nelle grandi città. Berlino compresa. I partiti di governo perdono in un solo colpo il 20% dell’elettorato che li aveva sostenuti all’inizio della legislatura. Cosa occorre alla socialdemocrazia per rendersi conto che questa condivisione-commistione di potere con le alte sfere del capitale, della finanza e dell’imperialismo non fa che aumentare le probabilità di un ritorno autoritario nel cuore dell’Europa?
Se la risposta è più semplice rispetto alla domanda, risulta abbastanza chiaro che l’impostazione politica della SPD ha tratti di sinistra soltanto quando tenta la difesa del compromesso tra pubblico e privato ma, inevitabilmente, finisce sempre con il cedere al secondo a discapito del primo. Ciò si è verificato in un governo che aveva nella SPD stessa il cuore dell’esecutivo e della dinamica dialettica di coalizione. Facendo da stampella alla CDU tutto questo impianto antisociale non farà che peggiorare e potrà soltanto aprire altri varchi alla penetrazione violenta della propaganda dell’AfD presso altri strati di ceti popolari sempre più indigenti.
L’opposizione di sinistra può crescere ed essere argine tanto al liberismo espresso dal futuro governo Merz, così come all’avanzata neoautoritaria del partito di Weidel. Le distinzioni sono anche opportune e, infatti, permangono tra Die Linke e BSW. Ma sarebbe il caso di sganciare, proprio nell’emergenza del tempo di un vento di destra che percuote l’intera Europa (e gran parte del mondo), anche quella parte di Verdi disposta a dialogare più a sinistra che al centro. Non si tratta dei “realisti“, ma di quelli che hanno criticato le prese di posizione della dirigenza del partito ecologista negli ultimi anni: ad iniziare dall’assenso a tutto tondo dato al riarmo.
Il risultato elettorale preserva ancora la Germania dalla fine della conventio ad excludendum per l’AfD, anche se cade la pregiudiziale antifascista. Resiste ancora quella antigovernativa per una forza politica in netto contrasto con i valori costituzionali. La spinta trumpiana da ovest e quella putiniana da est mettono la Repubblica federale al centro di un’Europa compressa tra due imperialismi, dominata dal sacro furore della guerra in Ucraina come “baluardo” di difesa della democrazia che Merz non disconosce. Anzi, mette subito un buon peso sul tutto, facendosi interprete degli interessi di Israele (economici e bellici, ovvio) e anticipando la sconfessione del ruolo della CPI nel contesto internazionale.
La Germania di Merz attende Netanyahu come campione di libertà e democrazia. Qui non è il sonno della ragione che genera mostri: sono gli interessi del capitale rappresentati dai centristi che li coccolano e li vellicano più che abbondantemente. Auguri, Berlino.
MARCO SFERINI
25 febbraio 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria