Tanto Piero Calamandrei invitava i giovani a recarsi sui luoghi della Resistenza per capire dove fosse nata la nostra Costituzione, quanto oggi quei luoghi subiscono attacchi. Diretti e virulenti, assai spesso, ma anche e non meno minacciosi attacchi carsici e silenziosi. L’assenza di esponenti del governo alla manifestazione di ricordo della strage di Sant’Anna di Stazzema, nel giorno dell’80esimo anniversario, segnala senz’altro l’incapacità del personale politico contemporaneo di misurarsi, all’interno della sfera pubblica, con i propri limiti, le proprie mancanze e le contraddizioni del vissuto storico dei partiti d’origine.

Restano impietosi, in questo senso, i confronti con i dirigenti della Democrazia Cristiana che, pur sistematicamente contestati e fischiati dalla folla a piazza della Loggia a Brescia come ai funerali delle vittime dell’Italicus o della stazione di Bologna, non rinunciarono a rappresentare il profilo istituzionale che incarnavano da ministri, capi di governo o inquilini del Quirinale. Più grave ancora, tuttavia, resta il non detto sotteso a questa condotta pubblica. Il disconoscimento delle radici fondative della Repubblica non è finalizzato “soltanto” ad una revisione strumentale della storia. Non è una battaglia per riscrivere il passato ma è un’azione volta al controllo del tempo contemporaneo ovvero al governo di un presente senza storia.

È, anche, attraverso questa pratica pubblica (che parla e comunica con le parti più profonde ed identitarie del postfascismo) che si pongono le basi per il superamento del paradigma valoriale che da luoghi come Sant’Anna di Stazzema ha preso corpo dentro la nostra Costituzione. Quest’ultima è il vero e dichiarato obiettivo finale di questa offensiva. Come ha ricordato il capo dello Stato Sergio Mattarella, le radici della Repubblica trovano la loro origine in luoghi come Sant’Anna di Stazzema, teatro di una delle più efferate stragi nazifasciste compiuta durante l’occupazione tedesca in Italia nella Seconda guerra mondiale.

Per questo l’assenza del governo, guidato dagli eredi del Msi, alle cerimonie dell’80esimo anniversario dell’eccidio mostra, ancora una volta, l’estraneità del corpo politico post-missino dalla storia della nazione repubblicana. La relazione ostile tra la vicenda della democrazia italiana ed i figli politici di Almirante si è andata manifestando fin dall’insediamento dell’esecutivo tanto sul terreno del fascismo storico (rispetto al lascito della dittatura) quanto su quello del neo e post-fascismo in età repubblicana (rispetto all’eredità missina estranea alla Costituzione fin dalla sua nascita).

Così non stupisce l’impressionante serie di incredibili esternazioni, presto derubricate nel dibattito pubblico nella più bonaria forma delle «sgrammaticature», che dal presidente del Senato Ignazio Benito La Russa alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni; dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano fino al presidente della commissione Cultura Federico Mollicone hanno temerariamente attraversato l’azione partigiana di via Rasella, la strage delle Fosse Ardeatine, (rappresentata come attacco a bande musicali di anziani), la nazionalizzazione della strage delle Fosse Ardeatine (il cui movente sarebbe stato l’italianità delle vittime e non la loro identità politica antifascista), l’equiparazione antifascismo/anticomunismo come nucleo valoriale della nostra Costituzione (dimenticando che a simbolo del contributo essenziale dei comunisti italiani la nostra Carta è firmata da Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente) e infine lo stragismo neofascista degli anni ’70 e ’80, su cui è calata l’interpretazione complottista del «teorema della magistratura contro la destra».

DAVIDE CONTI

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria