Ne ha parlato persino l’ex Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini ad “Un giorno da pecora“, la popolare trasmissione di Rai Radio 1 e, sempre per rimanere nel campo dell’etere, da Radio 24 si sono scagliati contro la proposta definita “assurda, fuori dal mondo” e via di seguito, Giuseppe Cruciani (come poteva essere assolutamente immaginabile) e perfino David Parenzo che, solitamente, mi trova d’accordo con molte delle stigmatizzazioni che mette in campo contro le provocazioni del suo co-conduttore de “La Zanzara“.
Di cosa si tratta? E’ semplice del modulo di autocertificazione per poter uscire, muoversi in tempi di quarantena più o meno autoimposta a causa del Coronavirus Covid-19.
Con grande irrisione da parte del fiero e combattivo popolo internettiano e altrettanta ferocia dell’eguale e ampio popolo tritatutto dei “social“, la proposta dei collettivi di “Non una di meno” (che unisce realtà femminili in tutta Italia nella lotta contro le discriminazioni di genere, contro la violenza sulle donne, contro qualunque tipo di pregiudizio e di ingiustizia, per una liberazione anche “al femminile” di una società fortemente patriarcale in questa assurda modernità…) di declinare al neutro grammaticale il maschile generico che viene usato sempre quando si intende rivolgersi a tutte le persone, ha sollevato una magna indignazione.
Una indignazione scivolata pateticamente nel moralismo più semplicione e semplicistico: “Con tutti i problemi che abbiamo oggi, con tutti i morti che contiamo, queste (le compagne di “Non una di meno“) vengono a rompere i cogliomni con il maschile e il femminile. Ma non interessa a nessuna donna il fatto che il modulo sia scritto al maschile!“. Ho cercato di riportare fedelmente le parole che ho ascoltato in radio.
Può darsi che Cruciani, e anche Parenzo che si esprime con uno stile più leggero, anglosassone, da vero liberale, considerino una inezia, una cretinata, una follia aver posto la questione di declinare i moduli di autocertificazione (comunque tutti i documenti pubblici) tanto al maschile quanto al femminile, ma perché non se ne può discutere?
Siamo nel brutto mezzo di una pandemia, circondati quotidianamente dalle immagini terribili e meravigliose al tempo stesso dell’enorme sforzo di medici, infermieri, paramedici e personale sanitario che stanno dando l’anima per salvare quante più vite possibili e rimediare ai disastri fatti dalla politica liberale e liberista in materia (anche) di sanità pubblica regalata al privato nei settori più redditizi, e voi, voi femministe di “Non una di meno“, e persino lei onorevole Presidente Boldrini, vi permettete di fare un rilievo simile?!
I detrattori appuntano così, con una alterigia moralistica il tutto, pensando di essere più intelligenti e pragmatici, evitando accuratamente qualunque complimento, ma adottando la linea del disappunto, quasi dello sconforto nell’assistere all'”assurdo” comportamento di chi scrive che sarebbe bene mettere qualche asterisco, ogni tanto, nei testi che si rivolgono tanto al genere maschile quanto a quello femminile.
Si badi bene: i detrattori sono tutti maschi. Forse sono uno dei pochi uomini (la categoria di genere mi sta stretta se vuole imprigionarmi nello stereotipo della contrapposizione tra maschio virile e forte e femmina dolce e debole) che difende la follia delle compagne Boldrini e di “Non una di meno“. Ma la mia non è una difesa, è più ancora una condivisione della assurdità, dello scostamento dalla dittatura moralistica dei perbenisti della lingua che pensano sia privo di alcuna importanza rivolgersi ad un maschio con articoli maschili e a una femmina con articoli femminili.
E se fosse il contrario? Se fosse il modello femminile quello grammaticalmente preponderante e tutto fosse declinato in tal senso? Non nascerebbe in voi – prescindendo anche dalla situazione di cui stiamo parlando – la necessità di battervi perché sia riconosciuto un linguaggio inclusivo, che faccia sentire tutte e tutti parte di un comune dialogo, di una interazione equipollente?
A me è venuto spontaneo, dopo aver stampato il primo, secondo, terzo e poi quarto modulo del Ministero dell’Interno, aggiungere un tratto di penna alle “o” sul foglio e declinare tutto al femminile mentre li compilavo per mia madre. Stonava quel “Il sottoscritto…“. Stonerebbe pure, al contrario, “La sottoscritta…” riferita ad un maschio, ad un uomo che si sente maschio in tutto e per tutto. Insomma, quegli “uomini veri” tutti d’un pezzo…
E’ una masturbazione mentale? Può essere. Ma la masturbazione, in fondo, è un piacere, dunque perché non applicarla alle idee e al pensiero? Vi scandalizza anche questo? Meglio ancora, vuol dire che siete pronti a leggere il seguito con un buon grado di sopportazione. Coraggio.
Potrà anche apparirvi folle, utopistico, fuori luogo per il momento emergenziale estremo che viviamo quanto hanno scritto le compagne di “Non una di meno“, ma proprio perché suscita questo contraccolpo emotivo, istintivo, vuol dire che ha colto nel segno e che, fatte le debite proporzioni tra il “primum vivere deinde philosophari“, non possiamo tralasciare nessuna dialettica sui problemi – veri o falsi che si dimostrino essere – che avvertiamo e che ci sentiamo in dovere di proporre all’attenzione collettiva.
Parliamo, del resto, di una associazione libera di donne (ma pure di uomini) che da quando si è fatta rete, riunendo varie esperienze collettive nel resto del Paese, ha promosso iniziative tanto dimostrative quanto di solidarietà effettiva, tangibile verso i ceti più deboli, contro ogni marginalizzazione degli individui discriminati per qualunque motivo: iniziando dalla rivendicazione dei diritti delle donne come elemento fondante di una riconversione sociale che faccia fare un passo in avanti ad un modo di pensare alla vita quotidiana, al nostro essere singolarmente e collettivamente, ai nostri corpi, quindi ai nostri diritti di esseri umani, altro dalla secolare distinzione gradualistica del patriarcato.
Superiorità e inferiorità non esistono: esiste solamente il riconoscimento comune dell’esistenza di ciascuno e nessuna differenza da mettere in rilievo per distinguere e separare, per creare barriere e confini. Tutto il contrario. Ma si tratta, come è evidente, di una rivoluzione culturale che può avanzare soltanto se ci si rende conto del modo in cui si vive e del contesto antisociale in cui ci si muove ogni giorno.
La saccenza dei conoscitori degli indici borsistici, della grande solidità del mercato che tutto muove e che tutto distrugge nel nome del profitto di pochi, di coloro che confidano nella potenza delle regole liberali e liberiste, nella solidità del sistema capitalista, dell’Europa di queste banche e di questi banchieri così restii a rinunciare ai loro interessi anche davanti alla pandemia che fa strage senza conoscere barriere e senza fermarsi nemmeno davanti alle pesanti porte delle casseforti, tutta questa sapienza intrisa di pragmaticità sarebbe il giusto angolo di osservazione della diritta via del mondo.
Il problema, certo, sono le rivendicazioni folli di “Non una di meno“, il voler provare, anche in tempi di Coronavirus, a entrare nella testa della gente per provare a smuovere un dubbio, una critica. Ed è forse questo che fa più paura: vista la debolezza del mercato capitalistico davanti all’attacco mondiale del Covid-19, che sta sconquassando tutte le certezze dei moderni sostenitori del mercato e delle economie globali, delle privatizzazioni e del sostegno indiscriminato alle imprese, qualcosa di infinitamente piccolo come una associazione per i diritti delle donne, leggermente più grande del Coronavirus, indigna al punto tale da provocare disappunto e disgusto, ribrezzo e scostamento, irrisione e sarcasmo.
Soltanto così ci si sente più realisti del re e ci si convince di essere quelli che non danno retta a folli utopie, ma che coltivano sempre la stessa merda: quella da cui non nascono fiori. Quella in cui sono immersi in mezzo alla sicurezza delle ricchezze e del benpensare.
MARCO SFERINI
3 aprile 2020
foto tratte dalla pagina Facebook nazionale di “Non una di meno”