Questa volta non ci troviamo nel profondo Est, immersi nei disagi e nelle frustrazioni che ancora affliggono i Länder della ex Rdt a trent’anni dalla riunificazione, ma nella ricca e illuminata Assia a una ventina di chilometri dalle torri finanziarie di Francoforte, cuore dell’Unione europea. Il giustiziere suicida di Hanau sembrerebbe un bancario quarantenne, incensurato, ignoto alla polizia, detentore legale di armi e del tutto innappariscente. Quello che si definirebbe, insomma, un “uomo qualunque”.
Della strage che lo ha portato agli onori della cronaca, il leader di Alternative für Deutschland Jörg Meuthen si è affrettato a precisare che non si tratta di un gesto di destra o di sinistra, ma di una pura e semplice esplosione di follia. Non vi è dubbio che gli scritti lasciati da Tobias R., l’attentatore, presentino diversi aspetti che saremmo inclini a considerare psicopatologici e che, tuttavia, negli ambienti dell’estrema destra (non solo germanica) confluiscono in una sorta di senso comune, di mitologia condivisa.
L’’idea di poteri occulti e “senza patria” che governano i destini del mondo, leggono nel pensiero, sorvegliano e governano le vite di tutti è, a diversi gradi di intensità, una ossessione piuttosto diffusa. In fin dei conti la dottrina della “sostituzione etnica”, congegnata da una oscura élite cosmpolita, di cui la razza bianca e la tradizione culturale europea sarebbero vittime pur nella sua evidente paranoia è variamente proclamata da forze politiche rappresentate nelle istituzioni e perfino esponenti di governi europei.
In Germania, poi, un movimento in tempi recenti tutt’altro che marginale come Pegida (Patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente), non lontano dall’ala più estrema di Afd, ne ha fatto il fulcro della sua propaganda e mobilitazione politica.
Non si tratta soltanto del generalmente esecrato “linguaggio dell’odio”, ma di narrazioni ben più articolate che combinano falsificazioni storiche, dottrine e costrutti ideologici con il risentimento sociale e la sua fantasia malata e vittimista. Si tratta insomma di un “odio” costruito, fortemente indirizzato e politicamente agito che ruota essenzialmente intorno al discorso razzista nelle sue differenti gradazioni. Dalle più deliranti idee di purezza razziale al pragmatismo apparente delle politiche migratorie restrittive.
Il neonazismo in Germania è senz’altro un fenomeno politico, e tuttavia non si può non riconoscervi una componente psicopatologica, congenita, diffusa, ma tutt’altro che generica. Il “folle” di Hanau, il “lupo solitario”, l’ignoto della porta accanto si è dunque mosso in un preciso contesto, fatto non solo di suggestioni razziste e teorizzazioni xenofobe, ma segnato ormai da un cospicuo numero di fatti. Dall’omicidio dell’esponente democristiano dell’Assia Walter Lübcke da parte di un estremista di destra, all’assalto contro la sinagoga di Halle nello scorso ottobre, fino al recente arresto dei membri di una rete neonazista dedita all’organizzazione di azioni terroristiche.
Del resto è da tempo che si moltiplicano nella Bundesrepublik, aggressioni e attentati incendiari ai danni dei richiedenti asilo, della comunità ebraica e degli stranieri in generale. Insomma la Germania ha un serio problema, a lungo sottovalutato, di insorgenza neonazista non priva di infiltrazioni nelle forze dell’ordine e nell’esercito. Senza contare che oggi una forza politica di estrema destra e di crescente peso come Afd trova in questo sottobosco e nella zona grigia che lo circonda parte del suo bacino elettorale. In un clima per tanti versi favorevole i “lupi solitari” rischiano di diventare branco, restando comunque imprevedibili e incontrollabili.
Come di consueto la reazione di allarme delle forze politiche e dell’opinione pubblica è stata unanime, immediata e decisa. Tuttavia, come dimostra la recente crisi politica in Turingia, l’argine nei confronti della destra radicale non è privo di crepe. E, non di rado, anche dal mondo dell’establishment provengono messaggi di tenore nazionalista pronti a essere raccolti in termini xenofobi, quando non squisitamente razzisti. Per non parlare dell’ormai diffusa pretesa di chiudere definitivamente i conti con il passato e le responsabilità che ne derivano. Che qualcuno interpreta come il diritto di tornare a proclamarsi nazista.
MARCO BASCETTA
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