Nessun governo è al sicuro dalle infingarde bizze leghiste: sia che si tratti di migranti, sia che si tratti di orari di aperture di ristoranti e bar o, ancora, di posticipazioni del cosiddetto “coprifuoco” alle 23.00, Salvini e il suo storico partito secessionista, divenuto patriotticamente nazionalista italiano per rimanere a galla nel secondo decennio del secolo modernissimo, fanno ballare la maggioranza sul vulcano.
Nemmeno il superbanchiere internazionale, che pure ha affrontato sfide ben più impervie per proteggere il capitalismo continentale e che dovrebbe essere abituato alle bizze dei mercati, poteva attendersi che, ad appena due mesi dal suo insediamento, l’esecutivo avrebbe dovuto affrontare i primi puntapiedi di Salvini, le prime minacce politico-tattiche di non votare il decreto sulle riaperture. Dall’astensione dei ministri alla loro assenza dalla riunione del Consiglio dei Ministri il passo è breve e serve per andare oltre le polemiche, per rassicurare Draghi, per equilibrare il rapporto tra regioni e governo: dal punto di vista e di opportunità leghista, si intende.
La linea del nuovo carroccio sovranista la vanno portando in televisione esponenti della Lega cui viene apertamente chiesto, vista l’enormità delle affermazioni, se davvero quella è la linea del partito oppure una semplice opinione personale: lo fa Corrado Formigli a “Piazzapulita“, sgranando gli occhi davanti a ciò che dice Borghi, per cui le chiusure totali praticamente non servirebbero a niente ed epidemiologi di fama mondiale come Andrea Crisanti vengono apostrofati come «…esperti di genetica delle zanzare…».
Il livello dei dibattiti, quando in studio c’è un leghista, scende davvero molto in basso e non potrebbe essere altrimenti, visto che le argomentazioni degli ex secessionisti padani si aggrappano alle peggiori fantasie di complotto, non dicendolo apertamente, ma lasciando intuire che se non si fosse chiuso tutto, tutto sarebbe andato meglio.
Del resto, loro hanno studi “scientifici” e dati statistici alla mano: i primi sono scritti criticati dall’intera comunità scientifica e medica mondiale, Italia compresa, come asserzioni prive di riscontri oggettivi. I secondi, presi più sportivamente dai dati dell’ISTAT e male interpretati secondo la naturale tendenza al riduzionismo dell’emergenza sanitaria, direbbero che, paragonando i morti nell’anno solare 2019 e quelli del 2020, con il Covid abbiamo avuto 100.000 morti in più. La deduzione da sillogismo di bassa lega è elementare: il coronavirus non è questa infezione così tremenda di cui si parla. Se non ci fosse stato, l’Italia avrebbe contato i morti endemici che ha ogni anno: per malattia, per anzianità, per incidenti sul lavoro, per femminicidi, per omofobia, per vecchiaia.
Niente di eccezionale, dunque. Ma questa non sembra proprio essere la linea del governo Draghi in materia di lotta alla pandemia. Dunque, seppure ingenuamente, viene almeno provocatoriamente da fare la domanda: ma che diamine ci sta a fare la Lega in una maggioranza che la pensa esattamente all’opposto? Non farebbe meglio a compattare la destra con Fratelli d’Italia della Meloni e costruire un solido fronte sovranista che a parole si schiera con la scienza e che nei fatti coccola tutti i peggiori istinti e maldestri umori di piazze piene di pregiudizi, analfabetismo di ritorno di ogni tipo e grossolane falsificazioni della realtà in cui siamo costretti a sopravvivere?
Probabilmente sarebbe meglio che la Lega si defilasse da un governo con cui ha in comune quasi tutto: liberismo in primis, traduzione politica di una economia privata che viene sempre prima dell’interesse pubblico. Ma se lo facesse verrebbe meno ad una funzione di condizionamento del potere (che è far parte del potere stesso) in un esecutivo che ha una guida internazionalmente ritenuta “autorevole“, proprio per i meriti conquistati sul campo della difesa spietata della moneta rispetto e contro i diritti sociali più elementari e fondamentali.
Per questo non ha senso, anche se è cronachisticamente ragionevole, indagare le contraddizioni emerse in questi giorni nel braccio di ferro tra Lega e Draghi sulla (mala)gestione della pandemia, perché si tratta di confronti e scontri finalizzati a misurare tatticamente le capacità di una forza numericamente di minoranza in Parlamento che gioca però su due sponde, ed intende continuare a farlo.
Questo è l’aspetto più interessante: la duttilità del sovranismo leghista, e del leghismo come movimento capace di adattarsi ai tempi con una velocità impressionante. La stessa capacità che hanno sempre avuto tutti i movimenti fondati sulla demagogia più totale delle proposte, fatte crescere nel brodo di coltura della più assoluta banalità del male, nel vuoto dei disvalori che non hanno confini e che si diffondono come tante piccole calunnie nei confronti delle verità sociali e perfino delle evidenze scientifiche.
Il combinato è fatale: liberismo e sovranismo insieme, nonostante fingano di fare un po’ a pugni, il primo rivendicando un ruolo globale, il secondo facendosi ipocritamente paladino di interessi che tutto sono tranne che di giustizia sociale, sono, insieme al populismo grillino, un terzetto del peggio che si può trovare sulla piazza politica italiana. L’opposizione parlamentare è ininfluente, almeno a sinistra. E non è una gioia doverlo constatare. Tutt’altro. Mentre le destre acchiappano consensi e tentano egemonie pseudo-culturali di massa tanto stando al governo quanto standone fuori.
Il comune denominatore cui fanno ricorso per ricomporsi, al momento di ogni tornata elettorale, non è soltanto rappresentato dall’avversione nei confronti delle forze di centro e di sinistra, ma semmai lo si riscontra sempre più nella formulazione di un piano inclinato della democrazia che possa, riforma dopo riforma, scivolare nella “democratura“.
E’ una spinta a piegare le istituzioni al “senso di responsabilità“, evocato tanto a destra quanto a sinistra, inflazionato così tanto da perdere qualunque valore concreto di proposta politica; invocato anche dai mercati, voluto dall’alta finanza e che ha bisogno oggi di Draghi per mantenersi a galla nel dramma pandemico global e che, domani, può fare ricorso a Salvini e Meloni per esprimere un lato del carattere più determinato e decisionista legandolo alla finzione del rapporto con i ceti sociali più deboli.
Se, dunque, la domanda finale è: «Esiste un “problema Lega” nel governo?», la risposta è certamente “sì“; ma non esiste nei termini in cui lo si vorrebbe mostrare: da parte draghiana è magari una grana che cerca di essere risolta con la metodologia classica del banchiere, con quell’ «affidarsi ai numeri» richiamato dal Presidente del Consiglio. Ma da parte leghista è solo metodo politico, privato di qualunque ispirazione pubblica, di qualunque interesse collettivo. Il conflitto nasce da questa inusitata dualità da cui il governo non rischia di essere travolto (almeno al momento): la situazione però potrebbe farsi difficile se la strategia leghista andasse a segno e mostrasse un Draghi incapace di gestire la pandemia, dopo le riaperture volute proprio dalla Lega…
Il tempo e il virus, purtroppo, potrebbero essere alleati del carroccio di nuovo modello, travolgendo persino quella graniticità ed imperturbabilità di SuperMario, lasciando per un attimo i mercati attoniti: ma pronti, l’attimo dopo, a dare nuovo consenso ad un governo di destra, liberista e con le carte in regola per presentarsi anche come “amico dell’Europa” e della BCE. Del resto, Lega e Forza Italia (fatte le dovute eccezioni e differenze) non stanno sostenendo proprio il migliore amico dell’Euro?
MARCO SFERINI
23 aprile 2021