Il genere del saggio, essenziale alla vicenda formale del miglior pensiero speculativo novecentesco, è per ragioni molto diverse sempre meno frequentato dalla filosofia italiana contemporanea. Mirko Alagna e Leonard Mazzone, conoscitori «professionali» di Weber il primo e di Canetti il secondo, hanno deciso di rispolverarlo, in un libro che è, alla lettera, un «esperimento». Uniti da una brachilogica, ma non per questo meno «problematica», premessa hanno sistemato due riflessioni, distinte per oggetto e tono (ma non per l’altissima qualità di scrittura), sotto lo stesso titolo: Superficialismo radicale (Ets, pp. 136, euro 14).
La domanda che guida i due saggi è, detta alla buona, questa: come può il discorso filosofico, senza rinunciare alle sue tecniche più proprie e ai suoi arnesi più tipici – il lavoro del concetto, la riflessività, l’analisi, la diagnosi, la comprensione, la critica, l’immaginazione -, capire qualcosa della «superficie» delle cose? Com’è possibile rendere conto «filosoficamente» di quello che appare restando al livello di questo apparire, senza quindi «scendere» o «salire» verso altre «profondità» che in un modo o nell’altro di questa «superficie» potrebbero «svelare» o «rivelare» qualcosa che essa sola non potrebbe esprimere che in forma difettosa, corrotta e in un’ultima analisi mistificata?
L’inchiesta di Alagna e Mazzone concerne «l’involucro appariscente» della politica, i modi e le forme che i soggetti hanno di stare insieme e di pensare la loro associazione, senza pretendere che queste forme e questi modi «superficiali» siano la spia, il sintomo o il simbolo di qualcosa d’altro che si tratterebbe di far venire a galla o magari di segnalare ai soggetti stessi che ne sarebbero gli inconsapevoli interpreti.
Alagna e Mazzone hanno il merito di non separare il «discorso sul metodo», che corre il rischio di trasformarsi in un ritornello, da un primo e parziale tentativo di verifica. Cercano quindi di considerare la questione da un punto di vista genuinamente filosofico-politico. La «superficie» non è il residuo di una profondità perduta ma è lo stesso piano di consistenza della politica contemporanea. Si tratta perciò meno di allestire una seduta spiritica o celebrare un piagnisteo nostalgico che di cominciare a dotarsi di strumenti per «leggere» quello che abbiamo sotto agli occhi.
Il libro tuttavia non spernacchia e insolentisce la tradizione filosofica né le tecniche della teoria. Al contrario, le considera uno degli ingredienti irrinunciabili per attrezzarsi a questo esercizio di lettura. Nei due saggi il rapporto con la tradizione non è né risolto né padroneggiato ma più sobriamente riconosciuto come inevitabilmente nevrotico. Il «superficialismo radicale» non è cioè un partito preso, un capriccio, una sassata sulla vetrina del museo, ma discende da una diagnosi che riguarda la politica stessa. Non c’è nessun «populismo filosofico» nel propugnare un approccio superficiale alla superficie, ma una cura speciale e una nuova attenzione verso le mediazioni e le loro metamorfosi.
Certamente un problema sussiste: quello di continuare a considerare la «superficialità» più una discontinuità che una novità, a farla cioè dipendere implicitamente da quella «profondità» da cui essa sembra prendere congedo. Ma se si tratta di un’antinomia difficilmente aggirabile, Alagna e Mazzone suggeriscono tuttavia che la filosofia possiede le risorse per schivare questa trappola dialettica che assorbe fatalmente il nuovo nel già visto provando nello stesso tempo a «essere fedele» alla superficie senza per questo «feticizzarla». Non si tratta cioè di far traslocare le proprietà tipiche della «profondità» sul piano della «superficie», incorrendo nel rischio, certo meno appariscente ma senz’altro più grave, di trasformare la critica in apologia. La «superficie» non è quindi una nuova «positività» ma è il modo di darsi dei fenomeni politici, che domanda nuovi occhi e nuove tecniche di descrizione.
Questo permette, nel saggio di Alagna, di considerare alcuni fenomeni politici contemporanei (i meme per esempio) non come «curiosità», «anomalie», bizzarrie «millennial» raccontate con la condiscendenza del «boomer», ma fenomeni in tutto e per tutto politici: vale a dire fenomeni che obbligano a rivedere e ampliare il raggio di pertinenza dell’aggettivo «politico» che, per le ragioni che il libro si propone di smontare, continuiamo a riservare a esperienze e azioni dotate di speciali e più «profonde» caratteristiche. E lo stesso protocollo di lettura consente a Mazzone di sostenere un discorso su emancipazione e ingiustizia a sua volta «emancipato» dalla trappola del filosofo-ventriloquo o evocatore del profondo e dell’inapparente. Superficialismo radicale è quindi un libro di filosofia che promuovendo una nuova sensibilità ai contesti è capace di abbinare le virtù della descrizione a sensate ipotesi di trasformazione politica.
MICHE SPANO’
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