E’ stato calcolato da grandi organizzazioni internazionali dell’alta finanza e del controllo delle oscillazioni pericolose dell’economia globale (FMI e Banca Mondiale tra le prime), che la lotta senza quartiere alla pandemia costerà oltre 20 miliardi (in dollari) di investimenti pubblici. Un affare non per l’umanità, come scrive qualche autorevole rivista di geopolitica, ma per chi produce vaccini, prima di tutto e prima di tutti.
La rappresentazione del Covid-19 come qualcosa che possa essere scisso, nella sua evoluzione pandemica, in tante manifestazioni localistiche, nazionali e quindi gestibili senza un globale intervento in merito, è la filosofia di fondo cui deve fare fronte il sistema capitalistico e liberista nell’affrontare il secondo anno del coronavirus. I sovranismi fanno capolino anche in questo caso, affiancandosi alla lotta concorrenziale delle grandi case farmaceutiche sulla produzione dei vaccini. E non sempre i sovranismi sono fedeli sostenitori della potenza globale dei mercati.
Il vaccino, in fondo, è un “senza-patria“, un apolide salvatore del mondo che, per vie traverse, la maggior parte delle quali veicolate dagli interessi spietati delle multinazionali del farmaco e dei governi insieme, permetterà alla scienza di rimarcare la sua essenzialità anche innanzi alle sfrontate esigenze finanziarie, alle tante speculazioni che vengono e verranno fatte nemmeno poi più all’ombra di paraventi dove si mostrano le immagini di un teatrino della benevolenza cui nessuno crede più.
Tuttavia, la prepotenza della concorrenzialità vaccinale tra i differenti poli di mercato è un aspetto nuovo (ma non sconosciuto) di una contesa imperialista che oggi non si esprime con la guerra tradizionale, con lo sterminio di massa, ma rovescia le sue tradizioni. Oggi la partita della contesa geopolitica tra le rispettive economie delle grandi potenze economiche, ironia della sorte, si mostra come portatrice del bene universale, nel salvare l’umanità dalla catastrofe del Sars Cov2.
La lotta è aperta e tutta da giocare, naturalmente sulla pelle dei più deboli: ad iniziare dai popoli che non hanno accesso ai vaccini perché i loro governi rappresentano deboli ricchezze nazionali. Così fanno la fila davanti alle nazioni dominanti ed elemosinano ciò che possono in cambio di qualche intromissione economica nei loro affari interni, nei loro territori.
La grande corsa è partita, con tutto il suo cinico riflesso nazionale. Inglesi e svedesi sostengono la vaccinazione di massa con il vaccino prodotto dalla locale AstraZeneca, mentre i russi puntano sul loro Sputnik V; così i cinesi hanno i loro vaccini ormai collaudati, venduti per lo più ai paesi arabi ed alla zona del sud-est asiatico.
Gli unici ad essere veramente autonomi, indipendenti e sovrani (ma non sovranisti), con un vaccino completamente “open source” sono i cubani, che hanno praticamente messo a disposizione le loro ricerche e i risultati brillanti ottenuti creando il “vaccino del popolo“, quel “Soberana” disponibile gratuitamente per chiunque viva al mondo. Nessun brevetto imposto, peraltro, da una società pubblica e statale come Biocubafarma. Ma nessuno lo richiede, nessuno lo vuole. Non è tanto un punto di principio e d’orgoglio, quanto il preferire ciò che è vendibile rispetto a ciò che è regalabile all’umanità come vero bene comune universale.
Non l’amor vincit omnia, ma il mercato in questo caso… Una produzione disinteressata e una che fa fare affari sono due pugili su un ring del mondo dove le lotte sono truccate e le scommesse pure. Intanto la medicina cubana segna un altro punto a proprio favore, dopo i successi della lotta al cancro e all’HIV e conferma che, nonostante tutte le imperfezioni di un regime che non è scevro da contraddizioni rispetto agli ideali che da sempre proclama, l’etica del socialismo può esistere e far progredire la scienza, sfuggendo ai dettami del capitalismo, alle sue esigenze di preservazione dei privilegi e dei profitti privati.
C’è una certa differenza tra il “localismo” cubano, che produce più di una tipologia di vaccino ed è pronto a condividere il tutto col mondo intero, partendo dalla immunizzazione della popolazione autoctona, e le grandi multinazionali della farmacologia che investono nella ricerca secondo le linee guida del mercato, finalizzando tempi, modi e risorse allo scopo di arrivare prima, arrivare meglio e garantire così alla propria azienda il primato di acquisto delle dosi nella più vasta porzione del globo terracqueo.
L’arrivo della pandemia ha fatto brillare gli occhi di chi ha capito da subito che ciò avrebbe significato profitti, profitti e ancora profitti. Del resto, l’urgenza di aprire la stagione della vaccinazione di massa è una impellenza sanitaria di prim’ordine e, infatti, qualunque Stato o struttura sovranazionale come l’Unione Europea hanno firmato contratti con clausole capestro pur di assicurarsi la promessa di avere a disposizione, nel minor tempo possibile, quelle centinaia di milioni di dosi che avrebbero permesso di garantire anche la salute della popolazione ma soprattutto quella dei produttori e dei consumatori, facendo così ripartire la stagnante e retrocedente economia tanto europea quanto mondiale.
L’indipendenza dal Covid-19 che Biden sta cercando di ottenere per gli Stati Uniti d’America intende assolvere ad un triplice effetto: una medaglia al valore per la nuova amministrazione a stelle e strisce per il buon lavoro svolto nel nome del benessere comune (e di Big Pharma); la messa in sicurezza di tutta la popolazione, recuperando lo slogan “America first” di trumpiana triste memoria: prima gli americani e poi il resto del mondo, ma non come a Cuba, perché qui i brevetti se li tengono ben stretti e non concedono nemmeno la produzione delocalizzata in licenza in altri continenti; ed infine, per ultimo ma non ultimo, la riproposizione di un ruolo preminente degli USA nella battaglia geopolitica mondiale che si gioca anche sul fronte sanitario.
Pechino, Mosca, Washington e Londra sono le capitali mondiali della produzione di vaccini e si stanno dando battaglia tenendo in scacco persino l’Unione Europea che, infatti, è in forte sofferenza per approvvigionamenti, e non solo per responsabilità eteronoma, ma a causa di un piano di acquisto delle dosi da troppi colossi internazionali che subordinano i ritmi produttivi più che al rispetto dei contratti firmati, al mantenere buoni rapporti con i governi che rappresentano il grande capitale. A sorpresa, non sono soltanto gli Stati Uniti a giovarsi di questo ruolo storico: persino il Canada, mediante la sua capacità di spesa, è riuscito ad assicurarsi tante dosi di vaccini da poter garantire una immunizzazione della popolazione pluriannuale.
Israele si è praticamente autogestito e, grazie anche alla sua ristretta dimensione territoriale (che sarebbe ancora più tale se non occupasse ancora le alture del Golan e la Cisgiordania) e alla esigua popolazione, ha già praticamente raggiunto quella si chiama, in gergo medico, l'”immunità di gregge“. Ma i nord i sud del mondo sono tanti e si ritrovano anche alla stessa latitudine, molto vicini fra loro, visto che oltre il muro iniziato da Sharon nessun vaccino arriva alla popolazione palestinese. L’ennesimo apartheid, l’ulteriore prolungamento di una guerra di cui non si vede la fine e che, anzi, viene messa in campo con ogni mezzo possibile: anche sfruttando una catastrofe mondiale e sanitaria. Il rispetto dei diritti umani, del resto, è per Israele una virtù statale, politica, civile e morale tutta da inventare.
Resta tagliato fuori, dalla spietatezza della logica merceologica e liberista, tutto il moderno, povero, derelitto terzo mondo: dall’Africa all’Asia meridionale fino ad alcuni paesi dell’America Latina. Chi non può spendere, deve aspettare. E magari morire, mentre la parte benestante del mondo (intendasi quella dove le economie dominanti sono tali, non certo tutta la popolazione!) può giovarsi di determinati vantaggi.
La lotta dei vaccini è la dimostrazione emblematica di tutta la pericolosità rappresentata dal capitalismo ancora oggi. Non è un sistema che fa progredire l’umanità. E’ e rimarrà una economia distruttiva nei confronti della natura e di tutti gli esseri viventi.
Combattere la pandemia dal punto di vista del mercato è combattere contro una parte dell’umanità stessa. Liberarsi dalla convinzione che mercati e Stati siano uniti in questa lotta per il benessere universale è il primo passo per riaccendere la speranza che una critica sociale è possibile e non rimandabile nell’organizzarla politicamente, sindacalmente, socialmente.
MARCO SFERINI
12 marzo 2021
Foto di Tayeb MEZAHDIA da Pixabay