Il completo insuccesso delle manifestazioni annunciate dai No-pass davanti e dentro le stazioni ferroviarie italiane rischia di essere sovrastimato dalla stampa e dalle televisioni. Troppe certezze, una sicurezza impassibile che decreta quasi la fine di quella minoranza di cittadini in cui sono convenuti fantasisti di complotti, critici del vaccino, negazionisti del Covid-19, No-mask prima e No-pass poi.
I fuochi di paglia fanno una gran fiammata e, per l’appunto, si spengono in men che non si dica. A meno che non siano accanto ad altri covoni e che, di ammucchio in ammucchio, si arrivi poi a lambire il granaio. La metafora serve per significare una certa precipitosità nel liquidare la galassia riduzionista e negazionista come estinta in un battibaleno.
Pochi giorni fa le piazze ancora si riempivano (o almeno così pareva…) e i neofascisti cercavano di cavalcare una protesta divenuta ormai endemica, parallela al corso della pandemia. Poi l’aumento degli episodi di violenza ha fatto scattare l’altolà di un governo che ha creato tutte le condizioni affinché l’esasperazione popolare crescesse e divampasse da nord a sud del Paese: prime fra tutte le norme che hanno introdotto il Certificato verde Covid-19 e che ne hanno fatto (più o meno come in Francia) un documento indispensabile per una vita più o meno vivibile.
Quando si sceglie di non scegliere, e lo si fa volutamente, provando a forzare la mano, ad indurre la gente a vaccinarsi creando delle condizioni che non lasciano alcuna scelta, ci si deve aspettare tanto una quota di no-vax che decidono di abbandonare i loro scetticismi fondati su critiche per lo più antiscientifiche e non dialettiche, interessate ad un approfondimento concreto e reale dei temi osservati dalla scienza, quanto una fetta di popolazione che recalcitra ancora di più, che aumenta il livello dell’ostinazione spacciata per grande ribellione anti-sistema e dai contorni perfettamente costituzionali.
Di questo clima di contrapposizione netta, di banalizzazione del dibattito e di elementarizzazione dei contenuti, il governo ha una responsabilità primaria, perché politica e sociale insieme. Quindi una responsabilità civile, visto che dovrebbe preservare ogni aspetto di garanzia della democrazia repubblicana, partendo dall’informazione e dal rendere i cittadini pienamente consapevoli di ciò che viene loro imposto piuttosto che proposto.
Fatte salve queste osservazioni, un buon aiuto al governo nella sua espressione coercitiva di potere esecutivo propriamente detto lo hanno fornito quelle persone che hanno deciso di ascoltare il sentito dire piuttosto delle voci ufficiali della scienza, magari uscendo un po’ dal mondo di Facebook e andando dal proprio medico a chiedere informazioni o facendosi un giro su Internet sui siti dell’Istituto Superiore di Sanità, delle organizzazioni anche non governative che si battono per il contenimento della pandemia.
Perché il punto qui sembra essere proprio quello della “fiducia” nella scienza che deve sostituirsi a quella “fede” che invece molti commentatori e anche qualche virologo vorrebbero che si avesse senza alcun se e senza alcun ma. La domanda dunque è: perché bisogna avere fiducia nella scienza? Perché mai ci si dovrebbe fidare di uomini e donne che, da medici, da esperti, si contraddicono quando analizzano dati uguali ed arrivano magari a conclusione nettamente opposte ma riguardanti lo stesso problema, come ad esempio la pandemia da Covid-19?
La risposta è, nell’essere semplice, tutt’altro che facile da articolare, perché deve far fronte ad una serie di costruzioni mentali che poggiano su una enormità di illazioni e di false notizie che – va riconosciuto – con grande abilità sono state costruite nel corso del tempo e trovano sempre un aggancio reciproco per sostenersi e farsi largo nelle opinioni di persone anche sufficientemente in grado di discernere il vero dal falso, l’oggettivo dal soggettivo, il concreto dall’evanescente, dal futile e dalla mai inattuale banalità del male.
La fiducia nella scienza è, tuttavia, un punto di partenza ineludibile se si vuole decostruire quelle fantasie di complotto che vanno smontate proprio grazie al ricorso ad una serie di dati che sono oggetto di un dibattito democratico all’interno della comunità medica.
Si dovrebbe partire dal presupposto che la scienza, al contrario dei movimento No-vax, del riduzionismo e del negazionismo sul Covid-19, non ci pone innanzi a dei dogmi, a degli “assoluti“, ma ci lascia liberi persino di confutare quelle che fino a pochi istanti prima erano considerate evidenze ultime di una ricerca. La scienza, in questo senso, è altamente democratica perché si nutre del confronto (ed anche dello scontro tra gli scienziati) di cui non può fare a meno nel suo metodo che è, per antonomasia, “il metodo”, quello che consente di progredire, di avanzare nella conoscenza partendo anche da premesse sbagliate.
L’infallibilità se la danno solo i papi ex cathedra, non certo i ricercatori che lavorano sulla microbiologia degli organismi invisibili ad occhio nudo. Nei confronti della scienza infatti non bisogna avere fede ma fiducia, visto che ogni scoperta è sempre suscettibile di miglioramenti e, quindi, nulla è staticamente dogmatico nel mondo dei laboratori, delle università, dei grandi istituti di ricerca che lavorano scambiandosi dati, che formulano ipotesi e che arrivano magari insieme a tesi ed evidenze che diventano così dei beni dell’umanità.
Per questo non occorre essere fantasisti di complotti per determinare il grado di incidenza e influenza che il capitalismo ha sulla scienza: siccome sappiamo che tutto è trasformato in merce nella struttura economica che pervade il mondo da secoli, dovrebbe essere lapalissiano il fatto per cui vi è una parte del lavoro scientifico che è autonoma rispetto alla diretta influenza del capitale; di contro vi è un’altra parte di questo meticoloso lavoro che deve soggiacere alle dinamiche del mercato.
La lotta contro il sistema non deve trasformarsi in una cieca lotta contro la scienza, come se questa fosse a priori complice del sistema stesso. Operare questo tipo di commistioni porta solamente ad una catena di fraintendimenti che finiscono con l’essere un terreno fertilissimo per i produttori di fake news e i rimestatori nel e del torbido.
Ci sarà sempre, almeno in questi frangenti di stretta attualità, una percentuale di irriducibili negazionisti, adoratori di un anti-scientismo che ha solo certezze e nessun dubbio. Nonostante tutto, la scienza deve essere socratica: sapere di non sapere, dichiararsi “ignorante” laddove non riesce ad arrivare e sforzarsi per arrivarci comunque. Solo così batterà i più ottusi dei negazionisti del Covid, i più riottosi e i refrattari dell’oggettività dei fatti.
Solo così una minoranza di presuntuosi sarà costretta ad essere quello che deve essere: la quintessenza del ridicolo.
MARCO SFERINI
2 settembre 2021
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