Può un metodo di conoscenza e, quindi, di acquisizione della stessa da parte di un soggetto esso stesso oggetto della conoscenza medesima, divenire un sistema logico per la comprensione dell’esistente?
La risposta a questa domanda ci induce al tema che abbiamo voluto contenere nel quesito e che ora esponiamo: la dialettica. La risposta alla domanda, comunque, è affermativa. Sì: metodo conoscitivo e sistema logico possono, anzi debbono, interagire fra loro: in particolare se si propongono di avvicinarsi sempre di più ad una evidenza che spieghi qualche meandro della realtà fino ad un dato momento sconosciuto o impenetrato.
In queste prime righe c’è già parte della dimostrazione del metodo dialettico che è, a ragione, stato definito anche “logica del movimento“. Nel preciso istante in cui noi ci poniamo la domanda se si possa passare dal metodo alla logica sapienzale, ecco che noi stiamo già mettendo in pratica un passaggio da un termine ad un altro termine e quindi stiamo, seppure non empiricamente ma soltanto mentalmente, operando in un movimento.
La staticità non è, di per sé, definibile senza il suo contrario. Se il movimento significa dinamismo, cambiamento, mutazione, involuzione o evoluzione a seconda delle circostanze, non per questo ciò che è apparentemente sempre in uno stato di calma e di inazione deve essere considerato completamente racchiuso nella propria passività o in quella, a dire il vero, irrintracciabile di tutto ciò che gli sta intorno. Ad iniziare dal contatto con gli elementi naturali. Se osserviamo una roccia, rispetto al nostro passare del tempo, noi finiremo col morire e la roccia sembrerà imperturbabilmente insensibile e immarcescibile al trascorrere degli anni.
Se invece osservamo un fiume che scorre placido, od anche furioso tra le colonne dei ponti, giù per le valli fino al mare, avremo la sensazione che lì la dialettica della natura si esprime in tutta la sua immediatezza che non è mai uguale a sé stessa: tanto che si dice che non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua; ma si potrebbe pure dire che non si può respirare due volte ugualmente la stessa aria. E così via… Ciò che ci interessa indagare è l’universalità della dialettica, come “logica delle contraddizioni” degli elementi naturali e, quindi, come processo di incessante mutamento dei rapporti sociali che vi sono compresi.
Sono proprio Marx ed Engels a stabilire una correlazione tra la la dialettica della natura, quella della storia e quella della conoscenza. Si va per gradi e per inclusione, come nelle matrioske: è del tutto evidente che la natura comprende ogni essere vivente, senziente o meno che sia, animale o vegetale e pure tutta quella materia che noi definiamo correttamente “inanimata” e che, di primo impatto, può sembrare esclusa dall’onnicomprensività del processo dialettico perché, come si faceva cenno prima, ascrivibile alla categoria della staticità, dell’immobilismo, dell’imperturbabilità.
Così come è evidente che la dialettica della storia si realizza nel momento in cui la complessità di sviluppo della materia arriva all’autocoscienza umana che è, quindi, il punto più estremo, alto e insuperabile – almeno fino ad oggi – nella scala di acquisizione del sapere che ha una sua funzione soltanto nel rapporto tra soggetto autocosciente e resto dell’esistente. Gli animali non umani, da questo punti di osservazione critica, sono un gradino più in basso nella scala evolutiva, pur possedendo una consapevolezza di sé stessi che li porta a preservarsi, ad esercitari – al pari nostro – quell’istinto di autoconservazione che sarebbe impossibile avere se non si sapesse di essere e di esserci.
Dunque, la dialettica della storia non autorizza nessun tentativo di classificazione specista e va rivista, laddove fosse stata in questo modo interpretata, prescindendo dalla presupposizione di una centralità dell’essere umano sulla Terra e nell’Universo. L’antropocentrismo è figlio di una concezione totalizzatrice che ha imposto dei privilegi, e quindi ha sparso ovunque dei pregiudizi, riguardo i diritti di tutti gli esseri senzienti a poter esistere e quindi vivere senza dover ricadere sotto l’egemonia, il dominio e la proprietà di noi animali umani.
Fatta questa parentesi antispecista, ritorniamo alla questione della dialettica della storia. Si diceva del fatto che essa nasce nel momento in cui esiste una storia. Di per sé gli animali non umani non hanno l’attitudine autocosciente e non si fanno domande (almeno così crediamo ancora oggi se osserviamo empiricamente i loro comportamenti) che riguardano sé stessi e il contesto in cui giorno dopo giorno vivono. Esistono e paiono prescindere dal pensiero dell’esistenza. Ci sono e sembrano non porsi il problema dell’essere e dell’esserci. Sono quindi non tanto incoscienti, ma naturalmente inconsapevoli di quello che li circonda.
Reagiscono istintivamente ma non si pongono domande, nonostante rispondano – anche pavlovianamente – ad azioni che suscitano reazioni e, quindi, la dialettica della natura li riguarda eccome, anche – purtroppo per loro – in relazione a quella della storia degli umani, ma, se non elaborata da questi ultimi, non li concerne una dialettica della storia. Siamo noi, quindi che, nel creare la storia di noi stessi e del mondo, in questo senso antropocentrizzato, diamo adito ad un terzo tipo di logica del movimento: la dialettica della conoscenza.
E cos’è la conoscenza se non una attitudine sviluppata mediante il pensiero e, pertanto, tramite l’autocoscienza e il raziocinio? Qui la dialettica tra soggetto pensante e oggetto pensato, ponderato, guardato e riguardato, esaminato e adattato ai bisogni dell’animale umano, si esprime nella sua pienezza. Ora, la tentazione di reputare questo il gradino più alto dell’evoluzione umana è forte: purtroppo anche la capacità di essere autoconsapevoli dell’autoconsapevolezza non ci risolve il dilemma inconoscibile dell’esistente. Parmenidianamente, siamo sempre nel problema dell'”essere” che è in quanto non può non essere e del “non essere” che non è in quanto non può non essere.
La cortocircuitazione ontologica ci spingerebbe oltre quello che vogliamo veramente affermare: ossia che la dialettica della conoscenza e della storia non sfuggono alla dialettica della natura e che, per quanto noi animali umani ci si sforzi di giungere al fine ultimo della comprensione universale, non vi arriveremo mai. Non fosse altro perché, stabilendo una similitudine tra vertiginosa infinutidine dell’Universo e meravigliosa potenza della Natura, noi siamo parte di qualcosa di incommensurabile e, pur avendo la disgrazia (o la fortuna…) di poterne avere contezza (e non fa venire le vertigini anche ciò?), rimaniamo prigionieri di una finitudine che ci è inseparabile, perché ci determina e ci stabilisce attimo dopo attimo.
Di più ancora: noi proviamo a dare un senso a ciò che siamo e tutto quello che ci compenetra e che ci sta intorno attraverso una categorizzazione degli elementi. L’Universo per noi si chiama così, ma esiste a prescindere dal nostro esame cosciente. Altri popoli, su altri pianeti, se esistono e se hanno anche loro sviluppato una dialettica della storia, possono aver chiamato l’esistente in qualche altro modo. Il linguaggio è una convenzione che serve alla socialità, che ci consente di interfacciarci e di non essere soli in mezzo a noi stessi.
Quello che ne se deduce, proprio dialetticamente parlando, è che tutto è in movimento: materia, individui, elementi naturali, sovrastrutture di qualunque tipo e strutture economiche che sono un artefatto antropologico della nostra storia, del cammino umano. Per tutti gli sforzi che possiamo fare, non arriveremo mai al punto di fine del processo dialettico della conoscenza: quindi a sapere tutto e a capire tutto. La dinamicità tra domanda e risposta sarà sempre esponenziale e riguarderà un ricorso continuo al dubbio come motore della scientificità, quindi dell’acquisizione del sapere proprio attraverso la logica del movimento.
Proprio perché tutto cambia e muta, non si potrà mai avere una perfetta sovrapposizione ed identità tra conoscenza della realtà e relatà stessa. Entrambe si muoveranno senza soluzione di continuità, interagendo fra loro ma mai unificandosi, perché l’Universo è fatto così ed è regolato da leggi che sembrano avere un rigore comportamentale stabilito (se dicessimo “prestabilito” cadremmo nella tentazione creazionista, il che sarebbe anche una ipotesi, ma troppo semplicistica). La meccanica quantistica ce lo ha ampiamente descritto.
Marx ed Engels, quindi, nell’introdurre nella locuzione “dialettica materialistica” il movimento delle contraddizioni antropologiche, sociali, politiche e, pertanto, fondamentalmente economiche, mettono in relazione Natura, Storia e Conoscenza come attrici prime di un cambiamento che è la vita stessa di ciò che sente, di ciò che percepisce, di ciò che quindi, sentendo e percependo, reagisce agli stimoli. Quando si analizzano i fenomeni che determinano lo sviluppo, si mette in moto un procedimento conoscitivo che è al contempo metodo conoscitivo e logica: in pratica, si osserva, si ragiona e si impara.
Imparare vuol dire adattarsi alle contraddizioni senza doverle evitare. Lo spirito di adattamento degli animali, umani o non umani, chiarisce che abbiamo quella origine comune dei primati e che, quindi, il considerarci altro dall’animalità è una deformazione di quella realtà che oggi possiamo esplicare scientificamente, abbandonando progressivamente l’assunto che siamo al vertice di una evoluzione che ci predestina in qualche modo al dominio sull’interezza del globo e sulla totalità restante dei suoi abitanti.
Il comunismo del nuovo millennio, ancora come “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente“, deve tenere conto di un processo dialettico proprio: storico e conoscitivo al medesimo tempo. Deve riflettere sulla liberazione di qualunque essere vivente e senziente dal dominio di altri esseri viventi e senzienti. Deve considerare le leggi naturali come le uniche a cui obbedire realmente, lasciando libere le contraddizioni (che noi soltanto valutiamo preventivamente come tali, ma che sono in realtà dialettica della natura) da qualunque vincolo preconcetto.
Causa ed effetto riguardano sempre il movimento dialettico: dalla natura alla conoscenza. Noi animali umani siamo intervenuti già esageratamente nello spontaneismo universale e abbiamo costretto l’ambiente, gli altri animali e persino noi stessi ad obbedire a leggi dettate soltanto da un istinto di sopravvivenza sproporzionato rispetto alla vita stessa. Il potere, che nasce nel momento in cui si afferma la divisione sociale, che è data dalla sovraproduzione che, a sua volta, dà seguito ad una accumulazione di profitti e, quindi, garantisce ad alcuni più di quello che gli basterebbe per vivere, quel potere non è parte della dialettica della natura.
Esiste una gerarchizzazione dei rapporti anche nelle comunità degli animali non umani, ma mai finalizzata al disfacimento del benessere collettivo. Invece noi animali umani siamo la specie che ha creato il razzismo e lo ha fatto con l’intento di garantire soltanto ad una parte dominante di prevalere sulla restante messa in schiavitù o alle proprie dipendenze. Il tutto per garantirci uno stile di esistenza migliore a scapito di altri, istituendo pensieri magici con riti e precetti che discenderebbero direttamente da divinità mediante cui si prova da un lato a dare un senso all’esistenza, dall’altro a controllare i popoli.
Nella dialettica della storia, dunque, e quindi anche in quella della conoscenza, il materialismo ha un ruolo nel momento in cui esemplifica il ruolo dei rapporti delle classi che si sono andate via via formando dal primitivismo fino ad oggi. Prendiamo l’incipit de “Il Manifesto del Partito Comunista“: «La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi». Partendo dal fondo della frase si può con grande facilità comprendere come l’economia abbia condizionato la vita di chiunque in un ambito di sviluppo sociale entro una storia che, quindi, ne è stata determinata.
Le classi sociali hanno fatto la storia, lottando fra loro, dominandosi e predominandosi. Lo hanno fatto in un contesto sociale e, quindi, hanno fatto sì che la logica del movimento desse adito a tutti gli sviluppi possibili di altrettante contraddizioni che sono il nutrimento preferito della dialettica tanto conoscitiva quanto storica e comunque naturale. Quindi, il confronto-scontro fra le classi, per quanto impersonale ed a-soggettivo possa sembrare, è stato il centro di elaborazione della costruzione della storia. Della nostra come di quella che abbiamo fatto subire al pianeta e agli animali non umani.
Poi, indubbiamente, esiste una storia biologica di ogni essere vivente e quella, almeno fino ad un certo momento, prescinde dai mutamenti imposti dall’umanità all’animalità e alla natura. Ma la dialettica non ha mai cessato di essere quell’elemento, indubbiamente descritto dal nostro raziocinio e dalla nostra autocoscienza, che è tra i misteri più affascinanti dell’Universo e che, fino ad oggi, nemmeno la scoperta del bosone di Higgs ha potuto fino in fondo provare a spiegare.
Sembra sempre di essere ad un passo dalla soluzione delle soluzioni. E non vi si arriva mai. La dialettica ci include ed include tutto quanto ciò che sembra esistere. Dunque somiglia molto di più ad una panteistica idea di dio che non ad una scoperta umana.
MARCO SFERINI
14 aprile 2024
foto: screenshot ed elaborazione propria