In previsione di un attacco iraniano, gli Stati uniti stanno inviando altre truppe e attrezzature militari in Medio Oriente nel tentativo di aumentare le risorse disponibili per «difendere Israele». A usare questi termini è il Pentagono in una nota. Il segretario alla difesa americano Lloyd Austin «ha notato il rafforzamento della posizione e delle capacità delle forze militari statunitensi in tutto il Medio Oriente alla luce delle crescenti tensioni regionali», si legge nella dichiarazione di domenica.

Austin ha ordinato al gruppo d’attacco Abraham Lincoln di accelerare il dispiegamento nella regione e allo stesso tempo ha annunciato lo schieramento di un sottomarino lanciamissili, dopo aver parlato con il suo omologo israeliano, Yoav Gallant. Il segretario stampa, il maggiore generale Pat Ryder, ha quindi annunciato che il Pentagono ha ordinato di inviare, oltre al sottomarino, anche un gruppo d’attacco di portaerei equipaggiato con aerei da combattimento F35C.

Il Pentagono ha poi sottolineato «il rafforzamento della posizione e delle capacità delle forze militari statunitensi in tutto il Medio Oriente alla luce delle crescenti tensioni regionali», in un contesto in cui la leadership iraniana ha promesso ritorsioni contro Israele. All’annuncio ha fatto seguito una telefonata tra Austin e Galant: secondo la stampa Usa, i due funzionari della difesa «hanno discusso anche delle operazioni di Israele a Gaza e dell’importanza di mitigare i danni civili, dei progressi verso il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza».

Gli analisti hanno notato che è una mossa molto inusuale per il Pentagono quella di annunciare pubblicamente il dispiegamento di un sottomarino e di questo tipo forze: la mossa sembra contenere il tentativo di dissuadere l’Iran dall’alzare ulteriormente il livello dello scontro, facendo alcune ma ben più lievi pressioni anche su Tel Aviv. L’Uss Georgia, sottomarino a propulsione nucleare, era già nel Mar Mediterraneo a luglio, stando a quando pubblicati sui social media dal Pentagono, ma è comunque raro che gli Stati uniti ne annuncino lo schieramento.

In questo quadro di tensione crescente in cui gli Stati uniti armano Israele raccomandandosi di non causare troppi danni, in madrepatria Trump è tornato a parlare di Iran, stavolta per questioni che riguardano la sua campagna elettorale. Nel fine settimana la campagna Trump ha puntato il dito proprio contro Teheran accusandola di un presunto furto di email e della condivisione di comunicazioni interne sensibili.

I funzionari della campagna non hanno fornito una prova specifica, ma hanno citato il rapporto di Microsoft in cui si afferma che degli hacker iraniani hanno preso di mira «una campagna presidenziale» tramite un’email di spear phishing, un tipo di attacco in cui si tenta di indurre con l’inganno a divulgare informazioni sensibili o a scaricare malware cliccando in link.

Nonostante Microsoft non abbia specificato quale campagna abbia ricevuto la presunta email contenente il link maligno, Trump sostiene di esserne stato il target. Il primo a segnalare l’hacking è stato lo staff di Politico, che ha affermato di aver ricevuto email anonime provenienti da un account AOL appartenente a un certo «Robert», contenenti dei documenti che sembravano provenire da un alto funzionario della campagna Trump.

In allegato un dossier di 271 pagine, riguardante anche le «potenziali vulnerabilità» del compagno di corsa di Trump, J.D. Vance, e un dossier sul senatore della Florida Marco Rubio, che era tra i candidati a vicepresidente. Il mittente anonimo avrebbe riferito di avere «una varietà di documenti, da quelli legali e giudiziari di Trump, a quelli relativi alle discussioni interne della campagna elettorale».

Steven Cheung, portavoce della campagna Trump, ha commentato il furto di email interne dichiarando che «delle fonti straniere ostili» hanno «l’intento di interferire con le elezioni del 2024».

MARINA CATUCCI

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria