Riarmo? Ma quale riarmo? La ricetta del centrodestra per compattarsi anche se le posizioni sono inconciliabili è drastica: si cancella l’argomento del contendere e passa la paura. Sembra un gioco di prestigio impossibile dato che alla Camera si discute appunto la mozione di Azione favorevole al riarmo.
Il centrodestra resta ineffabile. Accumula parole, squaderna argomenti a tutto campo: la sicurezza nazionale da rafforzare, i sacri confini della patria da difendere, il rispetto degli impegni internazionali, si legga con la Nato, il sostegno all’Ucraina «per tutto il tempo necessario». Nel vasto programma è naturale che qualcosa si perda e guarda caso si perde appunto il piano di riarmo, comunque lo si voglia chiamare e l’ultima all’anagrafe è Readiness 2030, gettonatissimo perché può significare tutto e dunque non significa niente.
La Lega però il problemino non se lo dimentica e va giù con l’ascia: «La difesa comune è impossibile perché l’Europa è divisa, inefficiente e governata da burocrati. Noi ci opponiamo a questi 800 miliardi di debiti per la difesa europea che graveranno sul bilancio». Fioccano applausi, dall’ala più a sinistra dell’emiciclo però. Il resto della maggioranza invece fa finta di niente: oddio, ma di cosa sta parlando il collega leghista Billi Simone? Avrà bevuto?
L’opposizione, tanto per provare a tenere alto uno straccio di tensione, prova a contestare la mozione di maggioranza: ma come si fa ad abbinarla a testi sul ReArm quando di tutto chiacchiera tranne che del ReArm? Presiede Rampelli e taglia corto: «Tutto regolare, si abbina si vota e basta così». La votazione è senza storia. Le proteste dell’opposizione sono da copione. La faccia tosta della maggioranza svetta e brilla.
Ma sino a quando reggerà il gioco? C’è chi sostiene che non possa arrivare più in là della fine del mese. Per accedere al piano di riarmo bisogna attivare la clausola di salvaguardia che permette di derogare dalle maglie del Patto di Stabilità e procedere con lo scostamento di bilancio. Non lo si può fare senza il via libera delle Camere, ammette Giorgetti: «Probabilmente si dovrà consultare il Parlamento trattandosi di scostamento di bilancio».
La sede adeguata per registrare detto scostamento è il def, che inizierà a essere discusso in aula nell’ultima settimana di aprile, previo passaggio in commissione Bilancio, per essere poi inviato alla Commissione l’ultimo giorno del corrente mese.
Se fosse davvero così la spaccatura sarebbe inevitabile. FdI e Fi sono possibiliste. La Lega ferreamente contraria. Ma non se ne farà niente e la scusa la fornirà proprio l’Europa con la sua eterna indecisione, con i margini di ambiguità ampi come l’intera carta geografica, con la sua patologica tendenza al rinvio. Non che una decisione nella maggioranza sia già stata presa ma si può essere certi che anche l’appuntamento di fine aprile sarà oltrepassato evitando di prendere posizione.
Prima o poi il nodo arriverà al pettine ma sino a quel momento ci sarà tempo per trovare vie d’uscita. In particolare se l’Italia riuscirà a far passare la sua linea che prevede un’accezione molto estensiva del concetto di difesa, tanto ampia da poter essere accettata persino da Salvini, e punta a evitare che il debito ricada sugli Stati puntando a incentivare gli investimenti privati con garanzia europea.
La destra si accinge a superare uno scoglio quasi più minaccioso, quello del Veneto. La premier si sarebbe convinta a rinunciare allo scippo lasciandolo alla Lega, in cambio di un impegno futuro sulla Lombardia tricolore. Figurarsi se potrà inciampare sulla mina del riarmo europeo.
ANDREA COLOMBO
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