E’ uno dei miei cantautori preferiti. Quindi potrei essere sfacciatamente partigiano nel fargli un elogio. Ma glielo faccio comunque, perché credo che la cultura, nelle sue molte e differenti espressioni compresa quella importantissima della musica, debba tornare ad essere protagonista in questo Paese così analfabeta di ritorno, così anticivico, privo di una morale sufficientemente condivisa e fondata su una umanità così dispersa come fondamentale base di crescita della vita quotidiana di ciascuno e di tutti.
Ermal Meta ha scritto in difesa di Baglioni, della musica, dei migranti, dell’umanità, del senso profondo che deve avere qualunque poeta delle note che si esprime mentalmente e fisicamente tanto sui palchi di tutta Italia quanto attraverso il proprio pensiero che, per una volta, esce dal pentagramma e si fa articolo di giornale.
Ha scritto contro un nuovo “editto”, contro uno stigma che si è riversato sul direttore artistico del Festival di Sanremo per aver osato criticare la maestà del ministro dell’Interno, la sua politica di chiusura dei porti, di respingimento dei migranti e, in particolare, facendo riferimento alla vicenda ormai conclusa della Sea Watch, a 49 persone (sì, persone, prima di essere migranti) che sono state in balia del Mediterraneo per venti e più giorni.
L’intervento di Ermal fa cultura, è cultura. Ed è preziosissimo, perché messaggi come quelli che ha inviato lui sono maggiormente ascoltati se provengono da ambiti differenti rispetto ai classici canali della tanto odiata “politica”.
Grazie ad Ermal Meta per questo gesto, soprattutto perché è gratuito, come l’umanità deve essere, non chiede niente in cambio (visto che quest’anno non partecipa al Festival e quindi non può essere accusato di una difesa piaggeristica del direttore artistico) e dà molto. Ancora una volta, “dall’alba al tramonto”.
(m.s.)
foto: screenshot