La war on drug di Matteo Salvini è cominciata. Quarantotto anni dopo quella inventata (e persa) da Richard Nixon, il leader del Carroccio la rispolvera come uno smoking per la festa della campagna elettorale. Ma neppure Trump – che pure è stato un supporter di quella guerra ma recentemente sembra aver cambiato idea sulla legalizzazione della marijuana adottata da molti Stati, sarebbe capace di tanto.
Perché la personale crociata proibizionista del titolare del Viminale si accontenta di attaccare – per i prossimi 16 giorni, inshallah – i negozi che vendono cannabis light. E non certo le 100 nuove sostanze psicoattive perfettamente legali censite ogni anno dall’Istituto superiore di Sanità, come chiede invece il Coordinamento nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) che venerdì ha partecipato all’incontro con lo stesso Salvini e con il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana. Incontro che aveva aperto le danze attorno al totem della droga.
Ieri, per dare corpo al suo annuncio, il questore di Macerata Antonio Pignataro è riuscito a trovare due cannabis light shop a Civitanova Marche che vendevano 25 prodotti con un Thc di 0,8%, con un principio attivo cioè superiore allo 0,6% consentito per legge. E li ha chiusi. Aggiungendo un giudizio che dimostra la sua fede politica: «Si possono vendere shampoo e saponi ma non le infiorescenze di canapa, senza le quali però questo tipo di negozi non coprirebbe le spese – ha affermato Pignataro – Comunque, la cannabis legale non esiste e il limite di Thc di 0,6 è ingannevole».
Un regalone. Il vicepremier leghista esulta e brandisce la notizia come una clava: «Complimenti al questore e alla magistratura, lo Stato dimostra di non essere complice di chi vende prodotti che fanno il male dei nostri figli. Da oggi comincia una guerra via per via, negozio per negozio, quartiere per quartiere, città per città. Sono sicuro che il modello Macerata può essere replicato con successo in tutta Italia, oggi stesso manderò una direttiva con questa indicazione».
Un annuncio che è bastato a far scattare comunque i malumori degli esercenti che vendono prodotti a base di canapa, gadget o attrezzature per la coltivazione (779 Grow shop in tutta Italia, 2.087 punti vendita di cannabis light e oltre 10 mila negozi, compresi i tabaccai, che vendono legalmente infiorescenze di canapa non psicoattiva, con un fatturato annuo complessivo minimo di 44 milioni di euro). Tanto che il Festival Internazionale della Canapa, in programma dal 17 al 19 maggio al Pala Alpitour di Torino è stato annullato dagli stessi organizzatori (vedi intervista in pagina).
«La droga fa male. Meglio un uovo sbattuto». Anzi no, «se bisogna legalizzare o liberalizzare qualcosa, parliamo invece della prostituzione, visto che far l’amore fa bene sempre e farlo in maniera protetta e controllata medicalmente e sanitariamente è meglio».
Salvini è un fiume in piena. Ha trovato la vena d’oro e non intende mollarla fino al 26 maggio. Ancora verde di bile per la ritirata sul caso Siri, provoca gli alleati/sfidanti di governo: «Mi aspetto che il senatore dei 5 Stelle Mantero ritiri la proposta sulla droga libera (ma si tratta di un ddl per la legalizzazione della marijuana, ndr). Non è nel contratto di governo e non voglio lo Stato spacciatore».
Luigi di Maio ribatte: «La lotta alla droga è come la pace nel mondo: la vogliamo tutti. Non vedo perché si debbano creare tensioni nel governo per una cosa che noi sosteniamo. Il ministro Salvini vuole chiudere i negozi irregolari che vendono queste sostanze? Ben venga, perché se sono irregolari non possono stare aperti. Però lo pregherei anche di chiudere, ad esempio, le piazze di spaccio della camorra, della mafia, perché quando ci sono queste piazze di spaccio ci vanno di mezzo nelle loro guerre bambine di tre anni, come a Napoli».
Il time out lo batte questa volta il premier Giuseppe Conte: «Ho un’agenda molto fitta. Non mi stravolgete l’agenda: questo (la chiusura dei cannabis light shop, ndr) non è all’ordine del giorno».
All’ordine del giorno ci sono in effetti le elezioni europee. Quell’Europa dove, se si esclude la Romania e poco altro, la vendita di prodotti a base di canapa non psicoattiva è il minimo sindacale.
ELEONORA MARTINI
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