Dalla nascita della Quinta Repubblica nel 1958, il panorama politico e ideologico francese è stato strutturato da due blocchi contrapposti.Da un lato, le due famiglie di destra (il gollismo e i suoi eredi, i liberali), dall’altro i due partiti di sinistra (i socialisti e i comunisti).
L’estrema destra e l’estrema sinistra hanno svolto un ruolo elettorale marginale e hanno avuto una presa relativamente debole sulla società. La bipartizione si è gradualmente disintegrata negli anni Ottanta a favore di una tripartizione delle forze politiche: l’estrema destra, il centro liberal-liberista e la sinistra plurale. In questa nuova geografia di forze ideologiche, la destra classica ha cercato di sopravvivere, ma si è trovata di fatto divisa tra la tentazione di aderire al Rassemblement National (RN) e al campo presidenziale.
In Francia non è mai esistita una forza paragonabile a quella della DC in Italia, la cui spina dorsale ideologica era basata sulla religione maggioritaria degli abitanti della penisola, sull’allineamento atlantista e sulla difesa del federalismo europeo.
Oggi nessuno dei tre blocchi (il RN, il campo presidenziale, la sinistra) ha la capacità di essere una forza dirigente in grado di ottenere il consenso della maggioranza dei francesi su un programma politico, perché nessuno di essi ha l’egemonia.
Nessuno può negare che l’ideologia dell’estrema destra abbia fatto progressi spettacolari nella società francese. Solo qualche decennio fa, il Front National non era altro che un piccolo gruppo, mentre il Rassemblement National vanta oggi oltre il 30% dell’elettorato, anche se in un contesto di tassi di astensione molto elevati. A questa famiglia politica mancava solo la rispettabilità che deriva di fatto dall’accesso alle responsabilità di governo. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto tra poche settimane.
Tuttavia, sarebbe eccessivo affermare che il Rassemblement National ha vinto la battaglia delle idee, come molti commentatori hanno ripetutamente proclamato. Le sue tesi sulla perdita dell’identità francese hanno preso piede nel dibattito politico e soprattutto nei media, contagiando l’opinione pubblica.
I sondaggi mostrano anche un aumento degli ideali di tolleranza dei francesi nei confronti delle minoranze sociali e razziali, soprattutto tra le giovani generazioni. Inoltre, la mancanza di una risposta chiara del Rassemblement National alle questioni economiche e diplomatiche e il suo ostinato rifiuto di affrontare le sfide ecologiche e sociali testimoniano la limitatezza della sua influenza.
Il progresso del Rassemblement National non è in alcun modo in grado di creare un nuovo senso comune, per usare ancora una volta un’espressione gramsciana. Dal punto di vista ideologico il centro macronista è chiaramente strutturato attorno a un progetto liberale e liberista pro-europeo. Tuttavia, questo progetto piace solo alle élite sociali, di cui riflette gli interessi corporativi, senza alcuna capacità di soddisfare i bisogni materiali e spirituali delle classi inferiori. I macronisti di oggi non sono i giacobini di ieri! Il macronismo è quindi una forza dominante, non una forza dirigente.
La sinistra francese ha sempre avuto due anime, una riformista, l’altra rivoluzionaria. Ma questa dicotomia non le ha impedito di diventare egemone nel campo delle idee dal 1945 e poi nelle urne dagli anni Settanta agli anni Ottanta. Perché la sinistra ha perso il suo potere egemonico? Da un lato, la difficoltà di far rientrare le questioni sociali e ambientali nella questione sociale e, dall’altro, la riluttanza di alcuni suoi membri a continuare a difendere l’ideale repubblicano universalista.
Ma fanno sorridere coloro che presentano il Rassemblement National come l’esempio della lotta contro l’antisemitismo mentre la sinistra viene ingiustamente stigmatizzata come antisemita a causa della presa di posizione moralmente indegna di un gruppetto di deputati de La France Insoumise.
La creazione del Nuovo Fronte Popolare e il ritorno alla «disciplina repubblicana» sono la prova di un salutare risveglio. Il «popolo della sinistra» intende unirsi dal basso, costringendo gli apparati politici ad essere all’altezza di questa richiesta. Il Nuovo Fronte Popolare non è l’alleanza tra forze politiche incompatibili. Lo hanno detto con facile ironia i sostenitori del campo presidenziale che sono stati sorpresi da questa impennata della sinistra al punto da farne il loro principale nemico, anche a costo di rifiutare la disciplina repubblicana.
In origine, l’espressione «disciplina repubblicana» è stata usata per descrivere il trasferimento di voti al candidato di sinistra meglio piazzato al secondo turno di un’elezione, con la sinistra equiparata alla difesa della Repubblica. L’espressione non scomparve dopo il 1914 e il radicamento della destra al regime repubblicano. È stata utilizzata, anno dopo anno, in tutte le elezioni fino a poco tempo fa per bloccare l’estrema destra.
Uno dei leader dei Repubblicani, François-Xavier Bellamy che ha guidato il partito alle europee, ha invitato a votare per i lepenisti in caso di duello con la France Insoumise. E anche i macronisti sembrano per ora non volerla votare al ballottaggio. In compenso, ci sono molti appelli a sinistra per bloccare il Rassemblement National a tutti i costi.
L’espressione «Nuovo Fronte Popolare» non è un semplice incantesimo che ripete una vecchia antifona antifascista. La sinistra ha però ancora molta strada da fare per recuperare la sua capacità egemonica. È pronta a condurre questa guerra di posizione? C’è da augurarselo, perché la speranza è da questa parte.
JEAN-YVES FRÉTIGNÉ
Maître de conférences in storia contemporanea,Università di Rouen, autore della biografia Antonio Gramsci : Vivre, c’est résister, Dunod
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