La crisi del draghismo e la tentazione dello strabismo progressista

Draghi non esclude alcuna ipotesi: andare, rimanere? Sostiene l’ex banchiere europeo che vi sono buoni motivi tanto per non abbandonare Palazzo Chigi quanto per invece discenderne le scale e...

Draghi non esclude alcuna ipotesi: andare, rimanere? Sostiene l’ex banchiere europeo che vi sono buoni motivi tanto per non abbandonare Palazzo Chigi quanto per invece discenderne le scale e oltrepassarne il portone. E’ vero che, politicamente parlando, la crisi è figlia delle decisioni del Movimento 5 Stelle e della disposizione a lasciare la maggioranza di governo per via della impermeabilità sulle proposte fatte in materia di diritti sociali, del superbonus, dell’inserimento del finanziamento del termovalorizzatore romano. Tutto vero.

Ma è anche vero che, tecnicamente parlando, quindi più sul versante prettamente economico-finanziario, cui questo governo guarda con particolare attenzione, mettendo il pubblico al servizio totale del privato, le ultime decisioni che Mario Draghi prenderà in merito a quello che dovrà dire mercoledì alle Camere saranno calibrate sui desiderata dei mercati, dell’Europa monetaria, dei rapporti internazionali tra i partenariati finanziari.

Oggi più che mai, l’uomo che “tutto il mondo ci invidia“, deciderà il da farsi anche controllando il pallottoliere della composizione di una nuova possibile maggioranza per un Draghi bis, pur sapendo che – salvo defezioni dell’ultima ora della Lega – il governo può contare su un ampio sostegno in entrambi i rami del Parlamento.

La copertura politica c’è. E questo lo si registra soprattutto considerando le difficoltà di un PD che, esaurita sempre più la prospettiva del “campo largo” lettiano, si ritroverebbe a fare i conti con una nuova maggioranza dove le forze centriste e di destra avrebbero – per così dire – una sorta di egemonia politica.

Il che vuol dire, almeno tirando le somme un po’ grossolanamente, per via più che altro ipotetica, che sia politicamente sia tecnicamente parlando la probabilità di una continuazione dell’attuale esecutivo ha qualche ragione d’essere. Ma ne ha anche l’altra probabilità: quella che il Presidente del Consiglio rimanga fermamente ancorato alla decisione presa e confermi le sue dimissioni.

PD, Liberi e Uguali, Forza Italia e centristi della maggioranza premono – pur con le diverse sfumature del caso – per evitare una soluzione di continuità che costringerebbe ad un raffronto tanto con nuovi equilibri parlamentari contingenti quanto con lo scenario più deflagrante ma democratico: il termine anticipato della travagliata legislatura pandemico-bellica e, quindi, l’appello al popolo, il ricorso al voto.

Un destino che questa pasticciona e bislacca politica italiana considera cinico e baro, nonostante tutte le manifestazioni di ossequio fatte in televisione e su Internet nei riguardi della sovranità e della volontà popolare.

Ciò che è altrettanto evidente è una crisi dell’impianto democratico che lascia ampio spazio alle pulsioni sovraniste più estreme. Un campo largo rischia di crearsi davvero, ma non tanto nel settore liberale di un centrosinistra impropriamente detto…

Semmai a destra, dove la trazione dell’intero perimetro del vecchio centrodestra oggi è, sondaggi alla mano e percezione diffusa nella realtà quotidiana, di diritto nelle mani di un partito e di una leader che sono affratellati in Europa e nel mondo con i peggiori retaggi del conservatorismo: dai trumpiani americani alla Vox spagnola, agli xenofobi e omofobi neonazi-onalisti dei paesi di Visegrad.

Il timore dei mercati è di non avere più alla guida del governo italiano un interlocutore certo, capace di interpretare per filo e per segno quelle che sono le necessità di un capitalismo nazionale inserito a tutto tondo in quello continentale, soprattutto con una guerra che non mostra alcun segno di contenimento, che viene ogni giorno alimentata dalle pretese dei due blocchi in campo, sempre e soltanto sulla pelle del popolo ucraino.

La geopolitica mondiale, del resto, non può aspettare che la nostra politica si ricomponga dietro l’imponenza dello stellone italico, sotto una nuova accondiscendente condivisione delle variegate proposte partitiche da parte di Draghi. L’intransigenza delle parole espresse nel comunicato inviato per segnare il limite temporale delle dimissioni è stata un po’ da tutti vissuta come una irrevocabilità manifesta, tutt’altro che interpretabile.

Tuttavia il Quirinale ha scelto di fare un ultimo tentativo, provando a mantenere l’asse con Palazzo Chigi attraverso una rinnovata fiducia parlamentare da aversi dopo giorni e giorni di trattative tra le varie forze politiche. L’anomalia dell’abbandono draghiano e del gran rifiuto di Mattarella, unitamente al tempo concesso per una riflessione a tutto tondo nel merito, è un chiaro segnale di incertezza diffusa. Nessuno ha una soluzione pronta all’enigma che si è venuto a creare.

Comunque si tenti di risolverlo, rimarranno delle zone d’ombra, delle invettive pronte ad essere lanciate per richiamare il mancato ricorso alle urne come una sottrazione della sovranità popolare nel nome di una governabilità che non potrà più avere il manto protettivo del pensiero e del potere magico di un Draghi solutore di ogni problema, di ogni grana che gli si presenti e che riguardi soprattutto l’interezza della nazione.

In questo scenario complesso, ci si dimentica che a patirne le conseguenze sono le classi meno abbienti, i ceti più deboli di una società lacerata da una privatizzazione costante dei beni essenziali, da una parcellizzazione contrattuale, da un ridimensionamento esponenziale dei diritti sociali e da una minaccia costante per quelli civili da parte delle forze più reazionarie dell’arco politico italiano.

In questo scenario di un probabile avvicendamento governativo, poco cambia per i lavoratori e i pensionati: se sarà Draghi a venire dopo Draghi, non cambierà proprio nulla in meglio. Se invece saranno altri a prendere le redini di un nuovo esecutivo o se sarà il voto ad essere protagonista dei prossimi mesi, il cambiamento, vista la crescita della rendita di posizione dei partiti più ostili a qualunque ipotesi di garanzia sociale, non potrà che declinarsi in un peggioramento delle già devastanti condizioni di sopravvivenza di milioni e milioni di italiani.

Che ne sarà del reddito di cittadinanza, ad esempio? Che fine faranno i tavoli aperti con i sindacati, pure molto insoddisfacenti in quanto a proposte e risposte da parte di Palazzo Chigi nei confronti delle richieste della CGIL?

I mercati avranno anche da perdere alcune posizioni concorrenziali nel vasto agone degli scambi borsistici e dell’alta finanza, ma i lavoratori, i precari, i pensionati e gli studenti si vedranno ancora una volta scippare scampoli di futuro, negare diritti fondamentali per essere costretti ad accettare compromessi continui al fine di sopravvivere in una prospettiva di compressione delle minime garanzie per una esistenza quanto meno dignitosa.

Per quel che ha rappresentato e fatto, il governo Draghi non merita una sola lacrima se dovesse crollare sotto il peso delle contraddizioni della sua quasi ex maggioranza politica. Ciò che inquieta è l’assenza di una alternativa concreta che possa essere tale sia nei confronti del cosiddetto “centrosinistra” sia del “destracentro” attuali.

Le ipotesi che la sinistra di alternativa possa ora accostarsi ai Cinquestelle redenti sulla via di una Damasco sociale, ecologista e libertaria, sono più che altro fantapolitica: è impensabile che Conte, improvvisamente, da alleato della Lega di Salvini nel governo giallo-verde, dopo un anno vissuto pericolosamente col PD e i suoi accoliti, dopo il camaleontismo confermato nell’adesione alla maggioranza di unità nazionale, sia arrivato – seppure sulla scia di una contrarietà tutta gucciniana – a scoprire di essere più di sinistra di quell’ibrido centro incolore e anti-ideologico che pretendeva di rappresentare fino a pochi mesi fa.

Se c’è una caratteristica fondante del Movimento 5 Stelle, dal tempo dei tempi, è proprio l’indistinzione, l’incolorabilità degli stendardi, la presunta neutralità dei concetti dentro una sorta di languido pragmatismo che è stato opposto all’utopismo della sinistra, in particolare quella radicale, comunista, di alternativa o anche solo socialdemocratica.

Ma, la storia e la vita ci insegnano: mai dire mai. Perché le geometrie variabili sono un’arte in cui si destreggiano con grande successo  e pochi risultati i teorici del tatticismo a buon mercato, quelli che intendono guardare proprio all’oggi proiettando le rispettive forze politiche in un vuoto pneumatico di banalità e di retorica che permette di sembrare utili idioti un po’ per tutte le stagioni.

La sinistra di alternativa, che sta cercando di mettere a progetto l’Unione Popolare presentata da poco, deve fare i conti prima di tutto con la storia che vuole costruire, con un lavoro di lungo corso che deve mettere in pratica disponendosi all’edificazione di una propria consapevolezza fattuale unitamente ad una critica sociale ispirata da una identità ben precisa. Non ci possono essere alternative vere al draghismo ed alle sue multiformi escrescenze tanto a sinistra, quanto al centro, come a destra, se non in una proposta politico-organizzativa nettamente anticapitalista e antiliberista.

Se fossimo pronti ad abbracciare, per puro spirito di convenienza elettoralistica e calcolo di microbico tatticismo opportunistico, una alleanza con i Cinquestelle ribelli di Conte (e magari di un Di Battista rientrato nei ranghi), non faremmo che mettere fine, prima ancora di avervi dato vita, al progetto dell’Unione Popolare che ha, giustamente, la pretesca di ispirarsi al modello francese di ricostruzione della sinistra di opposizione per farla divenire una opzione concreta dell’alternativa anche di governo.

Qualunque scelta Draghi faccia, non possiamo che esserne critici senza se e senza ma. Qualunque strada prendano i Cinquestelle e Conte, non possiamo che esserne critici ed equidistanti. Solo così potremo offrire alla popolazione un principio di alternativa alle tante declinazioni del liberismo: da quello fintamente sociale del PD a quello nazionalista e conservatore di Fratelli d’Italia.

MARCO SFERINI

16 luglio 2022

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