La guerra in Ucraina, con il suo messaggio di devastazione e di morte, pesa sulla coscienza di molti. Cosa possiamo fare? Sull’invio di armi e sull’aumento delle spese militari c’è polemica.
Dal Fatto quotidiano del 6 aprile un valente costituzionalista come Ainis ci dice che l’aumento delle spese militari è un terreno costituzionalmente neutro, con dei limiti. Ha ragione, e il se e il come si va all’aumento destano molti dubbi. Ma dice anche che la Costituzione impedisce l’invio di armi all’Ucraina. E su questo si può dissentire.
Nel primo avvio del conflitto ho espresso su queste pagine perplessità sull’invio di armi, pur pensando che la Costituzione italiana non sia pacifista a prescindere. Ma dopo sei settimane di guerra, città in rovina, milioni in fuga, migliaia di civili morti, notizie e immagini che pensavamo fantasmi del passato, dopo Bucha, anche la Costituzione chiede una rilettura.
L’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite richiama il “diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite”. È un diritto di difendersi, sancito con particolare forza (nel testo inglese, “inherent right”). La legittima difesa è consentita fino a quando il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.
Ma nella specie il Consiglio è bloccato dal veto della Russia, paese aggressore, che riduce l’Onu all’impotenza. Mentre si trova, in altra prospettiva, conferma nell’art. 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, che sancisce il diritto di autodeterminazione dei popoli. Possiamo ampliare la prospettiva costituzionalistica da adottare.
Per l’art. 11 della Costituzione, infatti, l’Italia “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ma bisogna leggere anche l’art. 10, per cui “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. E non è dubbio che tra quelle rientri la legittima difesa, norma consuetudinaria richiamata dagli articoli sopra citati.
Potremmo dire, in modo sintetico, che la Costituzione con l’art. 11 respinge con nettezza il von Clausewitz per cui la guerra è continuazione della politica con altri mezzi. Chi aggredisce in armi non può avere aiuto, comprensione, tolleranza.
Ma per l’art. 10 non condanna chi resiste in armi all’aggressore esercitando il diritto a una difesa legittima. L’aggressore opera un abuso, l’aggredito esercita un diritto. E dunque il sostegno con l’invio di armi all’aggredito che chiede aiuto non equivale a scendere in campo al fianco di una delle parti belligeranti entrambe responsabili di un conflitto comunque da condannare.
È l’esistenza conclamata di un’aggressione che fa la differenza. A nulla vale che si parli di operazione militare speciale, e non di guerra. L’etichetta non conta, come del resto ha certificato con ampia maggioranza l’assemblea generale dell’Onu il 2 marzo con una risoluzione per cui l’azione militare russa costituisce una violazione della integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina ed è “inconsistent with the principles of the Charter“.
Perché cambia la prospettiva costituzionalistica? Perché l’aggredito ha dimostrato di essere in grado di esercitare il diritto di difendersi per il quale chiede aiuto, aprendo così la via all’aiuto militare, scelta politica per l’art. 10 certo non doverosa, ma consentita. Poteva non accadere, se il conflitto si fosse chiuso in pochi giorni con l’instaurazione di un governo fantoccio, che mai avrebbe chiesto aiuto contro l’invasore. Questo probabilmente pensava Vladimir Putin. Ma non è andata così.
Sull’invio delle armi I decreti-legge 14 e 16 del 2022 adeguano l’ordinamento italiano alla norma internazionale sul diritto di difendersi. Legittimi i dubbi politici, e fondate le censure sulla emarginazione del parlamento dalle valutazioni di merito sull’invio. Legittime, altresì, le critiche a passati errori politici dell’Europa e della Nato. Ma il punto è che gli errori politici non si correggono con le bombe e i missili.
Quanto alla possibilità che stiamo assistendo a una gigantesca fake news orchestrata dai guerrafondai filo-occidentali, personalmente non ho dubbi. Tra Putin e il New York Times, scelgo il New York Times. E se c’è da scegliere tra la pace e i condizionatori, scelgo la pace.
MASSIMO VILLONE
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