Improvvisamente provviste di una grande visibilità mediatica le cosiddette “Sardine” entrano nel merito dell’organizzazione del sistema politico dichiarando di non voler mai più essere rinchiusi “in una scatola” e aggiungendo “Diventare partito sarebbe un oltraggio a ciò che è stato e che potrebbe essere. Torneremo liberi nelle piazze, perché siamo rimasti sdraiati per troppo tempo”.
In discussione ovviamente non c’è la scelta dei quattro che scrivono, ma la concezione dell’agire politico che si intuisce dal testo apparso con grande spazio sulle colonne di “Repubblica”.
Salvo successive smentite è il fenomeno nato da Facebook che potrebbe essere definito, esaurita la fase dell’antipolitica, quello della post – politica che non riconosce la delega e la rappresentanza.
Vale la pena allora ricordare ancora una volta la funzione che i partiti hanno svolto nel processo di formazione della democrazia, a partire dalla Costituzione Repubblicana, e della ricostruzione del Paese dalle macerie, morali e materiali della Guerra.
Ne vale la pena perché certe frasi sfiorano pericolosamente l’assenza di memoria, causa prima, è bene affermarlo con chiarezza, della degenerazione del nostro sistema politico almeno a partire dagli ultimi 20 anni segnati proprio dalla “liquidazione” del rapporto tra società e soggettività organizzata.
Andando allora per ordine:
smentendo la “furia iconoclasta” verso le strutture politiche, alla quale è fornito così grande spazio, ci pare basilare, al riguardo della fase storica in cui si trova la democrazia italiana, poter avviare un dibattito richiamando quali dovrebbero essere le funzioni essenziali che i partiti sono chiamati a svolgere.
Dunque a futura memoria:
i partiti dovrebbero agire come mediatori tra le istituzioni pubbliche e la società civile, tra lo stato e i cittadini.
Nella dimensione politica essi organizzano le divisioni presenti nella società civile.
In questo senso la prima funzione dei partiti dovrebbe riguardare la strutturazione della domanda: in questo senso i partiti, indispensabili per organizzare la volontà pubblica, operano per una semplificazione della complessità degli interessi individuali, formando l’interesse collettivo.
Essi sono: “mediatori di idee, attraverso una costante opera di chiarificazione, sistematizzazione e presentazione della teoria del partito”.
I partiti, inoltre, dovrebbero mettere “ordine nel caos” attraverso un processo di strutturazione del voto. In questo senso ne è stata, nuovamente, sottolineata l’indispensabilità, soprattutto al riguardo del processo di identificazione degli elettori, stabilizzandone nel lungo periodo i comportamenti di voti individuali.
La terza importante funzione che i partiti dovrebbero svolgere è quella della “socializzazione politica”, insegnando i cittadini a occuparsi della collettività, modellando atteggiamenti, inculcando valori e distribuendo capacità politiche ai cittadini e alle elite.
Attraverso la selezione delle candidature, i partiti dovrebbero poi operare l’importante funzione di reclutamento dei governanti. In tutte le democrazie, con pochissime eccezioni, le liste elettorali sono presentate da partiti e composte da loro appartenenti, inoltre nella stragrande maggioranza delle democrazie, i governi sono formati da membri del partito.
Ancora, è grazie ai partiti che i cittadini dovrebbero aspirare a un controllo dei governati sui governanti, svolgendo i partiti stessi funzioni di collegamento.
Il controllo non potrà certo avvenire in raduni di piazza versus confronti su tastiera.
Inoltre ai partiti spetterebbe il compito di rappresentare attori importanti nel processo di formazione delle politiche pubbliche, elaborando programmi, presentandoli agli elettori e cercando coerentemente di metterli in atto.
Ovviamente sono diversi gli approcci teorici sulla base dei quali i partiti possono tentare di assolvere a questi loro compiti: un approccio di tipo razionale, di scelta pubblica, identitario.
Soprattutto la costruzione di identità dovrebbe comportare anche la formazione di sentimenti di solidarietà, trasformando il calcolo individuale di costi e benefici, in azioni di solidarietà con altri, facendo sentire il cittadino parte di una comunità nell’essersi riconosciuto come eguale.
In una dimensione assolutamente decisiva i partiti, allo scopo di costruire quest’approccio identitario/solidaristico dovrebbero riconoscersi nelle fratture sociali fondamentali, scegliendo tra di esse attraverso un intreccio tra l’approccio razionale e quello identitario, secondo gli schemi elaborati da Stein Rokkan nel 1970 (traduzione italiana del 1982) e derivanti da un’analisi del processo di costruzione dello Stato nazionale e dello sviluppo del capitalismo industriale, adeguando questo schema ai processi di “congelamento” e di nuovo “allineamento” che i cleavages hanno subito a causa di molteplici ragioni, dall’innovazione tecnologica, alla velocizzazione dei messaggi informativi, dalla necessitata crescita della sensibilità ambientalista, alla globalizzazione degli scambi, in quel quadro che è stato definito di “fratture post-materialiste”.
Questo quadro teorico va ancora interpretato, per quel che riguarda il “caso italiano”, alla luce del disposto dall’art.49 della Costituzione, soprattutto alla luce di un elemento che, a mio giudizio, risulta del tutto decisivo: quello del “cosiddetto metodo democratico”, considerato essenzialmente al riguardo di due punti; il processo di formazione dei gruppi dirigenti (sulla base di quale mandato, ad esempio, le quattro “sardine” scrivono pagine e pagine di giornale a nome di altri?), la trasparenza nella rendicontazione delle risorse finanziarie utilizzate.
Sono queste, a mio giudizio, le basi essenziali per aprire, nel Paese, una discussione necessaria rifiutando l’idea dei partiti come “scatola”: esistono ancora partiti-architetti, capaci di operare cambiamenti necessari in nome dell’interesse generale, partendo da precisi riferimenti sociali e di conseguenza da un altrettanto indispensabile approccio identitario?
La risposta che arriva dall’esperienza di questi ultimi anni direbbe di “NO” ma vale ancora la pena rifletterci sopra, non rifiutando l’idea dell’organizzazione politica ormai sostituita da fenomeni sociali moltitudinari governati attraverso strumenti di mera mediazione mediatica e sottoposti all’imperio di un governo estraneo al concetto di rappresentanza: se il modello della politica è ormai diventato quello della piazza e delle piattaforme è evidente che, senza rappresentanza, le istituzioni governeranno sulla base delle istanze più forti essenzialmente nell’economia (ritornerà la logica dei “notabili”, un altro passaggio dell’arretramento storico in atto).
Certo c’è tutto da ricostruire , in particolare a sinistra, rispetto al quadro teorico fin qui enunciato ma rinunciare ai partiti, considerarli “scatole” significa semplicemente arrendersi alla logica del più forte come già stanno facendo gli ex-fautori dell’antipolitica diventati ministri: i processi degenerativi emersi nel sistema politico italiano nel corso di questi anni non giustificano quella resa incondizionata che è stata proposta in questi giorni.
FRANCO ASTENGO
21 dicembre 2o19
foto tratta dalla pagina Facebook delle Sardine di Roma