Le elezioni regionali che si sono svolte in Emilia Romagna e in Calabria dovrebbero essere più che altro un clamoroso campanello di allarme per la residuale democrazia italiana. E’ proprio la connessione tra istituzioni repubblicane e popolazione ad essere la vittima principale di questa tornata elettorale. Quando a votare si recano meno di quattro elettori su dieci, è del tutto evidente che non esiste una maggioranza qualificata, una maggioranza vera, ma esiste solo una minoranza che ha espresso la sua volontà a discapito di tutta una larga fascia di cittadini il cui disagio si è espresso nel non recarsi alle urne.
Questo disagio pesa come un macigno sulle parole “vittoria” di qualunque forza politica che voglia rivendicare un successo di grado e natura diversi: sia il PD e il segretario – presidente del Consiglio Matteo Renzi, sia l’indubbio successo della Lega Nord in Emilia Romagna che doppia il risultato di Forza Italia e relega il movimento grillino ad attore di secondo ordine nella catalizzazione del malcontento popolare.
Bisogna analizzare il voto soprattutto su questo piano: l’astensione e il voto di protesta dato sia a Grillo sia alla Lega. Un terzo di chi è andato a votare ha espresso il suo consenso per formazioni politiche che non hanno un progetto politico fondato sulla tutela dei deboli, ma solo sulla negazione dei diritti per i migranti, per i “diversi” da noi, per quelli che non sono autoctoni.
La disperazione che nasce e cresce sulle radici della malapianta della crisi economica, si autoalimenta di odio, razzismo, xenofobia, paura.
E’ la paura di ogni cosa che oggi domina i sentimenti popolari nel quadro politico più che mai sconvolto dagli avvenimenti quotidiani. E’ il disprezzo per la politica ridotta a mercimonio e a tutela di meri interessi privatissimi che rende impossibile e quasi velleitario dire alla gente che invece l’arte della politica è una nobile dedizione verso il bene comune.
E’ certamente la verità, ma appare come un parossismo, quasi una ipocrisia, un inganno, una presa in giro: tutto intorno è utilizzo della politica come strumento di protezione dei grandi interessi privati di capitalisti, banchieri, poteri fortissimi, oppure – fuori da questi assetti di tutela dei grandi privilegi – è corruzione e misero accaparramento personale di denaro pubblico per vizi privati trasformati in pubbliche virtù ben presto smascherate…
Un quadro desolante, dove le parole di Matteo Renzi sulla vittoria del Partito Democratico risuonano quasi beffarde.
In tutto questo, le liste della sinistra di alternativa, L’Altra Emilia Romagna e L’Altra Calabria riescono a farsi un qualche spazio: in particolare nella prima regione citata, la candidata Quintavalla ottiene più di 50.000 voti e raggiunge una percentuale che ricoda quella ottenuta da L’Altra Europa con Tsipras alle elezioni europee: il 4%. La lista a lei collegata arriva al 3,71% ed elegge un consigliere regionale.
Un risultato che va considerato positivamente perché si inserisce in tutto questo marasma di antipolitica, di astensionismo dilagante e nella fuga nei mesi scorsi di esponenti di Rifondazione Comunista traghettatisi a Sinistra Ecologia Libertà che, pur essendo in coalizione col Partito Democratico, non riesce a sfondare, conferma i suoi voti ed elegge due consiglieri grazie all’effetto alleantista.
Dunque le domande sono tante, alcune con una impronta inquietante, altre con una prospettiva di indagine e di studio delle dinamiche sociali che comunque fanno vivere a sinistra esperimenti di base come L’Altra Emilia Romagna che ancora riescono a far battere un cuore rosso, un cuore che non si arrende ai sentimenti vissuti “di pancia” e che prova a dare una risposta articolata, sensata e non superficialmente fondata sul respingimento delle problematiche che si vivono quotidianamente.
Le tensioni interne alla sinistra di alternativa, tanto interne a Rifondazione Comunista quanto a Sel e anche nel diffuso e vasto popolo dei comitati e dei movimenti sociali che attraversano tutta l’Italia, spingono per diverse soluzioni volte alla ricomposizione di una sinistra che si faccia largo in una vasta prateria politica ora lasciata al libero pascolo dei peggiori istinti di destra: c’è chi vuole un partito genericamente di sinistra che vada da una parte di Rifondazione alla minoranza PD di Pippo Civati; c’è chi sogna la ricomposizione del Partito Comunista Italiano e la sua resurrezione; c’è chi prova a mettere insieme entrambi i tentativi: rifare il PCI dentro un soggetto di sinistra alternativo tanto al PD quanto ovviamente alle destre.
Guardare indietro fa perdere la prospettiva del futuro: una prosettiva peraltro molto poco visibile… I sessanta e più elettori emiliano – romagnoli che hanno disertato le urne ci dicono prima di ogni altra cosa che serve ricominciare da loro, quindi dal basso e non da unità formulate dall’alto.
Occorre progettare una sinistra plurale e unitaria che si riconnetta col sociale e che lo rappresenti autonomamente da tutte le altre forze politiche a tutti i livelli. Senza un preciso confine, una marcatura di una linea di separazione netta con chi sta alimentando oggi politiche liberiste che distruggono i diritti sociali, che attaccano i diritti civili e che pianificano un intervento di attacco costante contro il lavoro, considerato una variabile dipendente delle fluttuanti dinamiche del mercato, delle speculazioni finanziarie, di quelle bancarie.
Poche parole, dunque, per ricominciare: la Cosa rossa che vogliamo creare può avere nei comunisti, in Rifondazione Comunista uno dei motori che la promuovano, che partecipino fattivamente all’aggregazione di una vasta opposizione di classe al governo Renzi e a tutte quelle forze politiche che lo sostengono.
Ma tutto deve realizzarsi nella più limpida chiarezza nel definire un programma minimo di lavoro che sia riconoscibile e riconosciuto come l’inizio di una forza che può crescere solamente in quegli strati popolari più poveri, disagiati e disperati, proprio perché il nostro obiettivo deve tornare ad essere l’attacco ad ogni forma di sfruttamento. Comprese quelle che la crisi economica dei bassi salari e del grande capitale ha creato e ha difeso fino ad oggi con governi che si definisco “di sinistra” e che invece sono solo un’altra faccia di una pericolosa destra politica ed economica.
MARCO SFERINI
redazionale
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