La credibilità dei sondaggi è spesso stata intaccata da clamorose imprecisioni, per non dire vere e proprie gaffes che hanno creato situazioni veramente imbarazzanti: certezze di vittoria di una coalizione ribaltate nel giro di poche ore con la vittoria della coalizione opposta.
Però, nonostante ciò, dando un’occhiata alle cifre associate ai vari partiti in questi giorni c’è da trasecolare veramente: un soggetto come la Lega di Salvini che ha ottenuto il 17% alle ultime politiche dello scorso inverno, oggi si troverebbe addirittura al 32,2%, prosciugando lentamente Forza Italia, intaccando parte dell’elettorato di Giorgia Meloni e facendo incetta di nuovi consensi anche a sinistra (laddove per “sinistra” si esclude chiaramente ciò che sinistra non è, ossia l’area del PD).
Se questa trasposizione numerica del sentimento e dell’adesione popolare al progetto nazionalista e sovranista della Lega sia corretta è verifica impossibile da fare se non attraverso il ricorso al voto.
Il che significa che, al momento, per fortuna o per disgrazia è molto difficile da stabilire, non è dato conoscere.
Certo è che da una posizione di secondo arrivato (all’interno di una coalizione arrivata prima), Salvini è stato in grado di esercitare una egemonia (anti)culturale partendo da una posizione di pseudo-lotta prima di sedere a Palazzo Chigi e di governo poi, appena insediatosi in uno dei ministeri chiave di qualunque esecutivo.
Ogni giorno ha coniugato il segretariato di partito con il ruolo di ministro e ha trovato nella problematica delle migrazioni il fenomeno veramente epocale da consegnare agli italiani come terreno di incontro e scontro permanente, tralasciando ogni altra argomentazione e monopolizzando così l’attenzione di una povera opinione pubblica ormai costituita da una rabbia e da un disprezzo verso la politica vista, dopo anni di surclassamento del pubblico da parte del privato, come mero esercizio individuale a scapito del collettivo.
La logica del liberismo si è venuta qui incontrando perfettamente con gli interessi di una nuova borghesia imprenditoriale che sta tentando di proteggere il “made in Italy” davanti alla grande concorrenza internazionale.
Quel “prima gli italiani” può essere parafrasato in “prima le imprese italiane”: del resto non è un mistero che nei programmi della Lega, da sempre, vi fosse il protezionismo economico come scudo di difesa dei prodotti “padani” (quando ancora il partito di Salvini era quello di Bossi, nordista e secessionista), introducendo i dazi doganali per le importazioni orientali, soprattutto per tutte quelle concernenti le merci di provenienza cinese.
La saldatura che Gramsci, a suo tempo, aveva denunciato tra borghesia del Nord e agrari del sud, sfruttando questi ultimi in un processo di continuazione di una unificazione maldestra (volutamente tale) del Paese, laddove il fascismo aveva sostituito un apparato amministrativo di stampo giolittiano con uno di stampo fascista, la si rivive oggi proprio nel compromesso tra grandi poteri economici transnazionali, concorrenze finanziarie e mercantili odierne e industria e poteri nazionali di una economia che si trova a fare i conti con la debolezza di una politica italiana ereditata proprio dalla guida di coloro che erano nati per essere i migliori interpreti di questa tutela e che hanno miseramente fallito: il centrosinistra.
Alla lunga vince la destra più lontana anche ideologicamente dal liberismo esasperato: vince una destra che dovrebbe essere quasi autarchica e che proprio in queste ore, per dichiarazione dello stesso ministro Salvini, si dice pronta a spalmare sul piano temporale di cinque anni una serie di riforme da contrattare con l’Unione europea. Così i mercati saranno meno spaventati dall’impetuosità del governo giallo-verde e potranno consentire che lo spread cali di qualche punto.
Per contrastare questa saldatura tra nuova borghesia padronale e grande finanza internazionale, senza che serva la creazione di quella “aristocrazia operaia” di inizio ‘900 per la formulazione di una sorta di qualche “pace sociale”, occorrerebbe una rappresentanza politica degli sfruttati, dei lavoratori dunque, dei disoccupati e del grande solitario, inerte lago verso cui affluiscono tutti i fiumi umani del precariato.
Qui viene prepotentemente avanti il rapporto tra, ad esempio, il sindacato e la massa, tra il partito e la massa, tra le associazioni culturali di sinistra e la massa.
Questo rapporto è, come ben sappiamo, quanto meno incrinato: è di ieri la notizia che la CGIL ha perso mezzo milione di iscritti in questi ultimi anni e non ha avuto alcuna turnazione di tesserati. Quindi una perdita a senso unico, un depauperamento di forze e di rappresentanza che rischia di diventare un nuovo esercito di appoggio alle politiche di pancia salviane, alla proclamazione del primato italico dei diritti degli autoctoni sia in quanto cittadini sia delle merci in quanto prodotte in Italia.
Una mutazione (anti)culturale è avvenuta nel Paese sull’onda di una insoddisfazione che ha le sue radici nel substrato economico: la povertà ha fatto crescere il disagio sociale e questo ha alimentato la rabbia che è stata utilizzata dalle forze di governo per creare una vera e propria opposizione ai valori di solidarietà, uguaglianze e libertà sociale e civile.
Una “controCostituzione” è nata senza il bisogno di referendum, senza che occorresse fare una consultazione popolare: il popolo l’ha acquisita e l’ha rafforzata anche inconsapevolmente, pensando di fare l’interesse proprio, tanto singolo quanto collettivo.
Ma ora questa “controCostituzione” esiste: è tutta lì, nelle parole di Salvini, del governo, nella trasversalità con cui vengono trattate le questioni del lavoro e dell’economia in generale. Rassicurazioni da tutte le parti, nessun avanzamento dei diritti operai e dei lavoratori di tutti i comparti. Anzi, reintroduzione di strumenti di impoverimento giovanile come i voucher…
Eppure la gente applaude il governo, inneggia a Salvini in ogni via, piazza dove tenga un comizio. Le contestazioni esistono, ma sono espressione di una opposizione di sinistra priva di un’anima, fatta di tanti sentimenti che non si connettono tra loro se non per disperazione, non per progetto, non per sviluppo di una certa idea di sinistra di alternativa, di un nuovo movimento comunista e socialdemocratico.
Interessante dibattito sarebbe quello di comprendere quale cultura, con la fondazione del PD da parte di Veltroni che oggi richiama ai valori della sinistra (sic!), sia prevalsa: quella cattolico-liberale della ex Margherita o quella socialdemcoratica-liberale dei Democratici di Sinistra?
Probabilmente la risposta più giusta è un arzigogolo incomprensibile, lungo, fatto di fatti risalenti ad un trentennio fa, quando fu sciolto il Partito Comunista Italiano e si creò quel Partito Democratico della Sinistra che voleva andare al governo, che – sull’onda del crollo del socialismo reale (mai realizzato) dei paesi satelliti dell’URSS e dell’URSS stessa – pensava di interpretare in Italia ciò che in Svezia la socialdemocrazia aveva da sempre praticato.
Il risultato è stato l’opposto: il PDS non ha mai governato come forza di sinistra moderata e per governare veramente si è dovuto creare un originale unico in Europa. Un partito che facesse scomparire la grande tradizione culturale, sociale e politica del socialismo e del cattolicesimo per dare vita ad una formazione ibrida dal principio e poi volutamente confusa nel prosieguo: essere appellata come “sinistra” laddove invece la sinistra andava scomparendo giorno per giorno, lasciando il passo ad un tentativo di governo degli interessi borghesi e finanziari così impopolare e maldestro da essere sostituito da una ondata di populismo che pareva tipica solo di democrazie autoritarie sorte ad Est dopo il crollo del muro di Berlino.
Dunque, se persino Berlusconi ripensa alla ricostituzione di un partito unico della destra, è ora che anche a sinistra si pensi non ad un partito unico che, per le caratteristiche della sinistra in Italia sarebbe irrealizzabile viste le enormi differenze culturali tra le varie formazioni microbiche tutt’ora esistenti: ma che si pensi ad una federazione, a quel quarto polo che è l’unica speranza di rappresentanza di una alternativa antiliberista (quanto meno tale…) al blocco di governo e a quella opposizione che è parte del problema, che è una delle tre destre per cui questo Paese soffre sapendo di soffrire ma che non trova a sinistra nessuna risposta.
Diamogliela. Cominciando dall’unificazione delle lotte per i diritti sociali e civili di tutti.
Stiamo perdendo tempo prezioso in un immobilismo incomprensibile. Citando Rosa Luxemburg: “Chi non si muove non può rendersi conto delle sue catene“…
MARCO SFERINI
5 settembre 2018
foto tratta da Pixabay