La comunicazione totale del Gallo Governo

Distorta, retorica, complicata, amplificata, corretta, lineare, comprensibile, equidistante. Comunque sia stata fatta, la comunicazione sulle ragioni del referendum dovrebbe essere arrivata a tutte e tutti voi. In qualche modo....

Distorta, retorica, complicata, amplificata, corretta, lineare, comprensibile, equidistante. Comunque sia stata fatta, la comunicazione sulle ragioni del referendum dovrebbe essere arrivata a tutte e tutti voi. In qualche modo. Appunto.
L’onnipresente figura del capo del governo italiano e segretario nazionale del Partito democratico ha giganteggiato ovunque: reti televisive, Internet, radio.
Non c’è stato luogo mediatico dove Renzi non abbia messo piede o voce e, quindi, dove non abbia tentato di mascherare le vere ragioni dell’azione pseudo-riformatrice (leggasi: controriformatrice) che intenderebbe mettere in essere col voto popolare, previsto peraltro dalla stessa Costituzione visto che in Parlamento non ha ottenuto i consensi necessari per poter approvare la riforma senza il ricorso alle urne.
E anche questa invasione di schermi televisivi, di dirette streaming su Internet, di giornali radio e trasmissioni tra le più disparate, dovrebbe essere l’indice del comportamento del governo rispetto al confronto civile, democratico su temi di estrema importanza che possono cambiare la generale vita del Paese tanto quanto quella del singolo cittadino.
La par condicio da sola può ben poco davanti alla prepotenza governativa: il minutaggio meticoloso nelle trasmissioni è onorevole disposizione alla normale dialettica tra posizioni differenti, ma diventa quasi elemento di derisione e di ridicolaggine se paragonato al tempo che i membri dell’esecutivo e il presidente del Consiglio dei ministri hanno avuto senza il benché minimo contraddittorio, senza il confronto. A senso unico. Come se fossero tanti piccoli messaggi di fine anno alla nazione, tante piccole comunicazioni quasi di servizio. Forse sarebbe meglio chiamarle comunicazioni “al servizio”: al servizio di un preciso riordino delle regole democratiche in una forma di plebiscitarismo che dovrebbe derivare dalla sempre minore partecipazione popolare alla delega parlamentare e alla formazione dei processi legislativi.
Ci sono state molte occasioni di svolgimento di referenda in questo Paese. Moltissime, anzi. Ma mai nessuna si è svolta così: forse perché le altre volte si trattava di decidere su legislazioni ordinarie mentre qui siamo in presenza della Costituzione, della Carta, della massima disposizione generale che regolamenta la vita della Repubblica; forse, anche, perché è stata voluta non da una assemblea costituente eletta a suffragio universale e proporzionalmente al volere popolare, ma da un governo.
Il potere esecutivo pretende, dunque, di dettare le regole con cui tutti devono “giocare” nella vita quotidiana di una Italia frastornata, stordita, piena di incertezze e di tanta rabbia.
Il governo, quindi, e non il Parlamento – come costituzionalmente vorrebbero le attuali regole – plasma qualunque decisione futura e la lega alle sue politiche. E’ un punto dirimente, negato dal presidente del Consiglio dei ministri e da tutti i ministri stessi che girano per l’Italia per provare a convincere la gente a votare a favore della controriforma.
E la dimostrazione più lampante, evidente, lapalissiana è proprio lì, nella sistematica occupazione mediatica, nella ossessiva ricerca di spazio a tutti i costi, nella ripetitività di un revisionismo stesso del testo proposto da Renzi e Boschi: quando descrivono la loro riforma, in quel momento la interpretano a piacere, per sostenere posizioni che non portano altro se non a vuoti concetti come “rinnovamento”, “cambiamento”, “novità”.
Cambiare? Innovare? Perché? E perché nelle formule date? Eliminando l’elezione diretta dei senatori.
Ma ciò che per due mesi di campagna elettorale non era mai stato negato, ecco che viene in qualche modo superato con la presentazione di un fac-simile di scheda dal quale si desume che i cittadini italiani eleggono ancora il Senato, eccome. O forse eleggono i senatori… Ma non il Senato…
Fino a poche ore fa ci era stato detto che il Senato non era più “elettivo”, ma poi, nel migliore degli stili berlusconiani di esercizio acrobatico della smentita, senza farla apparire tale (l’allievo supera il maestro sovente…), osservando il disappunto dilagante per il poco interesse per il diritto di voto popolare, ecco che spunta una scheda con cui, in caso di passaggio della controriforma, il Senato sarebbe ancora eletto dai cittadini.
A stare dietro alle interpretazioni distorte della controriforma si finisce per smarrirsi.
Occorre stare sui fatti, sul testo della medesima e sugli scopi che hanno mosso il governo a promuoverla.
La comunicazione. Questa impresa titanica, che tale diventa quando tutto è contro l’altra opinione, l’altra versione dei fatti.
Se il NO prevarrà, nonostante tutto questo spiegamento di forze mediatiche e di falsità costruite ad arte, sarà per una unità di forze eterogenee, molto diverse fra loro, ma unite da una avversione – anche qui diversa da caso a caso – per un governo che pretende di rappresentarsi come artefice di un cambiamento che non può mettere in atto.
Ciò che va battuta è la pretestuosità, l’arroganza di un potere che deve rimanere allo stesso livello degli altri e non salire un gradino da cui guardare dall’alto in basso il Parlamento, la Corte Costituzionale e magari anche la Magistratura.
Una arroganza che si vede tutta nella comunicazione debordante di questi ultimi giorni.
Il governo è un gallo che vuole alzare troppo la cresta. Le galline saranno giudicate anche tonte, a volte, ma di gallo nel pollaio ce n’è sempre solo uno. E le galline tutte insieme possono metterlo a tacere.
Intanto l’alba, con o senza lui, arriverà ugualmente.

MARCO SFERINI

1° dicembre 2016

foto tratta da Pixabay

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