“Repubblica borghese, un dì ne avrai vergogna…“, cantavano gli anarchici novecenteschi, di inizio e mezzo secolo. Sebbene, infatti, la repubblica sia la forma di Stato che più si avvicina ad una trasformazione in senso socialista della società, poiché nasce, cresce e vive nel contesto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, risente di tutte le contraddizioni che il capitalismo si trascina appresso. Se, poi, un tempo almeno le repubbliche erano garanzia di un certo rapporto tra rappresentati e rappresentanti, oggi tutto ciò viene a cadere sotto un esasperata ascesa di un individualismo che è espressione di una nuova forma di leaderismo attraverso metodi comunicativi veramente “rivoluzionari”.
Ammetterete che un ministro dell’Interno, che pubblica le foto dei cibi che degusta a casa propria o al ristorante, oppure che al mattino presto si alza, masi lava, poi prende il cellulare e si fa una foto quando addenta una fetta di pane e Nutella, è qualcosa di veramente “rivoluzionario” nel senso più deteriore del termine: una “involuzione rivoluzionaria”, quindi un ritorno ad una forma di interpretazione della comunicazione fondata sulla dimostrazione che non c’è scalino tra rappresentato e rappresentante: il ministro è tale e quale ciascuno di voi (permettetemi di escludermi da questo poco dignitoso paragone).
E’ già toccato scrivere di questa abitudine “social” dei rappresentanti del governo: si dice che, in fondo, si tratta di ciò che tutti (o quasi) ci siamo abituati a fare; stare, dunque, ore ed ore davanti al computer, al cellulare d’ultima generazione per ribattere prontamente alle critiche che qualcuno ci rivolge su Facebook, su Instagram, su Twitter. Foto che non hanno nulla di istituzionale diventano un elemento, un luogo di pettegolezzo che vorrebbe lambire la critica politica ma che, alla fine della fiera, non ci riesce e non può riuscirci.
Si può anche essere dei fini intellettuali (e su Facebook, come nella vita vera e propria, se ne trovano veramente pochi) oppure delle semplici e genuine persone di buonsenso (e di questo se ne rammenta ormai sempre meno se si va un poco indietro negli anni e se ne riscontra pochissimo a poco a poco che ci si avvicina ai tempi d’oggi), ma che diamine di discussione mai potrà venir fuori sulle abilità politiche di un ministro dell’Interno in base al fatto che, la mattina di Santo Stefano, s’è messo a far colazione con una fetta di pane e della cioccolata spalmabile.
L’unica cosa buona della foto, in effetti, è la Nutella: come tutte le cose buone, anzi buonissime (uno chef che è un oste, ma che somiglia molto ad un fine intellettuale con anche molto buon senso, direbbe che è sono “laidate”), fa male. Mentre la verdura non fa mai male, cioccolata, fritti, salumi e patatine, di cui molti di noi vorrebbero morire golosamente (aggiungiamo pure anche torte e molte altre leccornie) sono deleteri per trigliceridi, colesterolo, glicemia e chi più ne ha, più ne metta.
Che c’entra tutto questo con Salvini e con la sua foto? Poco, anzi niente. Ma è per dimostrare che si può parlare del niente, come spesso si fa, per ore senza dire niente ma dicendo pur sempre qualcosa. Questo è lo scopo delle foto culinarie e ministeriali che vengono messe sui “social”: far parlare del niente, ma far parlare. I sostenitori del “capitano” accorreranno a mettere i “like” e ad applaudirlo con commenti che inneggiano alla “colazione dei campioni”. Purché se ne parli, male, malissimo e si costringa chi come me non ha mai degnato la pagina Facebook di Salvini di un commento, a scrivere due righe. Per indignazione, per disperazione: non per delusione. Nemmeno per rassegnazione. Non sono deluso: mi aspetto questo dalle destre (e non solo). E non sono nemmeno rassegnato, altrimenti non sarei qui a scrivere ma probabilmente a cercare un divertimento molto più proficuo per la mia psiche.
Così, m’è toccato scrivere pietosamente sotto la foto ormai famosa come un quadro di Andy Warrol: “Geniale Signor Ministro. Come occupare le pagine dei giornali telematici e delle tv, delle radio per un giorno parlando del niente. Una fetta di pane e Nutella, ovviamente dipende da chi la morde, può fare miracoli.“. Vedete, Salvini riesce a fare davvero dei miracoli: mi fa autocitare. Credo, da quando ho questa insana mania di scrivere, di non averlo mai fatto. Ho ripetuto spesso concetti, pensieri che mi frullavano in testa. Ma citarmi mai. Che rivoluzione!
Del resto, se deve essere il “governo del cambiamento”, che cambiamento sia anche per i più ritrosi come un quarantacinquenne comunista luxemburghiano che ancora ha fiducia nel processo dialettico della storia e del fatto che la dirigono in pochi ma che la sostengono sempre le masse.
Mi perdonerà Fortebraccio se lo cito, ma oggi mi sono sentito un poco come lui: con una vena pseudo-satirica, perché davvero non riesco a legare critica politica con Facebook, pane e Nutella. Però nemmeno di satira si tratta perché questa è possibile farla quando è proprio un argomento politico a stare al centro della tenzone e del dileggio. Qui invece siamo ad un livello di quella “normalizzazione” delle incoscienze antisociali che dilaga ogni giorno sempre di più.
Forse avremmo dovuto tutti non considerare la colazione del ministro e scrivere del terremoto di Catania, oppure occuparci di agguati di ‘Ndrangheta o del discorso della regina Elisabetta per Natale. Forse avremmo dovuto. Ma se lo avessimo fatto avremmo trascurato un fatto importante sociologicamente, una apparente banalità, una ingannevole comunicazione personale che è diventata – come si usa dire oggi – “virale” e che, proprio per questo. merita di essere approfondita, studiata e, bontà nostra, anche un po’ derisa, visto che la seriosità la merita la manovra di governo appena approvata al Senato piuttosto della fetta di pane e Nutella di Salvini.
Alcuni mi hanno detto e scritto: “Non reagire a queste provocazioni“. Potrei dire che non sono dirette verso di me: ma anche io faccio parte, ahimè, del popolo. Potrei dire che non sono provocazioni. Lo sono e tuttavia, in questo contesto non reputo questa del pane e Nutella una “provocazione”. Penso sia un atto non politico ma politicamente reso tale dal ruolo che riveste Salvini. Lui lo sa e continua questa sua quotidiana campagna di costruzione dell’empatia col “popolo” attraverso messaggi casalinghi per mostrare che lui, la Lega, il governo sono al pari dei cittadini. La ricerca di una orizzontalità che gli procura consenso senza dire nulla. Senza essere “politico”, ma essendolo comunque. Credo sia un modo negativamente geniale di comunicare.
Chissà, o repubblica borghese, se un dì ne avrai vergogna di tutto questo. Difficile poterlo dire… Un po’ sconsolato e arrabbiato, Pierangelo Bertoli in “Italia d’oro” cantava: “Tanto non cambi mai…” e partiva un ritornello che richiamava l’Inno di Mameli. All’Ariston, a Sanremo, tutti applaudirono pensando che il cantautore comunista avesse voluto mettere una nota di patriottismo nella canzone. Ne erano certi tutti. Poi, la notte stessa che la ebbe cantata per la prima volta, spiegò alle telecamere di Rai Uno il significato: non era patriottismo nazionalistico (oggi lo chiamereste “sovranismo”) o nazionalismo patriottico. Era un atto di pietà verso il Paese, un lamento quasi funebre per una Italia che potrebbe anche essere splendidamente d’oro e che invece è così povera e maltrattata da sempre.
Così la vide Mazzini dal letto di morte di Pisa, come un Piemonte monarchico esteso a tutta la penisola; così la vedeva Gramsci sotto regime fascista; così tocca vederla a noi oggi sotto il governo giallo-verde. Ma intanto addolcitevi la bocca con un po’ di pane e Nutella…
MARCO SFERINI
27 dicembre 2018
foto tratta da Pixabay