Il tema più importante che emerge in questo avvio di campagna elettorale sembra proprio essere quello della “commedia degli inganni”.
Un conto è fare della propaganda, com’è d’uso in queste occasioni scontando anche una certa quota d’iperbole sia nel mettere in rilievo ciò che si è fatto, sia nell’accentuare la facilità delle promesse.
Iperbole sicuramente amplificabile con facilità di questi tempi, attraverso la molteplicità di strumenti di comunicazione di massa utilizzabili, fra i quali i cosiddetti “social” che risultano alla fine incontrollabili nella possibilità di alimentare un dibattito infinito nella forma del ping – pong tra promesse, insulti, bugie varie.
Ma il livello di falsità che si sta raggiungendo in questa fase al riguardo del quadro generale evidenziato dalla campagna elettorale da parte dei 3 schieramenti maggioritari del PD, del centro destra e del M5S, francamente pareva sulla carta irraggiungibile, anche rispetto alla stessa forma dello scontro elettorale.
Limitiamo l’analisi a soli due punti che emergono in questa vera e propria “commedia degli inganni”:
1) mentre il PD cerca di dimostrare la validità delle scelte compiute dai suoi pasticciati governi e omette – facendolo cancellare dalla capacità servile dei mezzi di comunicazione di massa a sua disposizione – il ricordo della vero punto di rottura della legislatura appena trascorsa rappresentato dall’esito del referendum sulla deforma costituzionale del 4 dicembre 2016, gli altri due spezzoni di schieramento politico contendenti si abbandonano a un’orgia di promesse assolutamente campate in aria al punto. Torniamo però alla vicenda della deforma costituzionale: nella campagna elettorale non può essere omesso il ricordo del tentativo svolto dal PD di violare spirito e lettera della Carta Costituzionale per transitare verso un regime nel quale il Parlamento non fosse più centrale, ma subalterno a un governo a vocazione presidenzialista, espresso da un “partito unico” fondato sulla personalizzazione più esasperata, con le “primarie di partito” diventate istituzionali (quasi come il “Gran Consiglio” al tempo del fascismo. In tempi di chiara ripresa delle istanze di stampo fascista questo tema della qualità della democrazia repubblicana deve restare, come fu nel 2016, argomento centrale;
2) il secondo punto riguarda addirittura la forma stessa dello scontro elettorale. L’ambiguità contenuta nelle norme della legge elettorale permette, infatti, a questi signori di falsificare impunemente, drammatizzando fintamente, i cosiddetti “duelli” nei collegi uninominali. I principali giornali della borghesia questa mattina ne sono pieni. Su questo argomento debbono essere chiarite due questioni del tutto vitali per il regolare andamento delle elezioni. Non c’è nessun duello all’ultimo sangue. Il trucco è candidare qualcuno reso artatamente popolare attraverso la televisione nel collegio uninominale (fornendo il soggetto in questione di robusti paracadute attraverso le candidature in 5 collegi plurinominali) in modo da far scattare, in maniera incongrua, la trappola del voto utile. Votando per il presunto o la presunta leader nel collegio uninominale perché impegnato/a in una sorta di “duello finale” si trasferisce direttamente il voto alla lista apparentata, grazie al meccanismo che impedisce il voto disgiunto: un impedimento questo del voto disgiunto che potrebbe, è bene ricordarlo, rappresentare una delle cause d’incostituzionalità. Incostituzionalità sula quale sarà ancora una volta chiamata a decidere (per la terza volta consecutiva) la Corte Costituzionale. Come del resto l’altro trucchetto della “spalmatura” dei voti ottenuti, tra l’1% e il 3%, dalle “liste civetta”. Oltre, naturalmente, alla questione dei listini bloccati.
Intanto, parola di Cottarelli e non di un pericoloso estremista, è falso anche il deficit del bilancio dello Stato in quanto sono stati omessi 55 miliardi di perdite dovute, pensante un po’, al salvataggio delle banche e alle rate dei derivati. Banche e derivati un problema enorme che come quello della difesa della Costituzione e della qualità della democrazia appaiono completamente assenti dal dibattito che si sta svolgendo nella campagna elettorale, dai titoli dei giornali, dai post su blog e social network.
In questo quadro (desolante) “Potere al Popolo“, della cui esistenza tutti quanto proseguono nell’ignorare, si trova addosso un compito forse superiore alle sue forze ma che i suoi dirigenti e candidati debbono saper assolvere: quello di non apparire minoritari difensori soltanto di alcuni segmenti sociali, ma di rappresentare per intero la necessità dell’opposizione, in Parlamento e fuori.
Occorre cimentarsi con un profilo d’identità politica di grande respiro all’altezza di questa grande contraddizione politica come quella che si sta presentando in una fase di forte riallineamento del sistema e dell’opportunità che si presenta per l’entrata in scena di nuove soggettività politiche.
Nuove soggettività politiche come quella che debbono in mente i rappresentanti della sinistra d’opposizione (e quindi “Potere al Popolo”) per fare in modo da risultare di essere in grado – appunto – di opporsi al tentativo di verticalizzazione del potere nei riguardi di una società che, invece, si sta organizzando, in larghe sue parti, democraticamente in forma orizzontale e che ha bisogno di essere rappresentata politicamente e nelle istituzioni per non finire progressivamente emarginata nell’economia, nella cultura, nella struttura stessa dell’organizzazione sociale.
FRANCO ASTENGO
21 gennaio 2018
foto tratta da Pixabay