Come è eterogeneamente armonico questo mondo che si avvia verso la catastrofe ambientale provocata dalla specie umana. Ai quattro suoi angoli, da una parte all’altra dei continenti, nelle nazioni più diverse fra loro, si accomunano piccolezze che divengono enormi fatti per la vita vissuta ogni giorno dalle popolazioni che subiscono le politiche di governi teocratici assoluti che vorrebbero apparire rispettabili e governi democratici che invece non fingono poi troppo di essere quel che sono: maschere di sé stessi.
Maschere, molto poco carnascialesche, di un conservatorismo mai veramente espulso dalle dinamiche complicate di secolari storie di razzismo istituzionalizzato, bigottismo coercitivo di stampo a tratti cattolico ed a tratti puritano, latenti omofobie e inni guerreggianti per l’esportazione di tutto questo altrove, dove si ritiene che vi sia meno civiltà …
Mentre le donne afghane scendono nelle vie delle più importanti città del paese per rivendicare il loro diritto ad una vita eguale a quella degli uomini, nelle dovute differenze oggettive (e pure personalmente soggettive), ad Houston abbiano nuovamente un problema, terra terra. Molto pragmaticamente, nel 2013 i conservatori americani hanno proposto e fatto entrare in vigore in numerosi Stati dell’Unione una legge sul “battito cardiaco embrionale o fetale“: la chiamano infatti “Fetal Hertbeat bill“.
Un dolce suono, maternissimo, cristianamente inteso come la volontà politica di interrompere tutti i diritti delle donne in tema di aborto e di decisione sul proprio corpo, stato di salute sia fisico sia mentale. L’amore di una madre per il figlio viene così utilizzato come ricatto per spingere all’adempimento della presunta volontà di dio: la sacralità della vita prima della vita stessa. Basta un battito del cuoricino, uno solo, per impedire a qualunque donna di scegliere se continuare o meno la propria gravidanza.
Questa legge, dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema degli Stati Uniti due anni dopo, nel 2015, in base alla sentenza della causa “Roe versus Wade“, è tornata in queste settimane di strettissima attualità in uno degli stati più reazionari della Repubblica stellata: per l’appunto il Texas. Dal 2 settembre scorso, infatti, è illegale abortire dopo sei settimane dal concepimento, anche in caso di incesto o stupro.
Un ritorno indietro di almeno cinquant’anni, che pone l’America davanti ad un dilemma storico, per nulla limitato ai soli confini statunitensi, ma che nel Grande Paese, patria del moderno diritto liberale (a tratti libertario) in tema di diritti civili, assume i connotati del fenomeno globale, dell’esempio da imitare: non fosse altro da movimenti, forze politiche, partiti e governi che si ispirano al conservatorismo a stelle e strisce, alla sua vena protestante così variegata e dal cattolicesimo trasversale che va dalle comunità ispaniche all’alta rappresentanza politica sia repubblicana sia democratica.
La storia è bizzarra, perché bizzarra è l’invo-evoluzione di una umanità piena di contraddizioni in materia di accostamento tra diritti sociali e diritti civili: l’inversamente proporzionale qui funziona alacremente bene, si da parecchio da fare nel mantenersi stabile in questa dicotomia apparentemente impensabile, eppure così realistica e quotidianamente invasiva delle vite di tutti.
Le donne di Kabul e Herat, di Kandahar e Jalalabad scendono in piazza sfidando l’integralismo fanatico religioso del nuovo Emirato islamico, mandano un segnale di richiesta di aiuto ad un mondo che ha abbandonato al suo destino un intero popolo, ed in Texas invece le donne assistono ad una compressione dei loro diritti, ad una inquietante retrospettiva sul cammino della legislazione per l’autodeterminazione della volontà femminile sul corpo quanto sulla mente della donna.
La nuova legge texana, non ostacolata questa volta dalla Corte Suprema con il legittimo veto di cui dispone, diventa così, nel panorama globale delle cosiddette “democrazie occidentali“, una delle normative più restrittive che si possano leggere: una ragazza stuprata, abusata nel fisico e nella mente, dovrà subire un nuovo stupro. Di Stato. Una violenza spacciata per tutela della vita, per salvaguardia dei diritti di un feto che riunisce nell’essere tale un concentrato di fanatizzazione religiosa del tutto simile all’intransigenza talebana. Per opposti estremismi si arriva a colpire l’obiettivo più fragile e, per questo, anche più importante: la donna.
La donna, in quanto strumento del e nel Creato per la procreazione, per la perpetuazione di una specie che si aggrappa a tutto pur di soddisfare ancestralismi alimentati da una aberrante ideologizzazione del problema, fintamente mostrata come dettame biblico (tutt’altro che evangelico), altrimenti visibile – mediante una opportuna coscienza critica – come supporto per un dominio politico sostenuto dalla volontà divina. Tramite la parola di dio, tramite il verbo.
La donna afghana dietro al burka, le cui vendite si sono impennate dopo il ritorno dei Taleban, e la donna texana dietro il velo invisibile e avvolgente di un oscurantismo clericale che cerca ogni pretesto e utilizza ogni astuzia per riportare l’America alle origini, pur nel confronto, scontro e dialogo tra le diverse confessioni cristiane. L’89% degli abitanti della terra difesa da Davy Crockett si divide in una maggioranza protestante (55%), un 32% cattolico e un 2% spartito tra i mormoni ed altre chiese riformate
Così, seppure a decine di migliaia di chilometri di distanza, senza nemmeno conoscersi e senza avere granché in comune se non i propri corpi e le fattezze femminili di madre Eva, le donne di Kabul e quelle di Houston si dovranno battere per vedere riconosciuti diritti che le prime davano per acquisiti grazie all’occupazione e invasione militare del governo delle seconde; mentre queste ultime facevano affidamento sul “sistema“, sul diritto scritto dai pronunciamenti della Corte Suprema. Che adesso tace.
Tace su una legge che fa del cittadino una vera e propria “spia“: chiunque sospetti che si sta per praticare o si è praticato un aborto, deve agire di conseguenza, denunciare, sapendo che riceverà anche un premio in denaro. Il sapore amaro di una società del genere rimanda al grigiore fitto di un clima da campagna irlandese, dove le giovani di fine ‘800 ed inizio ‘900 che volevano emancipazione, indipendenza e diritto di decidere sul proprio corpo erano dichiarate pazze, internate in conventi e costrette a rigide regole da beghine delle Fiandre trecentesche.
Biden è cattolico, anche se, in tutta evidenza, non è un fanatico integralista al pari di certi repubblicani suoi avversari. Probabilmente c’entra anche poco la fede dell’inquilino della Casa Bianca in vicende che investono i singoli Stati e che sono schermaglie “locali” pur in ambito che potremmo definire un “federalismo delle problematiche a cascata“, fino ad arrivare a Washington. Ma il tema della laicità dello Stato invece deve rimanere in primo piano quando si parla di diritti civili, di diritti umani e quindi di quella sincreticità tra essere umano e cittadino (e viceversa).
Sfugge proprio questo alle democrazie moderne: il carattere morale dello Stato che dovrebbe derivare dalla stabilità di una diritto positivo capace di includere e risolvere, non di escludere e discriminare. I teoremi religiosi sulla sacralità della vita non sono meno importanti della considerazione democratica e sociale di una morale laica, che non ha bisogno di una linea di discendenza divina delle opinioni per decretare l’intangibilità dei diritti di ogni singola vita.
Poiché il primato religioso poggia su una serie di dogmi che non possono essere riformati, pena il venir meno del primato stesso, ed uno di questi è proprio la volontà di dio che investe l’uomo e la donna dal concepimento alla morte, l’intransigenza diviene virtù che eccelle sopra ogni altra volontà , sopra ogni altra critica e ricerca di interpretazione.
I paradossi della religione fatta dagli uomini sono eclatanti: si protegge la vita umana prima ancora che sia vita, si dichiarano tutti gli esseri viventi “creature di dio” ma poi si possono ammazzare miliardi di loro ogni anno per il puro piacere del palato e per le rigonfie tasche del mercato della carne. L’antropocentrismo del cristianesimo non è poi diverso da quello delle altre credenze monoteiste. Ripetiamolo: solo il Buddhismo e la Teosofia hanno proclamato l’eguaglianza dei diritti di tutti gli esseri viventi.
Kabul e Houston, in fondo, non sono poi così lontane.
MARCO SFERINI
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