…chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: «Come
potrebbe tornare a esser bella,
scomparso l’uomo, la terra».
Non conoscevo né il finale né l’intera poesia di Giorgio Caproni che il Ministero ha assegnato ai maturandi come traccia di analisi di un testo.
Ogni anno sbircio sempre le prove che gli studenti e le studentesse sostengono forse come stanco rito di rimembranza dei miei esami, così lontani nel tempo eppure sempre vicini con la memoria. Certe scene le ho ancora oggi impresse nella mente: dal tema sul “patto Gentiloni” alla versione di latino tratta dal Satyricon di Petronio piena di righe rosse nelle ultime righe…
E poi l’esame orale, le due materie: allora le potevamo scegliere ma, a discrezione della commissione, una delle due poteva essere cambiata all’ultimo momento così da avere la leva di esortazione allo studio di un po’ tutte le materia da parte di noi studenti.
Così, leggendo la poesia di Caproni, oggi mi sono sentito invaso davvero da ricordi e anche da pensieri cultural-politici: un misto di sentimenti e di elaborazioni mentali in particolar modo sul finale dei versi.
Già dalle “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar avevo appreso che la “bellezza del mondo” è figlia dei nostri comportamenti come umani. Perché noi ci vantiamo, a ragione probabilmente, di essere la specie più evoluta, quella che in tutto l’universo conosciuto ha coscienza dell’universo stesso e che può addirittura pensare se tutto il resto ha una coscienza in merito alla propria di esistenza.
Perché noi ci vantiamo di essere, in quanto evoluti, la specie che garantisce ricchezza, prosperità non solo a sé stessa, bensì all’intero pianeta, a tutti gli altri esseri viventi animali e vegetali.
Ci riempiamo la bocca di buoni propositi e diamo vita alle giornate in cui simultaneamente per un minuto in tutto un continente spegniamo la luce elettrica come segno di buona volontà nel voler evitare gli sprechi, nel dire ai nostri figli e nipoti che una speranza di vivere dignitosamente su questo pianeta la avranno.
Aderiamo alle campagne equo-solidali e mostriamo ai ragazzi e alle ragazze che bisogna amare i boschi, i mari, le spiagge, l’aere e tenere tutto questo pulito, sgombro da inquinamenti, libero da interessi che non siano altro se non l’amore per l’unione tra esseri umani e natura.
In decenni e decenni abbiamo creato il mito dell’ecologia ma l’abbiamo poi molto poco praticata in massa. E questo perché viviamo in un sistema economico che Caproni identifica benissimo come responsabile del disastro non solo ambientale ma anche umano: un disastro che coinvolge l’uomo in quanto protagonista e spettatore allo stesso tempo in un perverso gioco al massacro condotto per l’accumulazione di profitti, di potere economico e, in cascata, di potere statale, politico, persino morale e culturale.
Caproni è il poeta che non sa come definire la rosa se non evitando di definirla ma chiamandola a sé con versi bellissimi:
«Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos’è, nella sua essenza, una rosa».
E’ il dilemma di Bernardo Cluniacense tra universale e particolare, in fondo, anche se qui viene evidenziato il carattere edonistico del fiore e non la sua essenza in chiave filosofica. Ma il concetto è quello: la rosa è un piacere vederla, è bellezza e questo piacere ha per noi un nome ma quale mai, poi, sarà la “vera” rosa tra tutte? Esiste “la rosa”? O esiste soltanto, platonicamente, l’idea di rosa che noi attribuiamo al fiore che così abbiamo chiamato?
Ecco, in tutto questo filosofeggiare e ammirare la natura c’è già della poesia e della bellezza che Caproni vede, identifica nelle potenzialità dell’uomo di valorizzarla accantonando la ricerca del profitto, dell’accumulazione del capitale, della messa in prima posizione, rispetto a tutto il resto, del denaro, del potere.
E arriva, così, senza troppe analisi marxiste, che pure fa senza accorgersene, al concetto che vorrei definire, gramscianamente, “grande e terribile”, proprio come il mondo in cui viviamo: senza gli esseri umani l’universo, la terra ne guadagnerebbe in salute, quindi in stabilità naturale e, pertanto, anche in bellezza e armonia.
Il grande caos dell’universo, tutto ciò che noi ostentiamo a vedere come ordine regolato indubbiamente da quelle che noi abbiamo chiamato “leggi fisiche” (siamo nel campo del definibile perché siamo nel campo dell’umanamente comprensibile) è in realtà un disordine fatto di contrasti della materia con sé stessa e con l’assenza stessa della materia.
Più ci si allontana dal profitto e dal circolo vizioso della contraddizione capitalistica, più ci si evolve in ragionamenti anche apparentemente cervellotici e irrisolvibili, più si fa ciò e più ci si avvicina alla bellezza dell’essere umano: la contemplazione dell’esistente e la conservazione di ciò di cui non siamo i padroni ma solo, semplicemente i partecipanti insieme ad altri esseri viventi che noi abbiamo giudicato “inferiori” e abbiamo asservito.
Tante volte ho scritto della volontà del cavallo: ma chi ha stabilito che il cavallo debba essere cavalcato? Chi ha stabilito che debba essere utilizzato dall’uomo per migliorare solamente la condizione umana?
A questa condizione, psicologicamente ancestrale, di difesa della sola nostra specie abbiamo piegato tutta la bellezza esistente del resto della terra. E poi abbiamo scoperto che, tra noi, era possibile anche distinguerci e annientarci per primeggiare, per essere meglio di altri, per vivere meglio di altri.
Perché, come cantano I Nomadi:
«La casa dei mercanti è alta su quel monte,
la casa dei servi è in basso dopo il ponte».
(Mercanti e servi, 1990)
E così, la poesia di Caproni è stata una felice scoperta per almeno tre motivi e una soddisfazione: quest’ultima è aver scoperto che al Ministero c’è qualcuno che ha voglia di suscitare nei giovani qualche pensiero ecologista ma pure un po’ ribelle; quindi la voglia di scoprire il lato di sovvertimento del mondo per renderlo più giusto e con sempre più sorrisi e sempre meno lacrime. I tre motivi, invece, sono i seguenti: 1) da oggi qualcuno in più conoscerà un poeta fino a ieri mai sentito nominare; 2) qualcun altro si incuriosirà ed andrà oltre la mera conoscenza nominalistica dell’insegnante livornese e magari cercherà in una libreria o in una biblioteca i suoi testi; 3) qualche d’un altro si farà romanticamente prendere dalla smania che ha preso me oggi: indagare tra i propri pensieri e scoprire che ciò che pensava Caproni era proprio ciò che si pensava noi stessi da tempo e lo si scriveva, lo si ripeteva… apparendo a volte melanconicamente aggrappati ad una sorta di leopardiano lamento da pessimismo cosmico…
Invece tutto questo è un inno alla vita, alla bellezza che ci può riservare nel breve tempo in cui viviamo se abbiamo il coraggio di unirci e di rovesciare a centottanta gradi questo sistema, a farla finita col capitalismo.
Perché l’alternativa è la bellezza, certamente, della terra, ma senza più l’uomo. O senza più “questo uomo” dei secoli del capitale e del moderno liberismo globale?
Chiamate Bernardo Cluniacense!
MARCO SFERINI
22 giugno 2017
foto tratta da Pixabay