Nell’arcipelago del “pacifismo” (oggi “putinismo”) di chi in queste circostanze è contrario all’invio di armi all’Ucraina – la maggioranza, sia in Italia che in Europa – c’è una componente, più radicale, contraria alla guerra e alle armi sempre, perché è contraria a uccidere per motivi morali.
Ma ci sono anche altre componenti, forse meno circoscrivibili, perché fanno dipendere il loro orientamento dalle circostanze, che sono contrarie ad alimentare questa guerra per considerazioni che afferiscono agli interrogativi relativi ai suoi possibili esiti.
Anche nel vasto campo dei favorevoli all’invio di armi all’Ucraina o, addirittura, di quante più armi possibile (“Che cosa manca oggi? Armi” riferisce Adriano Sofri) c’è chi invoca – e gli va accreditata sincerità – ragioni di ordine morale: se uno è aggredito con le armi deve difendersi con le armi. Anzi, bisogna aiutarlo a difendersi o addirittura difenderlo noi: con le armi. L’alternativa è la resa, che vuol dire perdita di libertà, onore, dignità; e abbandono per noi. Altri invece, all’interno di questo campo, antepongono la volontà o il bisogno di salvaguardare o di alterare i rapporti di forza vigenti, cioè la politica, a ogni altra considerazione.
Questo è probabilmente il motivo di fondo per cui l’indignazione che si prova per l’aggressione russa all’Ucraina non si riscontra per quella della Turchia, membro della Nato, al Rojava (unica vera democrazia del bacino del Mediterraneo) o per l’occupazione della Palestina da parte di Israele.
A tutti va comunque dato atto, salvo prova contraria, di provare orrore per la strage di giovani vite, di donne, bambini e anziani sopraffatti dalle manovre belliche; o costretti a fuggire, a rintanarsi, a subire stupri e violenze; o a dover affrontare, nel migliore dei casi, un futuro oscuro e difficile.
Nessuno nega a chi è aggredito il diritto di difendersi. Ma come? I fautori dell’invio di armi all’Ucraina non pensano mai che quel paese, se non ne avesse già ricevute in abbondanza prima e dopo l’inizio dell’aggressione russa, avrebbe dovuto per forza fare ricorso alle risorse della mediazione, chiamando in aiuto tutti i potenziali alleati; non per combattere, ma per richiamarli alle loro responsabilità (“l’abbaiare ai confini della Russia” di papa Francesco, ma anche di una lunga lista di “esperti” che la politica estera la conoscono e l’hanno praticata).
Perché è chiaro che a monte e all’origine di quell’invasione c’è un confronto tra Nato e Federazione russa improntato all’ostilità e non certo alla collaborazione. Non per “scaricare” o per dividere le responsabilità, ma perché sono a base di partenza di ogni possibile piattaforma di mediazione e di risoluzione del conflitto.
Certamente, più quella guerra si protrae e incancrenisce, accumulando vittime, devastazioni, angherie e odio, più sarà difficile individuare le basi di una possibile cessazione delle ostilità. Forse è per questo che coloro che non vedono altra via per raggiungere un risultato che l’invio di sempre più armi non si chiedono dove si pensa di arrivare.
Alla vittoria? Quale vittoria? La destituzione di Putin o la disgregazione delle Federazione russa? Per perseguire – non dico raggiungere – quel risultato lo “sforzo bellico”, cioè i morti da esigere dal popolo ucraino, ma anche da quello russo, dovranno venir moltiplicati per mille.
E anche se c’è chi, come Luigi Manconi, sostiene che l’arma atomica non è una minaccia, perché anche dopo la dissoluzione dell’Urss permane comunque nel mondo un equilibrio della deterrenza che la mette fuori gioco, va ricordato che a capo della Federazione russa c’è un uomo paranoico (come tutti i dittatori), forse con i mesi contati, che desidera solo lasciare un suo segno sulla Storia (e non che sull’altra sponda la leadership brilli per lucidità).
Questo è un punto. Ma ce ne è un altro che domina su tutto, compresa l’eventualità di un olocausto nucleare, che è solo una possibilità; mentre l’estinzione dell’umanità per l’incombere della crisi climatica e ambientale è una certezza.
Le guerre, e particolarmente questa, sono un potente fattore di accelerazione della crisi climatica, sia sul fronte dei combattimenti, che consumano risorse, devastano il territorio e emettono gas climalteranti, sia nelle retrovie della “vita civile”, dove sta bloccando e invertendo tutte le timide misure, prospettate più che varate, di contenimento dell’aumento della temperatura planetaria: a partire dalla frenetica ricerca di nuove fonti di combustibili fossili per sostituire quelli russi.
Leggendo qualche articolo di coloro che si schierano senza se e senza ma dalla parte della fornitura di armi all’Ucraina, senza nemmeno prendere in considerazione la possibilità di promuovere subito una mediazione che, in fin dei conti, dovrebbe far capo agli stessi Governi che quelle armi le forniscono e le promettono, a me pare che stiamo vivendo in due pianeti diversi: uno dove le “ragioni” degli Stati devono prevalere sulle vite dei loro cittadini; e l’altro dove la consapevolezza e la mobilitazione dei cittadini dovrebbero ridurre alla ragione i rispettivi Governi.
GUIDO VIALE
Foto di Markus Spiske