Alle 6 di stamattina Roman, il ragazzo della Croce Rossa che si sta occupando di fare la guardia alla porta dell’hotel si è presentato nella zona del bunker con gli occhi scavati e pallido in volto. Ci ha spiegato che era stato tutta la notte sveglio a parlare al telefono con i genitori che vivono a Sumy. La madre era terrorizzata perché gli attacchi stavano colpendo proprio il loro quartiere e poi, circa alle 4, si sono interrotte le comunicazioni. E ora ci hai parlato? «Due minuti fa», risponde con uno sguardo nel quale non esiste il confine tra il sollievo e la preoccupazione.
Nell’hotel siamo rimasti in dieci, forse anche meno, e, mentre esitavamo ad alzarci dai materassi buttati per terra vicino alle colonne del garage, anche la troupe della tv portoghese è partita. Gli altri giornalisti se ne sono andati o stanno provando a spostarsi in uno dei tre hotel ancora funzionanti di Kiev. A poca distanza da noi, fino a ieri non accettavano più nuovi ospiti. Il receptionist ci ha anche tenuto a specificare che “però solo un ristorante funziona al momento”, come a scusarsi.
Invece, nel rifugio dove abbiamo trascorso gli ultimi giorni ieri notte ho fermato il giovane cuoco per ringraziarlo di quanto stava facendo per noi, probabilmente gratis. Non capiva, mentre gli stringevo forte la mano per trasmettergli il più possibile la mia riconoscenza, poi una signora ha tradotto ed è diventato tutto rosso in volto, mormorando un “thanks” imbarazzato. Mi sono quasi commosso davanti al suo contegno in questa situazione disagiata.
In strada ci ha colpito la neve, non scendeva da quasi due settimane, e tutte le vie del centro erano coperte da un sottile strato bianco che in alcuni casi era già segnato dalle ruote dentate dei blindati. Per la prima volta abbiamo visto i dissuasori di cemento agli incroci, alternati in modo da obbligare gli automobilisti a fare una chicane tra i militari. I posti di blocco si sono moltiplicati, ma dall’alba di oggi si vedono molti più militari regolari rispetto agli altri giorni.
I gruppi di difesa territoriale continuano ad affiancare le truppe ordinarie o le sostituiscono nei punti meno sensibili. Inoltre, sono comparsi i primi cavalli di Frisia con il filo spinato e i sacchi di sabbia. Sempre a partire da oggi chiedono anche i documenti a tutti, cosa fai qui, di dove sei, dove vai. Non si sorride più, niente foto e basta, altrimenti la legge marziale e lo stato d’emergenza autorizzano a sequestrare tutto. Un collega è stato tenuto con le mani in alto mentre un poliziotto gli cancellava le foto dal cellulare per più di dieci minuti.
Il fantasma che tutti gli abitanti di Kiev si stanno trascinando da ieri notte ha la forma di una colonna di mezzi corazzati e uomini in divisa militare. Alle ventiré, secondo le prime foto trasmesse dal satellite Maxar, sembrava si trattasse di ben 22 km di truppe e veicoli incolonnati nei pressi di Kiev.
Ventidue chilometri di strumenti di morte e uomini pronti ad uccidere. Stamattina quel fantasma è diventato di 64 chilometri. Quanto sia lunga una fila di tali dimensioni è difficile anche solo immaginarlo, si potrebbe pensare, e invece quest’immagine è diventata subito chiara nelle menti degli abitanti della capitale ucraina. “Ma cosa vorrà fare Putin?” Ci ha chiesto Roman quando ci ha visto uscire, “credete davvero che voglia radere al suolo Kiev?”.
D’altronde, nel resto dell’Ucraina la situazione ci consegna degli indizi affatto rassicuranti. A Kharkiv ormai non c’è più freno e le agenzie di stampa hanno diffuso diversi video e immagini dei palazzi sventrati dei bombardamenti. Persino l’imponente municipio della seconda città d’Ucraina, dalla quale avevamo realizzato un reportage due settimane fa durante una manifestazione nazionalista, è stato colpito duramente.
La città non è ancora caduta ma sembra che sia solo questione di tempo data la mole di mezzi e uomini che i russi stanno impegnando per la sua conquista. Gli stessi uomini che stanno provocando la morte di decine di civili, tanto da far gridare i media internazionali al “massacro di Kharkiv”. Poco dopo le autorità di Kherson hanno dato la notizia che le truppe russe stessero entrando nella città. I cittadini di Kiev temono di essere i prossimi.
Per questo oggi chiunque poteva ha provato a scappare. A quanto pare, secondo quanto ci hanno raccontato alcuni colleghi francesi che hanno provato a partire dalla stazione ferroviaria centrale, fino a ieri il treno delle 14 (ovvero quello gratuito che porta quotidianamente a Leopoli chi vuole allontanarsi da Kiev) era accessibile solo alle donne e ai bambini.
Quindi, neanche il treno è una buona opzione per le famiglie che non vogliono dividersi. Resta solo l’automobile, o la propria o quella di uno dei tassisti che stanno lucrando su questi trasferimenti arrivando a chiedere anche mille dollari per la tratto. Per tutti gli altri ci sono i rifugi e il terrore, diffuso chissà da quale voce velenosa, che gli invasori potrebbero allagarli, gasificarli o darli alle fiamme.
Poi è comparso un annuncio sotto forma di notizia. Poche parole attribuite all’esercito russo: “Agli abitanti di Kiev: chiunque abiti vicino a un’antenna di trasmissione deve abbandonare la sua abitazione ora”. Questa semplice frase ha fatto capire a tutti che il momento era giunto.
Perché, infatti, se i russi avevano intenzione di piegare le resistenze ucraine così in quella che sembrava una tattica da blitzkrieg, non hanno tagliato subito la corrente e le linee telefoniche? Senza internet ed elettricità la resistenza ucraina sarebbe stata significativamente più dura e il mondo non avrebbe potuto vedere ciò che le truppe dell’invasore stavano facendo in quasi tutti i grandi centri dell’Ucraina. Difficile dare una risposta ma ciò che è certo è che quest’annuncio ha fatto capire che non era più uno scherzo.
Infatti, poco dopo le 15 (ora locale) la torre delle antenne televisive è stata colpita dai missili russi. Tutte le tv hanno interrotto le trasmissioni e il video dell’attacco ha fatto subito il giro del mondo. Qualche ora dopo anche il memoriale dell’Olocausto “Babyn Yar”, che commemorava le vittime ebree di un eccidio nazista del 1941, è stato colpito. “La Russia ha dichiarato che l’attacco all’Ucraina è stato lanciato per colpire i ‘nazisti ucraini’” hanno scritto sul Kyiv Independent, come a voler sottolineare che in realtà è proprio l’esercito di Putin in questo momento ad agire terribilmente.
Intanto ci si prepara per la notte con la consapevolezza che non è più il tempo dei calcoli e delle analisi, ora per Kiev è giunto il tempo della paura.
SABATO ANGIERI
foto: screenshot