Come ricorda molto bene Jacques Attali, di biografie su Karl Marx ne sono state scritte una infinità. Persino troppe. Perché, nel trattare della vita, delle opere e dell’eredità del grande filosofo e rivoluzionario tedesco, molti si sono prodotti in sterili agiografie dell’immediato post-mortem fino ai libercoli patetici editati ai tempi del socialismo (ir)reale e stampati direttamente a Mosca in mille lingue diverse. Dal “socialismo in un solo paese” all’internazionalizzazione della figura di un Marx che doveva rimanere esclusivo appannaggio del mondo sovietico e dei suoi satelliti sparsi per il pianeta.
Altri, al contrario, ne hanno scritto partendo da presupposizioni, viziando una libera ricerca storiografica con critiche che spaziavano dalla sfera privata (ovviamente convertita in pubblica dal ruolo eminente del Moro nel movimento mondiale dei lavoratori) al lavoro meticoloso di analisi dell’economia di mercato, del capitalismo emergente sul pianto intercontinentale.
Marx raccontato dai marxisti è inquietante, ma non meno – ovviamente – di quello raccontato dai denigratori del comunismo e detrattori, quindi in linea diretta, del filosofo di Treviri. Una consequenzialità inequivocabile, persino coerente nella sua espressione di massima fedeltà al liberalismo prima e al liberismo poi.
Attali, che marxista non è mai stato, premette ciò per aprire al lettore un campo visivo ed interpretativo della vita di Marx, se non tutto nuovo, almeno molto differente dalle biografie che può aver incontrato sulla sua strada di esegeta del comunismo e della storia del movimento anticapitalista. Uscito per la prima volta nel 2006, “Karl Marx ovvero, lo spirito del mondo” (Fazi Editore) è un documentario sulla vita quasi quotidiana di un uomo che naviga a vista nella sua esistenza solo per quanto riguarda la sopravvivenza materiale. Il che non è certamente poco. Ma che, al contrario, ha grandi aspettative da una umanità che vede capace di risollevarsi e di riappropriarsi di una libertà mai vista, mai vissuta prima.
Jacques Attali, economista e consigliere del Presidente François Mitterrand, scrupoloso e meticoloso organizzatore dell’agenda del socialista francese all’Eliseo, nonché primo presidente di quella Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (istituita per coinvolgere i paesi dell’Est nell’alveo della UE dopo il crollo dell’impero sovietico), è proprio per la sua biografia politica, economica e sociale, il migliore biografo che Marx possa conoscere in questo principio di nuovo secolo.
Non si può rimproverare nulla ad un “non-marxista” come Attali nel mettersi a consultare centinaia di testi, lavorare per anni ad una impresa che oggi abbiamo felicemente davanti. Non lo si può fare perché la premessa è chiara, cristallina nel proporre al lettore una lettura di Marx scevra tanto da esaltazioni di parte quanto da detrazioni d’altra parte.
Ma Attali lo ammette: se prima di leggere Marx aveva avuto qualche pregiudizio nei suoi confronti, dopo averlo incontrato cento volte nelle sue pagine, dal “Manifesto del partito comunista” ai “Grundrisse“, dal “Capitale” a “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850“, ne resta straordinariamente affascinato. E qui vale la pena citare le sue definizioni che sono binomi di grande sintesi delle sue emozioni per una conoscenza che pare inarrestabile nell’approfondire la grande enciclopedia di temi che il Moro ha studiato nella sua travagliata vita:
«Lo dico senza enfasi e senza nostalgia. Non sono mai stato e non sono ‘marxista’ in nessuna accezione della parola. L’opera di Marx non mi ha fatto compagnia nella giovinezza, per quanto possa apparire incredibile, non ho nemmeno sentito pronunciare spesso il suo nome durante i miei studi di scienze, diritto, economia e storia. Il mio primo incontro con lui è avvenuto con la lettura tardiva dei suoi libri e attraverso una corrispondenza con Louis Althusser, autore di ‘Per Marx’».
Una premessa che è una confessione diretta al lettore: non ero, non sono e non sarò marxista – dice Attali – ma Marx mi ha conquistato.
E’ una bellissima professione di amore per la cultura, per lo svisceramento delle problematiche sociali ed economica: lui, economista liberale, forse un po’ socialisteggiantemente riformista. Ma niente di più. Inserito nello schema del miglioramento dell’imperfetto sistema capitalista, nel mondo del possibile, fuori da qualunque ipotesi che oltrepassi la pesantezza di un pragmatismo che diventa catena a cui essere legati per far da guardia agli eccessi del mondo moderno in salsa liberista, ma pure ai tentativi di rimodulazione di una lotta di classe che non è per niente finita, che non è aliena a questa società sempre più ineguale.
Dopo aver ammesso la sua lontananza giovanile da Marx e, soprattutto, dal marxismo, Attali precisa:
«Da allora [dopo la lettura dei testi del Moro e l'”incontro” con Althusser] Marx non mi ha più abbandonato. Mi ha affascinato per la precisione del pensiero, la forza della dialettica, la potenza del ragionamento, la lucidità di analisi, la ferocia delle critiche, lo humor degli strali, la chiarezza dei concetti. Sempre più spesso, nel corso delle mie ricerche, ho provato il bisogno di sapere cosa ne pensasse Marx del mercato, dei prezzi, della produzione, dello scambio, del potere, dell’ingiustizia, dell’alienazione, della merce, dell’antropologia, della musica, del tempo, della medicina, della fisica, della proprietà, dell’ebraismo e della Storia».
Ciò, prescindendo dagli sviluppi politici dell’opera di Marx calata nella storia del movimento operaio, della lotta di classe e dei tentativi di rovesciare il sistema di produzione capitalistico per dare vita ad una società libera dal mercato, dal profitto, dalle merci, da ogni forma di sfruttamento.
Attali non giudica mai Marx, lo osserva, lo descrive e lascia al lettore questo punto di vista che non è dall’alto verso il basso, ma laterale, come se si stesse interagendo con una persona ancora in vita e che si ha a fianco. E che ci parla attraverso quella capacità di sincretizzazione di esperienze avute a contatto con i proletari inglesi, con quelli del continente europeo e con i rivolgimenti che la storia del Vecchio Continente ha conosciuto nel corso dell’800: rivoluzioni nel nome di una libertà borghese di espressione, di pensiero, di nazione; ed altre rivoluzioni, tentativi di assaltare il cielo, di calarlo nella tremenda sopravvivenza delle masse operaie, contadine e sottoproletarie circondate dall’ostentazione del lusso da parte dei padroni e delle aristocrazie.
Attali, dopo averci narrato la vita di Marx, dialoga con Eric J. Hobsbawm: un bonus finale che non potete perdervi. Una vera chicca, una ciliegina sulla torta, un regalo al lettore che viene ancora una volta preso per mano e portato a riflettere sul legame tra il Moro e il XXI secolo. Perché, è lo stesso autore ad ammetterlo (sempre da “non-marxista“), sono soprattutto i socialisti e i comunisti moderni a dover reimparare da Marx una profondità di analisi che viene spesso lasciata indietro rispetto alla demagogia della mitologizzante eredità del passato, legando il futuro della lotta politica e di classe ad una iconografia stanca e melensa, priva di qualunque spirito critico. Priva di quello “spirito del mondo” che è quasi un secondo nome e cognome per il grande amico di Engels.
La biografia di Attali merita, dunque, di essere letta e riletta, perché scorre velocemente ed è a portata davvero di tutti (o quasi): diciamo di tutte e tutti coloro che hanno voglia di saperne di più di un titano del pensiero e dell’azione politica, economica, sociale, civile e persino morale. Perché Marx era un rivoluzionario e queste caratteristiche non sono slegabili dalla vita e nella vita di chi ha provato a dare una chiave di volta all’umanità per uscire dall’incubo del capitalismo.
KARL MARX OVVERO, LO SPIRITO DEL MONDO
JAQUES ATTALI, FAZI EDITORE, 2006
€ 23,00
MARCO SFERINI
18 agosto 2021