Una ricorrenza iniziata in sordina. Alcuni articoli diffusi in Rete, l’annuncio di prossime uscite da parte di alcune case editrici, notizie frammentarie sullo stato dell’arte per quanto riguarda le nuove traduzioni ed edizioni delle sue opere. Ma in occasione del primo maggio il ritmo degli interventi sulla sua eredità è diventato frenetico. Difficile, a questo punto, censire tutti i testi, saggi, libri e articoli dedicati fin qui al bicentenario della nascita di Karl Marx e altrettanto impossibile è segnalare gli annunci per la seconda parte del 2018. Va però ricordato che in Italia il filosofo di Treviri è stato festeggiato in anteprima ad aprile con la proiezioni del film del regista haitiano Raoul Peck dedicato all’«esilio» prima parigino e successivamente belga dell’autore de Il Capitale durante il quale Marx ha scritto saggi rilevanti come Miseria della filosofia e quello firmato con Engels, ma dalla elaborazione corale, collettiva passato alla storia come Il manifesto del partito comunista.
Il testo che con radicalità si pone la domanda sull’attualità dell’opera marxiana e che va dunque segnalato è quello della filosofa americana Wendy Brown che ha caratterizzato il suo percorso teorico nell’analisi della crisi dei sistemi politici liberali a partire da una prospettiva femminista. Scritto tre anni fa per la rivista «Dissent» (www.dissentmagazine.org/article/marxism-for-tomorrow-wendy-brown) all’interno di un numero speciale sulle prospettive presenti e future di una sinistra e riproposto agli inizi di maggio propone un ritratto di Marx come autore imprescindibile per comprendere la natura di classe del potere politico nel capitalismo maturo e per mettere a fuoco che la produzione della ricchezza è basata sullo sfruttamento del lavoro. E tuttavia Wendy Brown non esita ad affermare che l’opera marxiana non riesce a svelare l’arcano dell’«era della finanziarizzazione». Questo non significa però gettare alle ortiche Marx. Piuttosto, propone la filosofa americana, si tratta di riaprire il laboratorio marxiano frettolosamente chiuso durante gli anni dell’egemonia neoliberista e di colmare le assenze e i limiti di un’opera maturata duecento anni fa e che non poteva certo prevedere gli attuali sviluppi del capitalismo.
Un Marx, quello di Wendy Brown, che non ha dunque nulla di profetico. Semmai è un filosofo senza il quale è difficile, se non impossibile orientarsi in un mondo certo complesso ma che non cancella, bensì accentua le disuguaglianze sociali e di potere. Dunque un autore da leggere e rileggere al di là della miseria rappresentata dalla sua demonizzazione. È questa la stessa «metodologia» – leggere Marx oltre la polemica politica corrente – che muove il volume di Jonathan Wolff, un altro filosofo, questa volta però inglese, che insegna alla Oxford University.
Il saggio, da poco pubblicato dalla casa editrice Il Mulino, può essere considerato espressione del cosiddetto marxismo analitico anglosassone così chiamato perché che unisce le tesi di Marx sullo sfruttamento alla riflessione liberal sulla forma stato capitalista. Il libro, dal titolo Perché leggere Marx (pp. 120, euro 12) è un compendio dell’opera marxiana pensato per studenti e lettori che poco sanno chi era e cosa ha scritto Marx. Vengono così illustrati i concetti di classe sociale, lavoro, plusvalore, evidenziandone l’attualità nella spiegazione di come funziona il capitalismo.
Wolff dichiara sin dall’introduzione i suoi timori che le lezioni preparatorie a questo testo incontrassero l’indifferenza dei suoi studenti a causa della frequentazione facoltative, cioè svincolate dal corso universitario. Sono ormai vent’anni che il docente inglese organizza seminari su Marx e il numero degli studenti è aumentato nel tempo nonostante si siano svolti nel pieno della controrivoluzione neoliberista che ha visto l’egemonia culturale del partito conservatore e il tentativo del New Labour di cancellare la sua tradizione politica socialista.
Il saggio di Wolff attinge esplicitamente alla tradizione laburista inglese, testimoniata dall’omaggio che l’autore fa allo storico delle idee Jerry Cohen, il capostipite proprio del marxismo analitico inglese. Quasi inesistenti, invece, i riferimenti alla new left degli anni Sessanta e Settanta, al decano del marxismo inglese Eric J. E. Hobsbawm, mentre sono significativamente citati i libri e le biografie di Marx maturati nel marxismo italiano vicino al Pci.
Chi invece propone una lettura genealogica dell’opera marxiana è la filosofa ungherese Agnes Heller con il libro, da poco pubblicato da Castelvecchi, Marx. Un filosofo ebreo-tedesco (pp. 230, euro 22). Nella descrizione della costellazione culturale del filosofo di Treviri, le sue origini ebraiche di Marx sono propedeutiche a mettere in evidenza la dimensione messianica, profetica della sua critica dell’economica politica, cioè quell’elemento indispensabile affinché, come hanno sostenuto Walter Benjamin e Ernst Bloch, il materialismo storico possa sviluppare una filosofia della Storia alternativa a quella dominante. Ma gran parte di questi saggi, scritti quando l’allieva di Gyorgy Lukacs non aveva ancora preso le distanze dal marxismo, approfondiscono non tanto la necessità di uno spirito dell’utopia o di un messianesimo rivoluzionario, bensì i temi che hanno reso Agnes Heller un’autrice nota fuori dai confini ungheresi.
La teoria dei bisogni, ovviamente, ma anche lo sviluppo di una antropologia filosofica che prenda l’avvio da una fenomenologia dei sentimenti. Ne emerge una visione dell’opera fortemente ancorata al panorama filosofico e culturale degli anni Settanta e Ottanta, dove Marx viene salvato dall’oblio per la sua attitudine utopica. Insomma, un classico della filosofia ottocentesca da leggere ma che ha ben poco da dire sul presente, mentre fallimentari sono stati tutti i tentativi di tradurre operativamente la sua critica al capitalismo.
Più spregiudicata, e utile, è invece la riproposizione di due classici di Karl Marx. La prima è della casa editrice Feltrinelli – l’editore milanese ha recentemente pubblicato un importante saggio di David Harvey, Marx e la follia del capitale (recensito dell’edizione del manifesto del 18/04/2018) – che sta per mandare in libreria la ristampa dei Manoscritti economico-filosofici del ’44 curati da Enrico Donaggio e Peter Kammerer e corredati da alcuni materiali poco conosciuti in Italia che Marx scrisse sulle tesi di James Mill e che i due curatori ritengono utili per comprendere cosa il filosofo intendesse per un lavoro che superasse l’alienazione che lo contraddistingue nella sua forma salariata. ù
La seconda riproposta riguarda invece L’Introduzione alla critica dell’economia politica del ’57 della casa editrice Shake di Milano. Un libro importante, sia per l’introduzione che ricostruisce la rilevanza di queste pagine per comprendere il metodo usato da Marx nella sua critica all’economia politica che per i materiali che ricostruiscono la ricezione, travagliata, di questo scritto marxiano firmati da Sergio Bologna, Raf Valvola Scelsi, Franz Mehring e Eval’d Vasil’evic Il’enkov, lo studioso marxista che per primo curò la diffusione di queste pagine marxiane.
Due volumi che hanno l’obiettivo di rendere attuale l’opera marxiana. In attesa delle pubblicazioni annunciate da molte altre case editrici, va segnalata la nuova edizione del Manifesto comunista per Ponte alle Grazie (pp. 350, euro 19, 80) che si compone, oltre del testo di Marx ed Engels, di una lettura interlineare del manifesto svolta dal collettivo c17 e dai saggi di Etienne Balibar, Sandro Mezzadra, Slavoj Zizek, Veronica Gago. Alisa Del Re, Silvia Federici, Michael Hardt, Pierre Dardot, Christian Laval, Toni Negri (il manifesto del 03/05/2018 ha anticipato il brano di Etienne Balibar). Il volume manifesta la forte intenzionalità teorica-politica non solo per l’attualizzazione della riflessione marxiana, ma per aprire collettivamente un vero e proprio laboratorio marxiano che eviti le trappole del passato – il Marx maturo contrapposto al Marx giovane, la scientificità o meno dell’opera marxiana, la tenuta o meno della teoria del valore/lavoro -, approfondire la critica dell’economia politica nell’era del capitalismo cognitivo, della globalizzazione e della crisi dello stato-nazione.
Come argomenta il sito di Dinamo Press (www.dinamopress.it/news/marx-finalmente/) nel presentare il volume non si tratta di ribadire la fedeltà a Marx o meno, ma di mettere in opera la cassetta degli attrezzi marxiana. Cioè, come sostiene Paolo Virno, di ribadire la piena leggibilità di Marx, oltre e in buona parte contro il marxismo consolidato dalla tradizione del movimento operaio.
BENEDETTO VECCHI
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