Joseph Goebbels. Una biografia

L’uomo in uniforme, scavato, ossuto, filiforme, percorre gli angusti spazi del bunker. Il passo incerto, incespicante in una claudicanza che lo perseguita e che ne ha indurito il carattere...

L’uomo in uniforme, scavato, ossuto, filiforme, percorre gli angusti spazi del bunker. Il passo incerto, incespicante in una claudicanza che lo perseguita e che ne ha indurito il carattere fin da giovane. Avanza tra le luci che balbettano sotto i colpi dei bombardamenti che si sentono da parecchie decine di metri sopra la sua testa. La visiera gli copre il volto emaciato. Le cavità oculari sono sempre più marcate, lo sguardo vitreo, fissa un vuoto di un futuro che non vede.

Nel piccolo atrio che ricorda, molto vagamente, i grandi saloni della cancelleria del Reich, si trovano quadri, tappeti, mobili un po’ di fortuna, portati lì per l’ultima ritirata. L’assedio dura da giorni. I russi sono a poche decine di chilometri dal centro di Berlino e la fine del sogno millenario hitleriano di un impero tedesco fatto di soli ariani, dominatore dei popoli inferiori, sta precipitando su sé stesso, crollando miseramente.

L’uomo non bussa alla porta. Ha libero accesso. Dentro alla stanza si tiene una delle ultime riunioni operative sullo stato del fronte: il nemico lambisce i quartieri governativi della capitale di Federico II. Non c’è più alcuna speranza di salvezza. Rimane soltanto quella di essere catturati e processati, dopo la guerra, da un tribunale internazionale. Una esposizione, in macabra sfilata, delle alte gerarchie del partito nazista: spietati criminali contro l’umanità, fautori di quella che l’uomo ha definito propagandisticamente “la guerra totale“.

La sua voce alla radio l’hanno sentita tutti i tedeschi. Sua è stata l’idea della creazione della milizia popolare per l’ultima difesa di Berlino, per le ultime implementazioni di truppe al fronte. Un arruolamento in larga parte contro voglia. Ma non c’è spazio, almeno apparentemente, nel terrore hitleriano per il dissenso. Nessuno. L’apoliticismo di chi si voleva tenere lontano dal coinvolgimento nelle faccende e nelle vicende del partito, è ormai intollerabile.

La situazione è completamente sfuggita di mano già da qualche anno. Ma l’uomo ha saputo nascondere molto bene le difficoltà interne, soprattutto dovute alla mole burocratica di uno Stato complesso, erede di un impero millenario e di una potenza militare creata solo pochi secoli prima mentre divampavano le prime rivoluzioni europee nel nome di una libertà che ancora non parlava di democrazia, ma certamente affermava la necessità di avere nuovi, sconosciuti diritti.

L’uomo si mette di fianco ad Hitler, osserva le carte, fa cenno che effettivamente la situazione è disperata. Il condottiero lo esorta, come ha fatto con molti altri attendenti e uomini della cerchia dirigente, a lasciare la capitale, a rifugiarsi ad ovest. Poco prima l’ha detto apertamente al suo aiutante Heinz Linge, che è riuscito a rispondere pochi monosillabi: «Perché dovrei sopravvivere?», è la domanda semplice… «Per l’uomo che verrà!», aveva risposto Hitler.

Ma Joseph Goebbels, l’uomo, si sente rispondere altro: che dovrà ereditare lui la carica di cancelliere del Reich, che dovrà istituire e collaborare con un governo presieduto dal grande ammiraglio Karl Dönitz, e che la Germania avrà bisogno ancora dei nazisti, delle SS, nonostante Himmler abbia tradito nell’intavolare trattative col nemico, tramite il conte Bernadotte. Per fare questo, sostiene Hitler, lui il ministro della propaganda, dovrà lasciare Berlino.

In tutta la sua vita, magistralmente narrata da Peter Longerich nel suo “Joseph Goebbels. Una biografia” (edito da Einaudi nel 2022), non è mai successo che disobbedisse ad un ordine del Führer. Ora sente il dovere di farlo, proprio per rimanergli fedele e, a lui, alla causa in cui ha creduto. Il fervore che aveva sentito da giovane per ideali socialisteggianti fu ben presto rivolto ad una coniugazione speculare con un nazionalismo che lo aveva ispirato verso una concezione etnocentrica della politica.

I suoi primi discorsi in pubblico avranno come leit motiv: «Noi siamo nulla, la Germania è tutto». Ad uno di questi comizietti di periferia si troverà Gregor Straßer (leggasi: “Strasser“), uno dei primi leader dell’NSDAP, che lo noterà e ne farà il suo segretario personale. In quel periodo, postbellico, in cui la Repubblica di Weimar mostra evidenti segni di incapacità di tenuta sociale e civile, pressata dalla fortissima crisi economica seguita al conflitto mondiale, le fazioni interne al futuro partito nazista lottano spietatamente per l’affermazione.

Da un lato c’è Hitler, che rappresenta la linea del nazionalismo pangermanico che cerca il compromesso col ceto borghese e con l’imprenditoria; dall’altra si trova un’ala radicale e filo-socialista in cui Goebbels ancora si riconosce, senza disconoscere le sue prime giovanili simpatie politiche. La spunterà l’ex caporale austriaco, che metterà in minoranza i fratelli Straßer e conquisterà, passo dopo passo, il partito imponendo una leadership pressoché incontestata e incontestabile.

Il Führerprinzip, il principio di supremazia del capo, del leader, del nuovo duce dei tedeschi, sarà, dopo che Hitler avrà valorizzato il ribelle renano Joseph dandogli la parola in importanti momenti comiziali, il punto di riferimento di tutta la vita di Goebbels. Forse solo Himmler, se volessimo azzardare una classifica di fedeltà al pittore scapestrato di Braunau Am Inn, può gareggiare con il futuro ministro della propaganda del Reich in quanto a devozione.

Nelle migliaia di pagine di diario, come racconta e ripercorre Peter Longerich nel suo libro, il “dottor Goebbels” (come veniva comunemente chiamato da tutti) non fa che vergare parole di accecante venerazione per quell’uomo che, da subito, aveva ammirato ma anche avversato durante il periodo della sua vicinanza all’ala proletarieggiante degli Straßer. Non vi sarà più alcun tentennamento. La parola di Hitler varrà senza se e senza ma.

Così come le sue intuizioni saranno sempre colte dal dittatore che, a differenza dei rapporti conflittuali con un tipo eccentrico come Göring, vedrà in Goebbels un consigliere attento e generoso di profferte per una nazificazione meticolosa di tutto l’apparato statale: convergendo così dal rigido cerimoniale istituzionale prussiano ad un ordine diverso della catena di comando che, senza alcuna remora, diverrà una catena di obbedienza dal più remoto ufficio di un gauleiter o borgomastro di provincia fino all’entourage del potere centrale.

Contrariamente all’immagine che ha costruito di sé stesso, Goebbels è un uomo piccolo, con un “piede equino“, sofferente e rancoroso che trova una rivalsa caratteriale ed emotiva nella politica di un partito di cui, senza alcun dubbio, condivide le idee oltre ogni misura immaginabile. Non giganteggia in nulla se non nell’eloquio. Al pari, o quasi, di Hitler, sa intrattenere le folle per ore. Cadenza con prudenza le parole, anche se gesticola meno del capo.

Ma lo imiterà ben presto. La sua dipendenza emotiva dal cancelliere-presidente è un elemento inscindibile della seconda parte della sua esistenza. Tutto in lui viene hitlerizzato. Persino i sei figli che ha con Magda non sfuggono a questa sorte: i loro nomi iniziato tutti con la lettera acca. Quando nel 1933 diventa ministro della propaganda, ha finalmente l’occasione di mostrare al suo capo tutte le sue abilità: si mette al servizio di una concezione morale che vuole uniformare la cultura e le arti.

A lui si deve la nazificazione di ogni settore di intrattenimento: cinema, radio, spettacoli di teatro; e di ogni forma di espressione pittorica. Thomas Mann e altri intellettuali tedeschi condivideranno lo stesso giudizio: non si trattava soltanto di un uomo di bassa statura, ma semmai di infima bassezza, proprio morale. Rimane famosa la definizione del grande scrittore a proposito: «uno storpio nel corpo e nell’animo». Vagamente psicoanalisticheggiante, la freddura manniana sintetizza bene la vita d Goebbels.

Non si può, ovviamente, far risalire gran parte delle sue scelte politiche al fatto di aver avuto una cattiva salute in gioventù ed essere stato segnato dalla claudicanza. Ma, è ormai condivisa opinione storica, anche da parte di Longerich, che il ministro della propaganda del Terzo Reich subì quella condizione per lungo tempo e che, anche nei confronti delle donne, sul piano del desiderio e delle sue passioni erotiche e sessuali, la ricaduta fu altrettanto importante.

In tempi piuttosto recenti, a partire da analisi storiche approfondite, come quelle di Fest e Kershaw, la figura di genio della comunicazione che era stata tratteggiata dalle prime biografie è, con sempre maggiori elementi di studio a disposizione, stata ridimensionata. Non c’è dubbio che, senza Goebbels, Hitler avrebbe avuto un’arma decisiva in meno nell’affermare il proprio potere, quella del partito nazista e del regime successivamente.

Quando la moglie Magda scopre il suo tradimento con l’attrice ceca Lída Baarová, ne parla col Führer, nei confronti del quale vanta per sé stessa una simpatia singolare. Ma il ministro, seppur redarguito dal suo capo, qui punta i piedi: si dimette, vuole sposare l’amante e andare a vivere in Giappone, dimenticando tutto e tutti. Una decisione di questo tipo potrebbe sorprendere chi ha sempre giudicato Goebbels l’uomo totalmente fedele ad Hitler.

Così è, ma quando si tratta di questioni affettive, prevale forse quella poca parte di umanità che gli rimane; tanto da recalcitrare e imporre, per un attimo, non la volontà del dittatore, ma la sua. Ma la resistenza è di breve durata. Le dimissioni non vengono accettate e lui è costretto a rientrare nei ranghi dopo un tentativo di suicido andato a male… Le debolezze, se così si possono definire, dell’uomo non possono emergere fin dove vorrebbero.

Devono rimanere in un subconscio che è represso e violentato dall’intransigenza della ragion di regime e di Stato. Ci penserà l’apparato dei servizi segreti e della Gestapo a far sparire l’attrice che aveva fatto perdere la testa al ministro: per sua fortuna con metodi diversi da quelli adoperati per molti altri esseri umani considerati ostacoli o impicci per il grande Reich germanico. La manderanno al suo paese e la sconveniente parentesi amorosa finirà lì.

Ma Peter Longerich non banalizza o minimizza tutto questo. Anzi, la sua biografia è, tra quelle più recentemente scritte e pubblicate, una delle poche che mette proprio l’accento sia sulla vita privata di Goebbels, sia sulle pagine più intime dei suoi diari: compresi i trasporti patologicamente empatici nei confronti di Hitler. A discapito di tutto, quello rimarrà il sentimento più forte di tutta la sua vita: la dedizione assoluta al capo.

L’uomo, nel bunker, esce dalla stanza. Hitler si è diretto con Eva Braun nei suoi alloggi. Lui si siede ad un tavolino. Pensa e riordina le idee. Poi detta un testamento politico e personale al tempo stesso. Confida poche parole ai suoi collaboratori che riprendono ciò che scrive nelle ultime pagine del suo diario: considera immorale abbandonare il Führer al suo destino segnato. Parla di “delirio di tradimento” che sta prendendo un po’ tutti, ad iniziare dalle alte sfere del partito, dell’OKW e del campo diplomatico.

Fa aggiungere al testamento di Hitler una sua postilla in cui afferma: «Per questi motivi dichiaro – unitamente a mia moglie e a nome dei miei figli, che sono troppo giovani per potersi esprimere essi stessi ma che, se avessero l’età necessaria, aderirebbero senza riserve a questa scelta – la mia irrevocabile decisione di non abbandonare la capitale del Reich nemmeno in caso di una sua caduta e di voler concludere al fianco del Führer la mia vita che non ha per me personalmente più alcun valore dal momento che non posso più impiegarla al servizio del Führer e al suo fianco».

Sarà la tetra premessa dell’omicidio dei suoi figli da parte della moglie e della morte propria e della consorte nel cortile antistante il bunker. Poche ore dopo il suicidio di Hitler ed Eva Braun. Di tanta fedeltà ed onore, genialità e asprezza, rimarranno i resti carbonizzati di sei piccoli innocenti e due fanatici imprigionati nella rappresentazione di un mondo perfetto impossibile, per fortuna, da realizzare.

JOSEPH GOEBBELS. UNA BIOGRAFIA
PETER LONGERICH
EINAUDI, 2022
€ 34,00

MARCO SFERINI

2 ottobre 2024

foto: screenshot dalla copertina del libro


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