TERZA PARTE
Buster Keaton, che di cinema se ne intendeva, disse “Tati comincia laddove noi ci eravamo fermati”. Un irraggiungibile complimento anche perché quel “noi” era riferito allo stesso Keaton, a Charlie Chaplin, a Harold Lloyd, a Harry Langdon. Al meglio del cinema comico muto statunitense. Anche Tati faceva film non parlati (il suono, invece, con rumori e musiche era ben presente) e grazie a questo riuscì a raggiungere pubblici lontani senza troppi problemi di traduzione. Playtime, ad esempio, fu un insuccesso in Francia e negli Stati Uniti, ma ottenne ottimi riscontri nell’Europa dell’est, per questo nel 1972 l’autore francese recitò il ruolo di Zak nell’episodio 5 della serie TV jugoslava Obraz uz obraz, e soprattutto in Scandinavia. Ottimi risultati in Finlandia, incluso il Kunniakirja Award, grandi riconoscimenti in Danimarca e poi c’era la Svezia.
In quegli anni nel più grande Paese della Scandinavia si stava sperimentando e innovando molto. In ogni ambito. Nella musica quattro ragazzi Björn, Benny, Agnetha & Anni-Frida avevano registrato il loro primo album “Ring Ring”. Era il 1973. L’anno dopo uscì l’iconica “Waterloo” e nel 1975 l’intramontabile “Mamma mia” quando ormai Agnetha, Benny, Björn e Anni-Frida erano noti come ABBA.
Anche nel tennis cambiò qualcosa con le prime vittorie di un giocatore che impugnava un “brutale” quanto insolito rovescio a due mani, che oggi è diventato di pratica comune, ma all’epoca era quasi una “bestemmia”. Quel tennista vinse sei Roland Garros e cinque Wimbledon di fila (record eguagliato solo da Roger Federer). Il suo nome era ovviamente Björn Borg.
In quegli anni la Svezia cambiò anche il modo di intendere l’arredamento grazie alla ditta svedese IKEA, acronimo dato dal nome dei fondatori, che decise di varcare i confini nazionali per portare quei mobili da assemblare in giro per il pianeta. I primi a “riceverli” furono i tedeschi e i giapponesi nel 1974.
Anche il cinema stava cambiando. L’immenso Ingmar Bergman stava sperimentando nuovi mezzi. Nel 1973 il suo Scener ur ett äktenskap (Scene da un matrimonio) era concepito come una serie TV in sei puntate. La televisione pubblica svedese non era insolita a visioni e sperimentazioni. Nata come Sveriges Radio aveva un primo canale generalista, Sveriges Radio TV (oggi SVT1), dove venivano trasmesse le avventure di Pippi Långstrump (Pippi Calzelunghe), e dal 1969 un secondo canale TV2 (oggi SVT2) che alcuni avrebbero voluto come emittente in parte privata, finanziata con la pubblicità, ma in Svezia, in quella Svezia guidata dal socialdemocratico Olof Palme (ucciso dall’estrema destra nel 1986), il “pubblico” veniva prima del “privato” così anche il secondo canale televisivo scandinavo restò pubblico e venne scelto come rete per le sperimentazioni. Scene da un matrimonio fu trasmesso proprio su TV2.
Molti si erano dimenticati di Jacques Tati, ma non gli svedesi. L’artista francese venne così chiamato per sperimentare, innovare, provare nuove forme di cinema e di spettacolo per TV2. Nacque Parade (Il circo di Tati).
Mario Verdone, padre di Carlo, sosteneva che il cinema fosse nato dal circo. Potremmo discuterne per ore, ma quel che è certo che grandi cineasti hanno nutrito e alimentato una grande passione per questa forma di arte: da Chaplin a Keaton fino ad arrivare a Fellini. Clown, acrobati, funamboli, giocolieri tutti cordinati da un presentatore che in Francia si chiama da fine Settecento Monsieur Loyal (Madame se donna). Jacques Tati, per il suo film sperimentale per la TV svedese, impersonò un Monsieur Loyal. Il più grande.
Le riprese si svolsero nell’inverno del 1973 nel Circo di Stoccolma. La fotografia venne curata da Gunnar Fischer (Ljungby, 18 novembre 1910 – Stoccolma, 11 giugno 2011), già al fianco di Dreyer e Bergman. Al resto ci pensarono i circensi, il pubblico e, soprattutto, Jacques Tati.
Un pubblico, fatto prevalentemente di giovani, entra nel circo di Stoccolma per un nuovo spettacolo. Ad accoglierli Mr. Loyal (Jacques Tati) che oltre a presentare i numeri degli artisti, si produce in alcune pantomime (tipiche del repertorio dell’artista): il boxeur, il portiere di una squadra di calcio, il tennista, il cavallerizzo, il vigile, il pescatore. Non solo. Loyal diverte gli stessi artisti dietro le quinte e fa diventare protagonista il pubblico. A spettacolo terminato saranno due bambini a giocare con gli attrezzi del circo.
Un film generalmente sottovalutato, alcuni lo considerarono “l’esilio di Tati”, ma grazie a Parade l’artista francese riuscì a sperimentare nuove forme di comunicazione. La prima, la più evidente, l’utilizzo di una videocamera con pellicola da 16mm e 35mm, per lui inedita. Poi c’è l’impostazione stessa della storia che non è un classico film, ma nemmeno la ripresa di uno spettacolo circense; non è un programma TV, ma nemmeno un documentario. Tutto unito da quella insolita interazione che Loyal/Tati ha col pubblico che diventa assoluto protagonista dello show, fino al commovente finale, omaggio ad un mondo che stava sparendo.
Parade, benché realizzato per la TV2 svedese, venne concepito come un film vero e proprio. Fu, pertanto, presentato a Cannes nel 1974, sebbene fuori concorso, e “in concorso” in altri festival. Vinse il Grand prix du cinéma français, l’Outstanding film of the year a Londra, il Festival international a Mosca e Teheran.
Nonostante il buon successo di Parade il 1974 fu un anno drammatico per Jacques Tati. La Specta-Films, dopo l’insuccesso commerciale di Playtime, venne liquidata e i film del maestro francese posti sotto sequestro. Messi all’asta furono acquistati da un promotore immobiliare, tal Nino Malossena del Monaco. Solo successivamente una cordata permise a Tati di ritornare in possesso del 46% dei suoi film.
Inseguito dai debiti il regista fu costretto a lasciare l’appartamento a Saint-Germain-en-Laye per trovarne uno più modesto a Parigi. Al suo fianco sempre la deliziosa Micheline. La coppia era aiutata economicamente da diversi amici, tra questi Alfred Sauvy che era divenuto economista, non certo progressista, sua la definizione “Terzo mondo”. Ma alle difficoltà economiche se ne aggiunse una più grave: gli venne diagnosticato un male incurabile. In un solo anno fu operato due volte all’intestino.
Ma l’insuccesso commerciale, i debiti e la malattia non potevano piegare l’arte di Tati. Il 19 febbraio 1978 gli venne conferito, insieme a Henri Langlois fondatore della Cinémathèque Française, il César d’honneur per una straordinaria carriera che sembrava non dovesse finire mai.
Già durante le riprese di Parade il cineasta aveva abbozzato un soggetto, insieme a Jacques Lagrange, intitolato Confusion. Secondo le parole dell’autore: “… ho l’impressione che attualmente ci sia molta confusione nel mondo. Sono quelli che io chiamo i quattro primi della classe, cioé i tecnocrati che fanno il mondo senza il nostro parere. Mettono ordine dappertutto: talmente in ordine che, alla fine, ci si ritrova in pieno disordine”. Un mondo dominato dalla TV che decide la vita e la morte delle persone. Monsieur Hulot poteva e doveva tornare.
Ma prima di finire la sceneggiatura di Confusion Tati venne contattato da Gilbert Trigano imprenditore francese, ideatore dell’agenzia turistica Club Méditerranée meglio noto come Club Med, e Presidente del Bastia calcio che, contro ogni pronostico, nella stagione 1977-78 era arrivato nella finale di Coppa UEFA. Trigano era convinto di sollevare la coppa e chiese al regista di filmare la città corsa in festa e la finale. Fra il 25 e il 27 aprile del 1977 Tatì realizzò circa tre ore di filmato in 16 mm per il documentario Forza Bastia ou l’Île en fête. Quella del Bastia rimane un’impresa straordinaria, ma dall’altra parte del campo c’era il PSV Eindhoven che pareggiò in Corsica e vinse in Olanda. Il film di Tatì finì così nel dimenticatoio, più precisamente nella cantina di famiglia. Venne ritrovato solo nel 2000 da Sophie Tatischeff che lo montò in una versione da 26 minuti e lo proiettò in pubblico col titolo Forza Bastia!
Tati continuò a lavorare. Nel 1979 realizzò due spot per il Comune di Parigi e un servizio per la rivista “Vogue”. Nel 1982, dopo quasi 10 anni di lavoro, terminò la sceneggiatura di Confusion: in una metropoli in cui tutto ruota attorno al potere della TV, un anziano Hulot viene scelto per essere ucciso in diretta.
Un cinico e duro atto di accusa contro la società dell’apparire, contro il mondo di oggi, scritto con quaranta anni di anticipo. La triste e immensa fine di Hulot. Tati brindò al nuovo film insieme a Jacques Lagrange e agli Sparks, gruppo rock statunitense coinvolto nel progetto. La band era formata dai fratelli Ron e Russell Mael che nel film avrebbero interpretato i cinici funzionari TV chiamati dalla televisione francese per aumentare gli ascolti. Non solo. Gli Sparks già nel 1976 avevano pubblicato la canzone “Confusion”, tema centrale di un film che non vedremo mai.
Jacques Tati, malato da anni, si spense il 5 novembre 1982 a seguito di un’embolia polmonare. Il giornalista e regista Philippe Labro scrisse: “Addio Monsieur Hulot. Lo piangiamo da morto, ma avremmo dovuto aiutarlo da vivo”. Oggi riposa nel cimitero di Saint-Germain-en-Laye. Dalla sua morte, come spesso capita, molte città hanno iniziato a rendergli omaggio. Su tutte Saint-Marc-sur-Mer, il luogo in cui venne girato il film Le vacanze di Monsieur Hulot, dove la spiaggia è ormai “la spiaggia di Monsieur Hulot” e la stessa è sovrastata da una statua che lo rappresenta, realizzata nel 1999 dallo scultore Emmanuel Debarre.
Il regista lasciò la moglie Micheline, che morì il 9 dicembre 1991, e i due figli entrambi attivi nel mondo del cinema. La primogenita Sophie Tatischeff, oltre ad aver montato alcuni film del padre (Playtime, Trafic, Parade), diresse autonomamente due pellicole. Realizzò, infatti, Dégustation maison (1978) che riprende una piccola pasticceria di paese frequentata da soli uomini e Le comptoir (1998) in cui si intrecciano i destini di due donne. Di Pierre Tatischeff, invece, si ricordano molti ruoli tecnici e l’assistenza alla regia in French Connection II (Il braccio violento della legge n°2) con Gene Hackman. Ma forse il ruolo più importante per il cinema, Sophie e Pierre, lo hanno avuto difendendo, riacquisendo, conservando e divulgando i film del geniale padre. Il primo atto in questa direzione fu, nel gennaio 1995, lo sviluppo e la proiezione della versione a colori di Jour de fête.
Pierre Tatischeff morì il 16 agosto 1995 a seguito di un incidente con la moto. Sophie, sebbene malata, non si perse d’animo. Dopo aver tirato “fuori dalla cantina” Forza Bastia! la donna nel 2001, insieme a Jérôme Deschamps e Macha Makeïeff (marito e moglie, attori, registi, teatranti) fondò la società Les Films de Mon Oncle per custodire e gestire l’eredità artistica di Jacques Tati. Sophie propose anche al regista dissidente sovietico Otar Ioseliani di realizzare Confusion. Ioseliani, che si era tanto ed esplicitamente ispirato a Tati, rifiutò con un atto d’amore: “Non posso farlo. Capisco il desiderio che il film di tuo padre sia realizzato, ma post mortem non può essere fatto al suo posto. Il testo scritto da un poeta è un testo scritto e concluso”. Sophie si spense il 27 ottobre del 2001, ma quel testo venne letto pubblicamente nel 2009 in occasione del centoduesimo anniversario della nascita di Tati all’interno di una rassegna a lui dedicata.
Ma c’era un altro progetto che Jacques Tati non era riuscito a filmare, quello che era stato archiviato come “Film Tati n° 4”. Nel 2010 Sylvain Chomet (Maisons-Laffitte, 10 novembre 1963), fumettista, musicista e regista che aveva già omaggiato il genio francese ne Les Triplettes de Belleville (Appuntamento a Belleville, 2003) inserendo chiari riferimenti a Jour de fête e Les vacances de M. Hulot, decise di portare sul grande schermo, col suo tratto tradizionale, quella storia. Nacque L’illusioniste (L’illusionista).
1959. L’anziano prestigiatore francese Tatischeff (che si chiama come Tati e ha le sue sembianze) non ha mai raggiunto il successo e, ormai schiacciato dalle nuove mode, decide di fare uno spettacolo in uno sperduto villaggio scozzese. Li incontra una giovane ragazza che lo crede un vero mago. Tra i due nasce una naturale simpatia, ma il mondo attorno a loro sta velocemente cambiando.
Una storia magnifica, struggente, sulla morte di un mondo che avrebbe meritato l’Oscar, inspiegabilmente negato nonostante la nomination. Da pelle d’oca vedere l’illusionista in cartone animato che guarda nel cinema uno spezzone di Mon Oncle.
L’eredità di Jacques Tati, uno dei comici, e non solo, più originali e amati della cinematografia mondiale, è enorme e continua ad ispirare autori di mezzo mondo. Oltre al già citato Ioseliani, basti ricordare il palestinese Elia Suleiman, l’italiano Maurizio Nichetti (che nella sua biografia ricorda l’incontro con “Monsieur Hulot” in occasione della proiezione di Ratataplan), Federico Fellini che lo portò in Italia (si trovano facilmente immagini di alcuni passaggi televisivi in RAI) e lo ipotizzò per un suo Don Chisciotte e Dario Fo con quale Tati condivideva una straordinaria somiglianza fisica oltre alla magnifica capacità di cogliere il dettaglio e denunciare con la sola arte del mimo.
Tati fu il più grande autore e attore del cinema muto al tempo del parlato. Distrusse il mito della modernità ad ogni costo rimanendo se stesso, senza mai aprire bocca. Grazie François le facteur, grazie Monsieur Hulot, grazie Jacques Tati.
redazionale
Bibliografia
“Jacques Tati” di Roberto Nepoti – Castoro
“Jacques Tati” di Francesca Boschetti – L’Epos
“L’integrale Jacques Tati” – Rilpey’s Home Video
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2021” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da: immagine in evidenza foto da e da www.longtake.it ; foto 1, 2, 4, 9 da it.wikipedia.com; foto 3, 5, 8 Screenshot del film riportato nella didascalia; foto 6 da pineapplefulfillseveryneed.tumblr.com. foto 7 da www.lanouvellerepublique.fr
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