PRIMA PARTE
Nella storia del cinema francese, così come in altre, ogni regista può essere ricondotto ad una precisa fase cinematografica. Auguste e Louis Lumière, Alice Guy, Georges Méliès furono i pionieri della “settima arte”. Abel Gance, Germaine Dulac, René Clair rappresentarono il cinema d’avanguardia. Renoir, Vigo, Carné divennero la colonna portante del realismo poetico. Alain Resnais, François Truffaut, Jean-Luc Godard diedero vita alla Nouvelle Vague. Insomma: ogni regista ha una sua epoca definita. Tutti tranne uno: Jacques Tati.
Le radici del futuro regista erano sparse in mezza Europa. Il padre Georges-Emmanuel (1875-1957) era figlio della francese Rose Anathalie Alinquant (1837-1903) e del conte russo Dmitrij Tatiščev (1824-1878), cugino dello Zar Nicola I, generale nonché diplomatico presso l’ambasciata russa a Parigi. L’uomo morì in circostanze misteriose poco dopo la nascita del piccolo Georges-Emmanuel, pare vittima della sua stessa famiglia decisa ad ostacolare in ogni modo quell’unione ritenuta infamante. Non paga la stessa famiglia fece rapire il bambino che fu portato in Russia per essere “rieducato”. Ci rimase per otto lunghi anni, fino a quando la madre, che si era fatta assumere sotto falso nome come governante, riuscì a riportarlo in Francia scegliendo come residenza la defilata cittadina di Le Pecq ad una ventina di chilometri da Parigi. Nulla della cultura russa trovò più spazio nella famiglia. A partire dal cognome che da Tatiščev divenne Tatischeff.
La madre di Jacques Tati si chiamava, invece, Claire van Hoof (1883-1969) figlia dell’italiana Teresa Maria Rizzi e del corniciaio olandese François Hubert Théodore van Hoof che aveva avviato una fortunata bottega nel cuore di Parigi. I suoi clienti? Paul Cézanne, Henri de Toulouse-Lautrec e Vincent van Gogh col quale van Hoof vantava una buona amicizia al punto che, narra la leggenda, il corniciaio rifiutò di essere pagato dal pittore con tre suoi dipinti!
In bottega un giorno arrivò Georges-Emmanuel Tatischeff che, tagliati i ponti con la nobile famiglia zarista, era in cerca di lavoro. Lì conobbe e si innamorò di Claire. I due si sposarono nel 1903 e scelsero di portare avanti la fortunata attività. Nel 1905 nacque la loro prima figlia Odette Nathalie. Il 9 ottobre 1907 venne al mondo Jacques.
I due fratelli ebbero un’educazione molto rigida, propria dell’alta borghesia, impartita dalla nonna italiana e da severi governanti. Un’educazione che portò Jacques, quasi istintivamente, alla ribellione.
L’insofferenza si mostrò prima a scuola. Il ragazzo venne, infatti, ripetutamente sospeso dal liceo di Saint Germain al punto che nel 1923, anche in considerazione degli scarsi risultati, decise di abbandonare definitivamente gli studi. Poi, cinque anni dopo, durante il servizio militare, che prestò nel reggimento di cavalleria di Saint-Germaine-en-Laye. Il futuro regista si divertiva ad imitare e ridicolizzare commilitoni e superiori. Qui conobbe il soldato Lalouette, un parrucchiere gentile, refrattario ad ogni ordine, involontariamente anarchico e sovversivo che diverrà la base per il suo personaggio più noto.
Nel frattempo Jacques, sospeso il liceo, aveva iniziato a lavorare ne Les Cadres Van Hoof, l’atelier di cornici di famiglia. Non eccelleva a scuola, modesto come militare benché ottimo cavallerizzo, svogliato corniciaio. C’era, tuttavia, un ambito in cui il futuro regista eccelleva: lo sport. Forte del suo fisico, era oltre il metro e novanta, praticava calcio, nel Vesinet, equitazione, tennis, boxe e, durante uno stage lavorativo in Inghilterra, iniziò a giocare anche a rugby, al punto di arrivare a militare nel 1928 nella massima serie tra le fila del Racing Club de France, buona squadra capitanata dal futuro economista e sociologo Alfred Sauvy. Per Jacques lo sport era anche un’occasione per mimare e imitare i movimenti di compagni e avversari, di pubblico e arbitri.
Nel 1931 il Racing Club organizzò una serata di beneficenza e per l’occasione, Jacques Tatischeff mise in scena uno spettacolo di imitazioni sportive chiamato “Sport muset”. Fu un successo enorme.
L’anno successivo Tatischeff cercò di portare quel successo sul grande schermo. Il primo contatto del futuro regista con la “settima arte” avvenne nel 1915 quando vide il cortometraggio Little Tich et ses Big Boots (1900) diretto da Alice Guy col britannico Little Tich come protagonista. Un comico affetto da nanismo, che divertiva e faceva divertire, considerato dal futuro regista l’inventore del genere comico. Con questa impostazione Jacques nel 1932 scrisse e interpretò Oscar, champion de tennis (diretto da Jack Forrester). Il tennis era, ed è, molto popolare in Francia, quella era l’epoca dei “Quattro moschettieri” (lo stesso Jean Vigo ipotizzò di fare un film sul gioco), ma della prima pellicola di Jacques Tatischeff non vi è traccia. Perduto.
Benché il padre storcesse il naso, per usare un eufemismo, il mondo del più piccolo della famiglia Tatischeff era ormai quello dello spettacolo. Nel 1933 si esibì al Gerny’s cabaret e ristorante situato sugli Champs-Élysées. Il proprietario si chiamava Luoise Leplée, vantava una forte amicizia con Arletty e aveva scoperto Édith Piaf. Fu ucciso nel 1936, in circostanze tuttora misteriose, ma quella sera riuscì intuire il genio di Tatischeff che realizzava pantomime divertenti ispirate allo sport e all’osservazione del quotidiano. L’impresario lo ingaggiò garantendosi il tutto esaurito per molte settimane. Un successo continuo. L’attore si esibirà anche al Ritz, al Michel, all’A.B.C. e in molti locali lontani dalla Francia ottenendo consenso tra il pubblico e tra i critici. Da segnalare le parole di Colette, celebre e influente critica dell’epoca: “Credo che ormai nessuna festa, nessuno spettacolo d’arte o d’acrobazia potrà fare a meno di questo stupefacente artista, che ha inventato qualcosa… qualcosa che partecipa della danza, dello sport, della satira e del quadro vivente… La sua forza di suggestione è quella dei grandi artisti”.
Nel 1934 Tatischeff tornò sul grande schermo. Scrisse e interpretò il cortometraggio On demande une brute (Bruto cercasi) diretto dal modesto Charles Barrois e interpretato al fianco del clown Rhum (all’anagrafe Henri Sprocani) artista del circo Médrano. Nel film un aspirante attore (Jacques Tatischeff) si esibisce in famiglia, ma quando una troupe gli offre un ingaggio accetta senza preoccuparsi troppo a cosa va incontro: un incontro di pancrazio (misto tra wrestling e boxe) contro il temibile Grossof le Tartae. Il futuro regista considerò On demande une brute, scritto con l’amico Alfred Sauvy, un pessimo film, ma fu senz’altro utile per imparare l’arte del cinema.
Fu solo il primo passo. Il 20 settembre del 1935, in occasione della rappresentazione del nuovo spettacolo “Impressions sportives” al teatro Michel, Jacques Tatischeff divenne semplicemente Jacques Tati.
Il padre, raccontano i biografi, indignato e deluso obbligò il figlio ad una scelta: tornare a lavorare nell’atelier o andarsene di casa. Tati scelse la seconda, ma nonostante la frattura Georges-Emmanuel iniziò a ritagliare e a conservare gelosamente tutti gli articoli di giornale che riguardassero il figlio artista.
Nel 1935 Tati scrisse e interpretò Gai dimanche (Allegra domenica) per la regia di Jacques Berr. Due amabili perditempo (Jacques Tati e Rhum) organizzano un improbabile picnic pieno di incidenti meccanico-gastronomici. Una simpatica comica.
Fu l’ultima collaborazione artistica con Rhum, ma i due resteranno amici per tutta la vita. Tati, in silenzio, aiutò economicamente il clown e altri esponenti del music hall negli anni del suo successo.
Alternando palcoscenico e grande schermo, nel 1936 Tati scrisse e interpretò Soigne ton gauche (Cura il tuo sinistro) diretto dal grande René Clément. Nella pellicola un giovane contadino (Jacques Tati) osserva l’allenamento di un pugile e finisce lui stesso sul ring.
Il mondo di Tati stava piano piano prendendo forma. La sua comicità rimandava alla grande stagione del muto americano. Secondo il critico Claude Beylie: “Langdon è il poeta, Keaton il solitario che si aggrappa disperatamente alla vita, Chaplin il clown, il povero cristo che si carica sulle magri spalle i mali della terra. Tati è soprattutto lo sportivo, campione di tutte le categorie… uno sportivo che, per sua sfortuna, è galante e dolce”.
Nonostante il debutto nel mondo del cinema Tati continuava a calcare i palcoscenici di mezza Francia, inclusa una tournée con la cantante Marie Dubas. Lavoro che gli permise, dopo periodi di grande difficoltà economica, di trasferirsi in un appartamento in rue de Penthièvre a Parigi. L’anno successivo, nel 1938, scrisse e interpretò un film incompiuto e perduto: Retour à la terre (Ritorno alla terra).
Il palcoscenico era comunque l’impegno maggiore. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale lo sorprese durante una tournée in Italia con la compagnia del Bal Tabarin, in procinto di partire per gli USA. L’artista venne richiamato alle armi e inviato a Cambrai. Una notte fu arrestato dalla polizia militare e messo in prigione poiché privo di documenti e con una divisa troppo corta… vallo a spiegare che le divise della sua misura non esistevano. Fu rilasciato la mattina seguente, ma Jacques Tati raccontò sempre che i capelli gli vennero completamente bianchi quella notte per la paura.
Con l’armistizio tra Francia e Germania del 22 giugno 1940 Tati tornò a recitare a Parigi con il suo Impressions sportives. Durò poco. La Kraft durch Freude l’organizzazione del Terzo Reich incaricata di “reclutare” artisti lo obbligò ad interpretare il proprio spettaccolo a Berlino. Tati riuscì a scappare insieme all’amico Henri Marquet e a rifugiarsi prima nella zona libera del Marembert, poi trovando ospitalità nel villaggio di Sainte-Sévère-sur-Indre dove conobbero l’illusionista André Delpierre.
Rientrato a Parigi Tati venne contattato da Marcel Carné che lo ingaggiò per interpretare il mimo Jean-Gaspard Debureau in Les Enfants du paradis (Amanti perduti). Alla fine, tuttavia, il ruolo di colui che tratteggiò il moderno Pierrot, venne affidato a Jean-Louis Barrault che aveva già lavorato col regista.
Il periodo tra guerra e ingaggi mancati non era dei migliori per Tati. Anche l’atelier di cornici di famiglia era in forte crisi al punto che la sorella Nathalie aveva aperto un negozio di lingerie. Tra le sue clienti una giovane ragazza Micheline Claude Winter che vantava nomignoli affettuosi Michou, Mimouche, Michette. Era nata il 10 novembre del 1924, era figlia di un ricco medico, aveva quasi la metà degli anni di Tati, ma secondo la sorella erano fatti l’uno per l’altra. Aveva ragione. Jacques e Michou si conobbero ad un ricevimento organizzato da Nathalie, si sposarono il 25 maggio del 1944, ebbero due figli e rimasero insieme per tutta la vita. Della donna l’artista dirà: “Devo tutto a mia moglie. Senza di lei nulla sarebbe stato possibile”.
Finita la guerra Tati tornò al cinema recitando prima la parte di un fantasma in Sylvie et le fantôme (Solo una notte, 1945) poi, non accreditato, quella di un soldato al bar ne Le diable au corps (Il diavolo in corpo, 1946) pellicola censurata per la sua vena antimilitarista. Entrambe i film vennero diretti da Claude Autant-Lara che passò nel corso degli anni dalla militanza comunista al parlamento europeo tra le fila del Front National con tanto di dichiarazioni sulle camere a gas definite una “serie di bugie”.
Tornando a Tati ormai sembrava destinato ad un modesto futuro da caratterista. Non fu così. Lavorando con Autant-Lara aveva conosciuto Fred Orain, direttore degli studi cinematografici di Saint-Maurice e di quelli della Victorine a Nizza, col quale decise di fondare una società di produzione la Cady-Films per tornare a lavorare sulle sue sceneggiature.
Tati scrisse un soggetto e i dialoghi dello stesso, riservandosi, come in passato, la parte del protagonista. La regia del primo lavoro della Cady-Films venne affidata a René Clément, che aveva già diretto Soigne ton gauche. Ma un problema di salute del regista promosse Jacques Tati dietro la macchina da presa. Nacque L’école des facteurs (1946).
Rapidità ed efficienza sono essenziali per tutti i postini. La missione è semplice: ridurre i tempi di consegna della posta. In un piccolo ufficio postale di campagna, tre postini, tra questi François (Jacques Tati), sollecitati da un nevrotico capo (Paul Demange), ripetono ogni passaggio del rituale della consegna.
La prima regia di Tati incantò, così come il suo François le facteur, capace di far ridere senza parlare. Il film vinse il Premio Max Linder come miglior cortometraggio comico. Critica e pubblico apprezzarono, ma il mercato dei corti non aveva, e non ha, grossi spazi commerciali. Così Tati, dopo la nascita della figlia Sophie-Catherine Tatischeff avvenuta il 23 ottobre 1946, decise di “rifare” L’école des facteurs in una versione estesa.
La leggenda narra che il regista volesse ambientare un film nel villaggio di Sainte-Sévère-sur-Indre, dove si era rifugiato durante la guerra. I titoli pensati erano Mon village e Fête au village, ma i produttori non avevano mostrato alcun interesse. Il succeddo de L’école des facteurs e la nuova casa di produzione gli permisero di portare a termine quel progetto. Per il suo primo lungometraggio Jacques Tati si circondò di amici: Fred Orain curò la produzione, Henri Marquet contribuì alla sceneggiatura insieme a René Wheeler. Tatì, oltre a scrivere e dirigere, vestì per la seconda volta i panni del postino François. Era Jour de fête (Giorno di festa).
Le riprese si svolsero dal 13 maggio al 15 novembre 1947 con due differenti negativi: uno in bianco e nero, l’altro a colori, ottenuto mediante un procedimento sperimentale, il Thomson-Color. Il suono fu registrato al magnetofono (un registratore col nastro), pratica insolita per l’epoca, ma Tati oltre ad innovare il genere comico, sperimentava anche dal lato tecnico.
Proprio queste sperimentazioni frenarono i distributori che vedevano quell’opera senza futuro. Il fallimento dello sviluppo del negativo a colori aumentò lo scetticismo. Fred Orain e Jacques Tati non si scoraggiarono e fecero uscire loro Jour de fête. La prima si tenne in un cinema di Neuilly. Era il 4 maggio 1949.
Annunciata dall’arrivo dei carrozzoni delle giostre, la festa di Sainte-Sévère coinvolge nei suoi preparativi tutti gli abitanti e soprattutto il postino François (Jacques Tati). Tra le varie attrazioni c’è anche un cinematografo ambulante che mostra un documentario sull’efficienza e la velocità del servizio postale statunitense. François complice qualche bicchiere di troppo, cerca di emulare i colleghi d’oltreoceano con risultati tragicomici.
Il primo lungometraggio di Tati, diviso sostanzialmente in due parti (i preparativi della festa e il giro del postino) mostrò la straordinaria fusione di comico e poesia (oltre a una sotterranea quanto precisa osservazione sociologica) che si rivelerà propria del cineasta. Un meraviglioso film sonoro più che parlato, gli abitanti, infatti, parlano poco e il protagonista, collante di tutte le fasi della storia, bofonchia un francese quasi incomprensibile.
Il 19 giugno Jour de fête venne proiettato in piazza a Sainte-Sévère-sur-Indre. Fu un successo anche perché il film mostrò la Francia rurale (per il cinema la Francia era quasi sempre Parigi o le grandi città), un mondo che stava scomparendo. Gli abitanti, che avevano interpretato se stessi nella pellicola, si riunirono per festeggiare. Tra la folla anche Georges-Emmanuel che si riconciliò finalmente col figlio. Gli fece una foto con gli abiti da postino, la incorniciò (era piuttosto pratico) e la mise al fianco del padre il Conte Dmitrij Tatiščev, sottolineando ironicamente il destino della famiglia. Famiglia Tatischeff che si stava allargando: il 4 luglio nacque il secondo figlio del regista Pierre François.
Il successo fu davvero enorme, ma nel 1947, come accennato, non fu possibile sviluppare la copia a colori di Jour de fête. Solo decenni dopo il direttore della fotografia François Ede e la figlia del regista Sophie riuscirono a trovare finanziamenti e tecnologia per proiettare finalmente, il 10 gennaio 1995, la versione originale dell’opera introdotta da un breve filmato che mostra la storia delle due versioni e del restauro.
Tra i tanti riconoscimenti Jour de fête si aggiudicò nel 1950 il premio come miglior sceneggiatura a Venezia e il Grand prix du cinéma français a Parigi. Non solo. Nel 2011 la musicista Laura Rossi inserì nell’album “European Cinema” la traccia Jour de fête, musica piuttosto famosa in Italia: è la sigla del programma Giorgione Orto e cucina. L’oste italiano grande e stralunato come il regista francese.
Tornando a Tati la popolarità di François le facteur era alle stelle e i produttori, solo dopo il successo, erano pronti a sfruttarla.
redazionale
Bibliografia
“Jacques Tati” di Roberto Nepoti – Castoro
“Jacques Tati” di Francesca Boschetti – L’Epos
“L’integrale Jacques Tati” – Rilpey’s Home Video
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2021” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da: immagine in evidenza Screenshot dei film L’école des facteurs e Jour de fête; foto 1, 2da it.wikipedia.com; foto 3, 4 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12 Screenshot del film riportato nella didascalia; foto 7 da pinterest.com.
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