Jack London, un militante

Il cantore americano del socialismo nei ricordi del pronipote Tarnel Abbott

«Il tallone di ferro» è uno dei libri che, durante la Resistenza contro i nazifascisti, i comandanti delle brigate suggerivano ai partigiani italiani di leggere nei momenti di pausa, tra un’azione e l’altra.

Romanzo distopico, scritto da Jack London nel 1908, che predice con lucidità l’avvento del fascismo e al tempo stesso descrive attraverso dialoghi semplici quanto avvincenti i meccanismi della produzione capitalistica.
Il sottotitolo del libro potrebbe essere: come spiegare il socialismo e la lotta di classe. Ho intervistato negli Stati Uniti la pronipote di London, Tarnel Abbott, attivista e bibliotecaria in pensione, che recentemente ha curato un adattamento teatrale del romanzo.

Cos’è che rende «Il tallone di ferro» un testo così attuale e dirompente?
Questo romanzo non solo predice quello che è accaduto negli anni ’20 e ’30 con l’ascesa del fascismo in Europa, ma descrive la situazione attuale con la supremazia dei super ricchi, quella che London chiama oligarchia.
I politologi oggi descrivono il nostro Paese come un’oligarchia dove il potere estremo dei soldi ha preso il sopravvento sulla democrazia e l’ha distrutta e lo Stato è diventato una specie di dittatura del capitale. London sostiene che quella cosa mostruosa che noi chiamiamo fascismo si sarebbe potuta evitare e questo vale anche oggi.
Dal romanzo emerge un messaggio di ribellione, di speranza e di fratellanza: combattere il fascismo e non permettere che ci danneggi.

Prima di diventare un affermato scrittore, London ha vissuto una serie di esperienze incredibili, penso al suo libro di ricordi «La strada» e alle sue avventure con il Kelly’s Army, l’esercito dei disoccupati; credi sia diventato socialista in quel periodo?
Credo abbia iniziato a formare la sua coscienza politica in quel periodo. Forse non sarebbe entrato in contatto con il socialismo se non fosse stato influenzato dagli intellettuali hoboes (vagabondi senzatetto) con i quali discuteva dell’idea di socialismo. Ha imparato sulla strada ma anche quando è andato nel Klondike (per fare il cercatore d’oro ndr) e ha portato con sé alcune opere di Marx per studiarle.

Secondo la figlia Joan, London ha scritto «Il tallone di ferro» dopo la sconfitta della rivoluzione russa del 1905. London inoltre era preoccupato dal moderatismo crescente del Partito socialista americano, al quale era iscritto. Qual è stato il suo rapporto con il Socialist Labor Party e poi con l’American Socialist Party?
Non conosco bene la storia dei due partiti ma so che alla fine della sua vita ha lasciato il partito perché secondo lui non era abbastanza radicale e aveva smesso di combattere.
London invece credeva che si doveva combattere perché il socialismo non ti viene servito su un piatto. Lo stesso vale per la libertà, non ti viene concessa, devi combattere per ottenerla, te la devi guadagnare, devi lavorare per questo e lui sentiva che erano troppo moderati.

Perché i critici letterari spesso cercano di ridimensionare l’idea socialista e rivoluzionaria di London?
Direi che in questo Paese a partire dagli anni ’50, durante l’era McCarthy, si è diffusa la «paura rossa» ed una propaganda contro qualsiasi cosa fosse di sinistra. Gli accademici poi tendono ad essere conservatori, devono giustificare le loro carriere e non vogliono assumersi rischi, di certo ci sono delle eccezioni come Jonah Raskin. Ad esempio, nel «Richiamo della foresta»i critici si concentravano sulle avventure del cane e sullo stile di scrittura naturalistico e pionieristico e ignoravano l’allegoria sociale delle bestie al lavoro che erano oppresse e trattate
crudelmente.

London è stato presidente dell’Intercollegiate Socialist Society, di cui era segretario Upton Sinclair, cosa può raccontarci in proposito?
L’hanno fondata per diffondere l’idea del socialismo tra i giovani e London era un oratore eccellente, molto qualificato, carismatico ed era abbastanza famoso da attirare un pubblico vasto. Ha fatto un tour elettorale in diverse università degli Stati Uniti tenendo dei discorsi che poi sono stati raccolti in un saggio chiamato Revolution.
Questo era il suo modo di raggiungere le masse e di influenzarle direttamente attraverso il suo sogno utopico di fratellanza tra gli uomini.

Quando viveva nel Beauty Ranch London aveva concesso agli operai giornate lavorative di 8 ore  e ospitava spesso vagabondi ma soffriva il fatto di essersi allontanato dal proletariato. Non accettava il fatto di essere diventato ricco?
Senza dubbio era lo scrittore vivente più pagato del suo tempo ma ha speso i suoi soldi tanto velocemente quanto ha
impiegato a guadagnarli. Aveva investito nella fattoria e faceva sperimentazioni nella produzione del cibo, era un
pioniere in quella che oggi chiameremmo coltivazione biologica e sostenibile. Aveva una visione: creare una piccola
utopia socialista nella sua fattoria, voleva ottenere il benessere per i lavoratori, voleva costruire una scuola per i bambini, un ufficio postale… Credo che il suo ranch fosse pensato per essere un luogo dove poteva intrattenere hoboes, intellettuali e persone dalle più svariate provenienze, un ritiro per artisti e scrittori dove mescolarsi
e contaminarsi a vicenda.
Nelle sue lettere scriveva che non era un uomo della working class ma al tempo stesso ripensava alla sua infanzia
trascorsa in povertà, in un quartiere della working class, nonostante sua madre provenisse da una famiglia benestante.
Per questo era a suo agio sia tra le persone ricche che tra quelle molto povere.
La maggior parte delle persone non può muoversi tra le classi sociali come ha fatto lui, credo che questo lo avesse reso un uomo diverso e al tempo stesso lo facesse sentire solo ed alienato.

London ha sempre lottato contro l’individualismo, credeva in un superuomo collettivo, possiamo dire che ha tentato di coniugare Nietzsche e Marx?
Certamente London credeva nell’idea di forza ma sapeva di essere un anti-individualista. Nella storia del Lupo di mare, Wolf Larsen è una sorta di superuomo ma guarda cosa gli accade,si ammala, rimane solo e muore. Penso che volesse confrontarsi con la teoria di Nietzsche ma non credo ci si riconoscesse.

Hai qualche aneddoto familiare sul tuo bis-nonno?
Leggendo le memorie personali di mia nonna ho scoperto molte cose sui genitori di Jack. Ho fatto delle ricerche sulla
madre Flora Wellman, che secondo quasi tutti i biografi non amava il figlio e lo aveva persino rifiutato. La vita di
Jack da neonato era stata salvata da una donna nera, una ex schiava che lo ha tenuto con sé probabilmente fino
all’età di 2o3 anni. È cresciuto quindi in entrambi i contesti, «nero»e«bianco», e questo ha permesso che non diventasse razzista come molta gente invece lo considera.
Penso che il loro rapporto sia stato male interpretato.
Flora, preoccupata, gli ha scritto una lettera amorevole mentre lui era in viaggio e lui le ha scritto una dedica all’interno di un libro in cui dice una cosa del tipo: tu e io abbiamo sempre viaggiato insieme e penso che tra noi sia sempre andato tutto bene.
È una frase molto affettuosa e questo credo sia il principale aneddoto di famiglia che ho.

FABRIZIO ROSTELLI

da il manifesto.it del 18/3/2017

foto tratta da Wikimedia Commons

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